“Caro rifugiato, grazie per avermi stuprata!”: Europa, sinistra e immigrazione

Douglas Murray, opinionista britannico neo-con (connubio micidiale, da prendere con le pinze) in questi giorni in cui la Francia è messa a ferro e fuoco dalle orde secondo-generazioniste, sui suoi canali social si atteggia a profeta: il suo volume The strange death of Europe, tradotto in italiano da Neri Pozza nel 2018 col titolo La strana morte dell’Europa. Immigrazione, identità, Islam, sembra in effetti aver predetto molti aspetti della catastrofe a cui stiamo assistendo “in diretta”.

In verità il libro va preso per quello che è, cioè l’opera di un modesto opinionista conservatore: recensendo questo affastellamento di notizie le più grandguignolesche possibile ci si sente in obbligo di riconoscere i limiti culturali di una destra che, vuoi per ostracismo o ghettizzazione, non riesce a elevarsi oltre la cronaca. Non che si voglia affermare che La strana morte dell’Europa sia una versione cartacea del sito “Tutti i Crimini degli Immigrati”, però un inquadramento storico avrebbe necessitato qualche contributo ulteriore di quello offerto dalle ricostruzioni giornalistiche.

Al di là di questi bonari rilievi, il volume rimane, “purtroppo”, lettura quasi obbligata, non solo per gli italiani (tra l’altro un capitolo è dedicato interamente al Bel Paese), ma per chiunque voglia avere un quadro d’insieme della tragedia che ha rappresentato per il Vecchio Continente l’immigrazione incontrollata di questi anni. Persino chi è convinto sotto sotto che per fare la “frittata” multikulti sia necessario “rompere qualche uovo”, dovrebbe onestamente fermarsi un attimo a riflettere su tutti i “gusci spezzati”.

Soprattutto perché, nonostante l’opera si presti a un’ovvia lettura reazionaria (che dovrebbe essere obbligatoria, poiché offre comunque infiniti spunti), la “panoramizzazione” del delirante approccio delle sinistre europee alla questione potrebbe rappresentare un risveglio salutare per le anime belle. Infatti, la prima conclusione che ne si può trarre a caldo è che l’Europa non sia in grado di permettersi sia la sinistra sia l’immigrazione, e che prima o poi politici ed elettori saranno obbligati a scegliere tra l’una o l’altra.

Non è una provocazione: il dilemma si pone sia da un punto di vista teorico che pratico. In primis perché il concetto di “integrazione” presuppone un “intero” forte, cioè una società tutt’altro che “liquida”, ma sostenuta da valori, simboli e credenze talmente possenti da risultare coercitivi anche per chi arriva dall’altra parte del mondo (in senso non solo geografico).

Alle osservazioni “di principio” si aggiungono però gli innumerevoli passi falsi che le sinistre hanno compiuto nella gestione del fenomeno, conseguendo l’unico risultato di “disintegrare” le società attraverso l’immigrazione, piuttosto che “disintegrare” l’alienazione, l’emarginazione e la tribalizzazione in un progetto più alto.

Gli esempi che Douglas Murray inanella in un fuoco di fila fanno sorgere il dubbio che la sinistra contemporanea sia una malattia mentale. Soprattutto quella nord-europea: tanto per citare, i ministri socialdemocratici svedesi non hanno mai perso occasione di spararle grosse, accusando i propri elettori di essere “invidiosi” della ricchezza rappresentata dalla cultura e dalla storia degli immigrati e negando qualsiasi dignità alla “cultura svedese”.

Ci sono poi casi umani e tragicomici, come quello del militante socialista norvegese, tale Karsten Nordahl Hauken, che si è sentito in colpa per aver fatto espellere l’immigrato somalo che lo aveva stuprato (sic!): in una trasmissione televisiva del 2016 ha raccontato di quando, sette anni prima, mentre tornava a casa da una festa aveva incontrato un rifugiato che affermava di aver perso il treno e di aver bisogno di un posto in cui dormire. In virtù delle sue “convinzioni ideologiche antirazziste” aveva invitato il somalo nel suo appartamento, dove costui lo avrebbe costretto ad assumere metanfetamine e a fare sesso orale con lui. Dopo ore di abusi mentali e fisici, Karsten è riuscito a ferire il suo aguzzino con un coltello e a fuggire.

