Mussolini lavora un giorno e si screpola le sue belle manine

Benito Mussolini nelle sue memorie giovanili (stilate in carcere a Forlì nel 1911, quando venne arrestato con Nenni per aver partecipato a una manifestazione contro la guerra all’Impero ottomano) racconta la sua prima esperienza di lavoro vero, in qualità di manovale (che lui chiama “manuale”) nelle prime settimane del luglio 1902 in Svizzera, all’epoca in cui dovette spostarsi da Yverdon a Orbe nel cantiere di una fabbrica di cioccolato (questo episodio avrebbe poi forse ispirato il celebre personaggio di Willy Wonka del noto autore antisemita Roald Dahl):

«Il 9 luglio [1902] a sera giunsi a Chiasso. Nell’attesa del treno che doveva portarmi nel centro della Svizzera, treno che parte alle 10,40, presi il “Secolo” e fui un poco stupito e addolorato quando nel corpo di una corrispondenza, intitolata Disordini elettorali in due comuni, trovai la notizia dell’arresto di mio padre. A Predappio e ad Orte gli elettori di parte socialista e popolare avevano fracassato le urne per impedire la vittoria ai clericali. L’Autorità giudiziaria aveva spiccato diversi mandati di cattura e uno di questi aveva colpito mio padre.
Questa notizia mi pose davanti al bivio. Tornare o procedere? Immaginai che si trattasse di cosa di lieve momento e decisi di continuare il viaggio. Fraternizzai con alcuni rivenditori ambulanti di Pontremoli che si recavano a Yverdon. Io non avevo meta fissa. Avevo ingannato i miei genitori facendo creder loro che io avessi già il posto assicurato. In realtà io non sapevo neppure dove sarei andato a finire.
Nel pomeriggio del 10 luglio discesi alla stazione di Yverdon. Avevo in tasca due lire e dieci centesimi. Vendetti un bel coltello a manico fisso che avevo comperato a Parma e col quale avevo ferito a un braccio la Giulia durante una delle nostre frequenti scenate [su questa Giulia si sa poco, se non che fosse una ex spasimante che il futuro Duce trattò come una d-parola merita, ndr]. Ne ricavai cinque lire. Potevo vivere una settimana.

Yverdon è una piccola città. Pestalozzi vi nacque e la statua del grande pedagogista si trova nella piazza maggiore. Cercai lavoro, non ne trovai. Esaurite le mie deboli risorse finanziarie, alla domenica mattina decisi di recarmi ad Orbe, paesello vicino, nel quale i fratelli Bertoglio stavano costruendo una fabbrica di cioccolata.
Chiesi lavoro da manuale [sic, lol] e mi accettarono. Il lunedì mattina, alle 6, entrai nel cantiere. Io non avevo mai lavorato e dopo poche ore le mani mi si gonfiarono e screpolarono. Quella fatica era per me una tortura. L’orario era sfibrante. Ben dodici ore al giorno! V’era un orologio sopra al cantiere. Io avevo di continuo gli occhi fissi su le frecce, che, a mio avviso, non si muovevano mai.
Alla sera, schiantato, colle ossa rotte, mi gettavo sopra un giaciglio di paglia e cercavo invano il sonno. Durai una settimana, poi mi congedai, e alla domenica mattina, insieme con un bohémien che ritrovai più tardi clown di un circo equestre, presi il treno per Losanna. Giunsi in questa città in un pomeriggio nubiloso. Le strade erano deserte. Avevo alcuni indirizzi, ma non cercai nessuno. Avevo una ventina di franchi e mi recai a dormire in un albergo di secondo ordine. Avevo studiato il francese, ma non lo capivo, perché le mie orecchie non erano ancora abituate ai suoni della lingua straniera. Ma superai questa difficoltà in poche settimane.

Cercai lavoro, non ne trovai. Me n’andai dall’albergo dopo aver saldato il conto e poiché non avevo più denari dell’alloggio mi feci il letto dentro una cassa sotto a una delle arcate del Grand pont e vi passai parecchie notti. Di giorno girovagavo nei dintorni della città e mi nutrivo di frutta e di pane. Venne il momento in cui non ebbi più neppure un soldo. Stetti più di quarant’ore senza toccar cibo. Alla notte, verso le 3 del mattino, mentre intirizzito dal freddo e lacerato dal digiuno uscivo dall’arcata del Grand pont, due guardie di Polizia mi scorsero, mi fermarono e credendomi un malvivente mi condussero al posto di Polizia. Capirono che avevo fame. Mi diedero del pane. Videro che tremavo dal freddo. Mi diedero delle coperte e mi chiusero in guardina. Mi avvolsi nelle coperte, mi gettai sul tavolaccio e mi addormentai».

