Parigi sembra l’Italia del ’19. Ah! Mussolini!

Qualche anno fa l’editore De Piante ha pubblicato una serie di lettere che tra il 1925 e il 1927 Tomasi di Lampedusa indirizzò da varie località europee al suo amico genovese Massimo Erede, col titolo emblematico di Ah! Mussolini!, esclamazione che il Principe si lasciò sfuggire dopo che le manifestazioni nella capitale francese avevano limitato la sua libertà di andare alla banca:

«Parigi delizioso [sic, usa il maschile sia perché una volta era diffuso per indicare nomi di città sia probabilmente per imitare il francese]. Ma in istato di bolscevismo latente. Sembra l’Italia del ’19. Stamane un corteo comunista è sfilato nel quartiere delle banche, mentre esigevo un modesto “cheque” con grida di abbasso, minacce e pietre. E nessuno reagiva. Ah! Mussolini!».

Sono in tanti, in queste ore, a invocare un Mussolini per la Francia, in preda agli immigratoni islamoni cattivoni. Anche quelli che parlano di “integrazione” per mascherare l’indicibile si stanno accorgendo che la favoletta di voler integrare gli stranieri in una società che considerano ingiusta e razzista e che vorrebbero appunto disintegrare attraverso l’immigrazione stessa, ha fatto il suo tempo: per questo nelle redazioni comincia già a serpeggiare un certo sconforto nel constatare che “integrazione” e “fascismo” sono due concetti che condividono molti, troppi aspetti tra loro.

In fondo i nodi stanno venendo al pettine: non solo per chi cita la “mancata integrazione”, ma anche per chi parla di lotta di classe, di guerra civile, di rivoluzione francese, di periferie dimenticate, di emarginazione e alienazione e solitudine e individualismo. Sembra stia arrivando, anche abbastanza in fretta, il giorno in cui tutti canteranno la stessa canzone: “Ma sì, è colpa degli immigrati”; anzi, no “degli arabi” (o “dei musulmani”).

Per qualche anno dovremmo probabilmente ancora sorbirci la tiritera pseudosocialista di chi confonde la barba di Marx con quella di Babbo Natale: agli immigrati di seconda, terza e quarta generazione bisogna garantire immediatamente casa, macchine, fighe, un appartamento gratuito anche per i parenti fino al decimo grado, il diritto allo studio per minimo trent’anni, il reddito di cittadinanza fino alla pensione sociale, palazzetti dello sport ovunque, moschee in ogni condominio, orti comunali dedicati esclusivamente alla coltivazione di cannabis eccetera eccetera.

Les sociologues sono davvero convinti di ciò, ma in verità non riescono nemmeno a portare un “caso di studio” credibile. Le vite di questa gentaglia che piange perennemente miseria tutto sommato non sono peggiori di quelle di un “privilegiato bianco”, anzi. Tanto per fare qualche esempio, costoro non si negano alcuno dei vantaggi offerti dall’assistenzialismo perché i genitori hanno insegnato loro a spolpare fino all’osso il Paese che li ospita senza alcun riguardo. Possono inoltre godere di solide reti sociali che li sostengono non solo materialmente ma anche spiritualmente (o culturalmente): la forte impostazione patriarcale delle loro famiglie, persino nel momento in cui il padre non c’è (e non perché mamma lo ha cacciato di casa!), garantisce ai rampolli della casta immigratoria di affrontare la vita senza complessi né sensi di colpa verso niente e nessuno. Ai vantaggi economici su carta bisognerebbe poi aggiungere tutto il “sommerso” bonario (attività commerciali di ogni tipo totalmente estranee al fisco) o meno (spaccio, estorsioni, furti ecc).

In sostanza ci si racconta che questi giovanotti assaltano i negozi perché, ingannati dalla pubblicità, cercano di esprimere il loro malessere arraffando quel che non potrebbero permettersi. Se facciamo però due conti, possiamo giungere alla conclusione che tutta la roba che hanno rubato avrebbero potuto benissimo comprarsela con i sussidi e i guadagni dello spaccio, oppure andare direttamente in Nord Africa ad esercitare il potere d’acquisto conferito loro dalla potenza coloniale che li ospita (in effetti c’è anche questo aspetto da non sottovalutare: la frequenza con cui i secondogenerazionati si recano nei Paesi d’origine, grazie a voli low cost, offerte speciali e chissà quali altre agevolazioni che gli indigeni ignorano).

Ormai le possibilità di mediazione si stanno riducendo al lumicino e l’unica soluzione possibile è, appunto, “Mussolini”. Mussolini è un’idea di integrazione basata sul lavoro e il rispetto delle leggi, Mussolini è il decoro urbano, Mussolini è la laicità di stato come religione civile, Mussolini è lo sbirro che finalmente fa quello per cui viene pagato, Mussolini è la scolarizzazione anche senza meritocrazia (l’importante è imparare che la propria nazione è la migliore al mondo in qualche settore particolare, per la Francia i formaggi e la maleducazione verso i turisti), Mussolini è l’immigrazione controllata, Mussolini è non girare in infradito o almeno lavarsi i piedi dopo che si rientra in casa, Mussolini è una bella dittatura islamica houellebecchiana, Mussolini è il modello imperiale federiciano, Mussolini è l’unica soluzione politica offerta dalla Provvidenza durante gli hard times.

Dal “principio Mussolini” non si scappa. Anche la società “liquida”, cioè poltigliosa e putrescente, che dovrebbe venir fuori dal meltinghepotte dovrà prima o poi darsi un qualche limite e regola, o estinguersi e lasciare il passo… a noi!

3 thoughts on “Parigi sembra l’Italia del ’19. Ah! Mussolini!

    1. Non posso leggere l’articolo comunque tutti mi copiano, l’unico onesto che mi spamma al rischio di sputtanarti sei tu (grazie). Anch’io copio, ma da oscuri siti neonazi che nessuno conosce

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