Il 19 novembre 1960 Norman Mailer (nato Nachem Malech Mailer), all’epoca lanciatissima “giovane promessa” dell’intellighenzia americana, in particolare per il suo saggio di pochi anni prima The White Negro, con il quale trasformava il teppismo bohémien dei giovani bianchi annoiati in una sottocultura rivoluzionaria, decise di dare un ricevimento per lanciare la sua candidatura a sindaco di New York, nell’appartamento dell’Upper West Side che condivideva con la moglie Adele Morales (artista e critica letteraria di origine peruviana) e le due figlie.
Fresco di arresto per oltraggio a pubblico ufficiale (aveva cercato di fermare un’auto della polizia come se fosse un taxi) Mailer aveva fatto di tutto per assicurare il sostegno dell’establishment progressista della città a una “struttura di potere” che avrebbe portato avanti le battaglie delle minoranze (tra le quali, per l’appunto, i “negri bianchi” che tanto gli stavano a cuore): una commistione, quella tra élite e rivoluzionari, che rappresenta alla perfezione l’anima della sinistra occidentale sin dagli esordi.
Nonostante la defezione di qualche “filantropo” come David Rockefeller, al party di Mailer convogliarono circa 200 ospiti, tra i quali Allen Ginsberg, Norman Podhoretz (in seguitò uno dei principali rappresentanti del neoconservatorismo bushiano) e una masnada di “derelitti, tagliagole e bohémien” che lo scrittore aveva raccattato letteralmente dalla strada.
Dopo aver bevuto tutto il bevibile, l’enfant prodige della controcultura americana cominciò a litigare con gli ospiti, obbligandoli a mettersi ai lati opposti della stanza a seconda se fossero a favore o contro la sua candidatura, per poi scendere direttamente in strada a prendere a pugni i passanti.
Alle quattro di notte passate, una volta tornato nel suo appartamento con la camicia strappata e un occhio nero, e constatato che tutti gli invitati se ne fossero andati (ad eccezione di 5-6 persone), Mailer se la prese con la moglie, probabilmente anche lei alticcia, la quale lo aveva apostrofato con un Aja toro, aja! per poi chiamarlo “frocetto” [little faggot] e insinuare che la “lurida puttana della sua amante” gli avesse tagliato i cojones (sic).
Secondo altri testimoni, la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata l’affermazione da parte della Morales che il marito non fosse bravo a scrivere come Dostoesvkij. Fatto sta che a un certo punto Mailer estrasse un temperino arrugginito dalla tasca e colpì la consorte alla schiena e al seno, perforandole il pericardio e mancando di pochissimo il cuore.
Ai presenti, scioccati per l’accaduto, Mailer intimò di “lasciar morire quella cagna” (o “quella puttana”, Let the bitch die). La donna venne prima condotta nell’appartamento al piano inferiore e poi all’ospedale universitario per un intervento d’urgenza.
Seppur in gravi condizioni, la Morales inizialmente disse ai medici di essere caduta su dei pezzi di vetro, ma due giorni dopo confessò alla polizia che era stato Mailer ad aggredirla; nel frattempo lo scrittore aveva fatto in tempo a rilasciare un’intervista televisiva al giornalista Mike Wallace, già programmata per promuovere la sua candidatura a sindaco, nella quale aveva sostenuto un’idea a lui particolarmente cara, cioè che il coltello rappresentasse per un criminale “la sua parola d’onore, la sua mascolinità”.
Quando la Morales ammise di esser stata colpita da Mailer, lo scrittore che in quel momento si trovava in ospedale venne subito arrestato. In seguito venne ricoverato per un paio di settimane in un istituto psichiatrico per una valutazione della sua sanità mentale, nonostante lo scrittore avesse implorato di non essere mandato con i pazzi poiché altrimenti “per il resto della mia vita le mie opere saranno considerate come frutto di una mente malata”.
A salvare la sua carriera, oltre che la clemenza dei giudici e la connivenza del milieu culturale newyorchese, fu probabilmente decisiva la scelta di Adele Morales di non sporgere denuncia in cambio del divorzio (ottenuto nel 1962). Mailer ne uscì praticamente indenne, e non solo dalla prospettiva penale, dal momento che i suoi amici “serrarono i ranghi” in sua difesa: il collega scrittore James Baldwin descrisse la sua “impresa” come un tentativo di liberarsi dalla “prigione spirituale che aveva creato con le sue fantasie politiche”, mentre il critico Lionel Trilling derubricò l’accaduto a “stratagemma dostoevskiano” messo in scena dallo stimato scrittore per “testare i limiti del male in se stesso”.
Qualche voce critica si sollevò dal fronte femminista: per esempio la scrittrice Kate Millett, proprio alla luce della violenza sulla moglie, tacciò l’intera opera di Mailer di legittimare il “sistema patriarcale”; tuttavia, quando Mailer si ricandidò a sindaco di New York nel 1969, le ideologhe Bella Abzug e Gloria Steinem lo sostennero con convinzione.
Le prime accuse di un certo rilievo sono giunte in tempi recenti, sia sulla scia delle memorie di Adele Morales (The Last Party, pubblicato nel 1997), sia con l’ascesa della cancel culture. Persino il “manifesto” di Mailer, The White Negro, è stato ridotto a espressione di esistenzialismo macho, ispirato a una concezione del maschile (anche in termini di aggressività e violenza) intrinsecamente positiva in quanto legato alla realtà e all’azione, e di conseguenza superiore al femminile, di contro schierato con l’artificiosità e il vaniloquio.
D’altro canto, per corroborare la sua candidatura a sindaco, Mailer abbozzò una lettera aperta a Fidel Castro nel quale biasimava che, a differenza di Cuba, negli Stati Uniti “troppi pochi colpi vengono sferrati alla carne. Qui siamo esperti nell’uccidere lo spirito, usiamo proiettili psichici e ci uccidiamo vicendevolmente cellula per cellula”. Se è probabile che annoverasse se stesso, in quanto intellettuale, tra i “carnefici dell’anima”, di certo ne includeva la compagna, le cui frecciate aveva definito come “una sequela di pugnalate psichiche” [psychic stabbings].
La mania per un certo tipo di mascolinità, declinata sempre in chiave progressista, emerge anche da uno dei punti più importanti del suo programma, con cui lo scrittore annunciava l’organizzazione di tornei cavallereschi in stile medievale a Central Park e corse di cavalli a Little Italy per contrastare la delinquenza giovanile.
Ad ogni modo, un parallelo più interessante è con il romanzo scritto dopo l’accoltellamento, Un sogno americano (1965) che racconta di uno stimato intellettuale e politico, Stephen Rojack, il quale in preda ai fumi dell’alcol uccide la moglie e poi si rifugia nei bassifondi di Manhattan dove, tra jazz club e puttane, scopre il valore liberatorio della violenza. Va osservato che al processo per l’accoltellamento della Morales l’avvocato di Mailer sostenne che il suo assistito avrebbe potuto “dare un contributo alla società” con il suo nuovo libro, che era appunto l’elogio letterario del suo gesto An American Dream…