Dopo quell’evento, il giovane norvegese è diventato dipendente da alcol e cannabis e non è mai riuscito a scrollarsi di dosso il senso di colpa per aver fatto espellere il suo aggressore; come ha dichiarato alla trasmissione:

“Mi sentivo sollevato e felice che fosse stato allontanato per sempre, mi sentivo come se lo Stato norvegese si fosse assunto la responsabilità di vendicarmi, come un padre arrabbiato nei confronti dell’aggressore di un figlio. […] Al contempo però ho sentito un forte senso di colpa, per esser stata la causa per cui lui non si trova più in Norvegia, ma in Somalia, verso un avvenire incerto”

La vicenda in questione strappa un amaro sorriso perché tutto sommato c’è di mezzo un maschio (anzi due!), e i maschi -si sa- fanno schifo e non meritano alcuna comprensione; tuttavia la “sindrome di Stoccolma” (stricto sensu) diventa meno esilarante quando colpisce donzelle stuprate che, in nome del multiculturalismo, si “scusano” con i loro aggressori.

Un altro “caso eclatante” (sempre risalente al 2016) è quello di una militante della sinistra tedesca di origini turche che, dopo esser stata violentata da stranieri, ha accusato un generico gruppo di “tedeschi” dell’aggressione. La ragazza, portavoce dei giovani della Linke, stuprata nel parco dietro casa da tre immigrati ubriachi, disse alla polizia che gli aggressori erano “misti” (?) e che parlavano in tedesco tra loro. Mesi dopo, imbattendosi in uno degli aggressori (un siriano) a un congresso del suo partito (!), decide di sputare il rospo, pur conservando il timore che la storia potesse essere “strumentalizzata dai razzisti”. Ne seguì l’inevitabile sputtanamento mediatico, alla quale la militante della Linke rispose pubblicando su Facebook una surreale “lettera di scuse” rivolta ai suoi aggressori.

«Caro rifugiato maschio [sic],
forse hai la mia età, forse sei qualche anno più giovane, o più vecchio. Sono così dispiaciuta! Quasi un anno fa, ho visto l’inferno da cui sei fuggito. Non ero direttamente in mezzo all’incendio, ma ho visitato i campi profughi del Kurdistan meridionale. Ho visto le nonne prendersi cura di troppi bambini senza genitori. Ho visto lo sguardo di questi bambini, alcuni non hanno perso la luce. Ma ho visto anche bambini dallo sguardo vuoto e traumatizzato. Mi è stata mostrata la scrittura araba durante una lezione di matematica a venti bimbi yazidi e ricordo ancora quanto si era spaventata una bambina solo per il rumore di una sedia caduta.
Ho visto uno spicchio dell’inferno dal quale sei fuggito.
Non ho visto quello che è successo prima e non ho avuto bisogno di sperimentare la tua fuga estenuante.
Sono felice che tu ce l’abbia fatta venendo da noi, che ti sia lasciato alle spalle l’Isis e la guerra senza affogare nel Mediterraneo.
Ma temo che tu qui non sia al sicuro. Le camicie brune dilagano per le strade, bruciando i centri d’accoglienza e assalendo i rifugiati.
Ho sempre combattuto contro tutto questo. Volevo un’Europa aperta, amichevole, nella quale potessimo vivere assieme e sentirci entrambi al sicuro. Sono profondamente dispiaciuta sia per me che per te.
Tu, tu qui non sei al sicuro, perché viviamo in una società razzista.
E io, io non sono al sicuro perché viviamo in una società sessista.
Ma quello di cui mi dispiace davvero è il fatto che le azioni sessiste e transnazionali [grenzüberschreitenden] (?) che ho subito contribuiscono solo a esporti a un razzismo sempre più aggressivo.
Te lo prometto, urlerò. Non lascerò continuare tutto questo. Non starò a guardare mentre i razzisti e i “cittadini preoccupati” ti additano. Tu non sei il problema. Non sei affatto un problema.
In realtà saresti una persona meravigliosa che merita di essere al sicuro e libera come tutti gli altri.
Grazie di esistere. E di essere qui».