Questo sia da monito a tutti quei camerati che si illudono che in una demoplutocrazia l’ammazzarsi di lavoro possa rappresentare una forma di “fascismo implicito”. Ricordo qualche anno fa come un partito di “estrema destra”, in un goffo tentativo di ingannare la draconiana Costituzione Antifascista, pensò bene di coniare il motto “Lavoro, Patria, Famiglia”, arrivando a rimpiazzare Dio con la schiavitù salariata. Questa cosa non può esistere, specialmente da una prospettiva in cui sono altri elementi o fondamenta (per lasciar da parte un termine abusato come “valore”) a dover essere privilegiate rispetto alla produttività o al puro e semplice servilismo. E per rafforzare il concetto, qualche canzoncina:

E non c’è niente che mi possa far cambiare idea
Che possa far tacere la mia voce irriverente
Contro tutta quella gente che vive di mediocrità
E cerca ad ogni costo uno spazio nella società

È opportuno se vuoi essere qualcuno
Metti l’orgoglio da parte e lecca qualche culo
È stabilito il prezzo per il tuo successo
Per compensare il tuo complesso d’inferiorità

Ma vaffanculo, non sei nessuno

C’è tanta gente che spera di fare soldi e carriera
Ma nel mio cuore ho un sogno: soltanto bandiera nera

Non cerco niente, nessuna assurda distrazione
O comode poltrone, la bellezza è nell’azione
Vivi da protagonista, scarta la parte dell’antagonista

Ma vaffanculo, non sei nessuno

C’è tanta gente che spera di fare soldi e carriera
Ma nel mio cuore ho un sogno: soltanto bandiera nera

Piegato dal telaio che tu stesso hai creato,
Agghiacciante riflesso di un sistema malato
Guarda il tuo futuro: giace morto a terra,
Accoltellato alla gola dal capitalismo

Distruggi il lavoro
Credi nei tuoi desideri
Distruggi il lavoro
Vivi senza fare niente

Volti lacerati,
Dinamiche di sfruttamento,
Miseri aspetti della quotidianità,
Magri stipendi,
Assenza di tutele,
Alienazione, insicurezza

Riscopri le virtù della pigrizia

Derubato dalla vita osservi impotente
Il misero crollo dei tuoi sogni,
Il tuo sorriso ucciso giorno per giorno
Da un lavoro inutile come le spiegazioni
Fabbriche e prigioni

Daje nder culo al lavoro,
Mannace qualcun altro,
Vai avanti,
Ridi in faccia al datore di lavoro,
E ricorda: rubare è divertente!

 

Semo stufi de laorar
Ghemo sempre e solo da tribular
Sà bisogna far par quattro schei
Invese mi voi star a ber coi butei

Dime, ma parché, dime, ma parché, dime?
Mi non posso star tranquillo al bar?
Dime, ma parché, dime, ma parché, dime?
Mi me tocarà par sempre tribular?

No ghe tempo par far gnente
Urta ai nervi tuta sta bruta gente
Col tempo, no, non cambia gnente
Resto sempre più insofferente!

Dime, ma parché, dime, ma parché, dime?
Mi non posso star tranquillo al bar?
Dime, ma parché, dime, ma parché, dime?
Mi me tocarà par sempre tribular?

Sempre de freta, sempre de corsa
Così se gonfia anca la borsa
A la pension no ghe rivemo
Così nel cul la ciaparemo!

Dime, ma parché, dime, ma parché, dime?
Mi non posso star tranquillo al bar?
Dime, ma parché, dime, ma parché, dime?
Mi me tocarà par sempre tribular?

2 thoughts on “Mussolini lavora un giorno e si screpola le sue belle manine

  1. NUUUUUUUOOOOOOOO come osi contraddire la nostra amata lolcostituzione più bella del mondo e antifascista “basata sul lavoro”?
    Lol, lmao e pure rotlf

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