No, non è un fake: ormai si tratta dell’approccio standard delle femministe riguardo alla “violenza di genere” quando praticata da immigrati. Gli esempi sono troppi per essere elencati senza Schadenfreude. Imbastire un’analisi sulle tragedie altrui sarebbe meschino, almeno fino a quando ciò non diventa crudelmente indispensabile…

Per questo l’unica conclusione che posso trarre dal macabro carosello girato da Murray è che l’Europa non può permettersi sia la sinistra che l’immigrazione: se società multietnica ha da essere, allora dovrà essere ultra-conservatrice da qualsiasi punto di vista.

Niente più welfare, perché il ricambio perpetuo della forza lavoro imporrà un abbassamento collettivo degli standard di vita,  che a sua volta favorirà una politica di “tolleranza zero” e militarizzazione delle città per garantire compattezza e rigidità a una corpo sociale indebolito dagli incessanti apporti. Per venire incontro alla ricchezza delle culture altrui, sarà altresì necessario ridurre o cancellare i diritti delle donne, una scelta che anche se non fosse declinata in senso islamizzante verrà in ogni caso imposta dal mercato del lavoro, troppo compresso dalle “risorse” dal mondo intero (al 90% giovani maschi) per potersi “permettere” quote rosa e altri magheggi.

La sinistra non può sopravvivere a tutto questo, perché appena all’inizio dell’utopia multiculturale ha già dimostrato tutta la sua incapacità; d’altro canto intrappolata com’è nella mitologia immigrazionista che si è forgiata, di certo non riuscirà a riposizionarsi in tempo prima di sparire: anche relegata all’opposizione, invece di far buon viso a cattivo gioco  la vediamo moltiplicare gli appelli in favore degli immigrati, con l’implicita speranza di farne un’improbabile base elettorale.

Anche qui, possiamo notare come gli stranieri “integrati” non abbiamo alcuna simpatia per i “democratici”, se non nei casi in cui un “istinto di gregge” strumentalizzabile da chiunque imponga al singolo le scelte della rispettiva comunità. Non è assurdo pensare che tra poco la destra avrà l’intero “monopolio” politico sull’immigrazione regolare, e dunque avrà messo in ogni caso fuori gioco la sinistra che difende i diritti degli ultimi contro i “penultimi”. In conclusione, oltre che della strana morte dell’Europa, sarebbe giusto parlare anche della strana morte della sinistra.

One thought on ““Caro rifugiato, grazie per avermi stuprata!”: Europa, sinistra e immigrazione

  1. È la prima volta che le scrivo e mi permetta una constatazione semplice ma esaustiva.
    Il negro, il migrante, la donna, l’invertito sessuale e svariati casi umani, sono il sacro di quest’epoca. Anche se come ha ben spiegato lei, nonostante grottesche contraddizioni, ciò verrà sempre assolto e messo in secondo piano rispetto all’aureola sacrale in testa a questa massa umana.
    Tutto punta a un nemico da abbattere: l’uomo bianco etero.
    Non dobbiamo più permetterci di essere bianchi, non deve più esistere la famiglia bianca eterosessuale, non dovevamo più esistere dopo il 1945.
    E’inaccettabile la nostra esistenza in un mondo di eguaglianza effeminata e gaia e in un pianeta africanizzato.
    Il fatto che tra un pò ci sarà il centenario del suddetto anno e si sta accelerando sulla chiusura del cerchio.
    Può darsi che questa mia sensazione sia intrisa di “complottismo”, ma alla fine mi guardo attorno e mi sembra che tutto quadra e che ci sia la corsa al cupio dissolvi, al karma “purificatore”.
    Una Norimberga perenne con imposto l’ergastolo della memoria e della colpa perpetua, un fine pena mai con condanna a morte finale. Anzi la soluzione finale!

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