«Raffaele Mattioli, l’economista e dirigente della Banca Commerciale Italiana che per primo aveva creduto in lui commissionandogli rapporti politici ed economici dall’Estremo oriente…»
Così la voce di Wikipedia dedicata a Tiziano Terzani (1938-2004): è una liaison, quella con Raffaele Mattioli, della quale pochi sono a conoscenza, anche se lo scrittore stesso ne parlò in uno libro-intervista postumo (La fine è il mio inizio, 2004), descrivendola come una “stupenda, segreta, romantica serie di incontri” e definendo il presidente della Comit “uomo meraviglioso, coltissimo, intelligente, coraggioso”.
Come fece un comunista di fede polpottiana, che cambiò idea solo quando “gli amici dei comunisti russi attaccarono gli amici dei comunisti cinesi” (P. Gheddo), a convincere un banchiere (seppur “umanista”) a finanziare i suoi soggiorni in Oriente? Non è un elemento secondario della biografia dello scrittore: senza i mille dollari al mese di Mattioli, probabilmente Terzani non sarebbe diventato un pezzo grosso dell’intellighenzia nostrana. Come ricorda “Repubblica”:
«Terzani ha un amico che lo aiuta, Raffaele Mattioli, economista, banchiere conosciuto in Olivetti. Gli dice che lo sosterrà economicamente a Singapore in cambio di informazioni finanziarie sulle piazze asiatiche. Così lui può dire allo “Spiegel” io vado comunque, se volete lavorerò per voi. A Singapore, dopo un anno, lo “Spiegel” lo assume» (Terzani, i diari di un testimone del Novecento, 1 maggio 2014).
Mattioli sentì parlare per la prima volta di Terzani all’Olivetti, dove negli anni ’60 il giovane cronista aveva fatto una rapida carriera, non priva di sbocchi a livello internazionale (a Singapore c’era infatti un’importante rappresentanza dell’azienda italiana). Un giorno il banchiere-umanista lo chiamò nel suo ufficio e gli fece questa proposta: «Scrivimi una volta al mese una lettera in cui mi dici cosa pensi della situazione politica dei vari Paesi del Sud-est asiatico, e io al mese ti pago mille dollari».
Terzani fu sempre riconoscente per quell’opportunità, come dimostra una lettera indirizzata ad Antonio Monti (capo della rete estera della Comit) ritrovata di recente nell’Archivio storico della banca, in cui afferma che il suo libro sulla liberazione di Saigon, Giai Phong!, in realtà fosse segretamente dedicato a Mattioli, «che quando cercavo una via per andare a vivere in Asia mi offrì i suoi consigli e il suo aiuto».
Importanti dettagli su tale “amicizia” si possono trovare nell’articolo di Roberto Beretta Il guru & lo gnomo. Terzani va in banca, pubblicato sulla terza pagina di “Avvenire” il 13 settembre 2006 (attualmente scomparso dal portale del quotidiano, ma ancora reperibile attraverso archive.org e su di uno stravagante sito dedicato alla Comit senza indicazione di autore).
Che ci faceva ogni sera un maoista nell’ufficio di Raffaele Mattioli, dove si decidevano i destini della finanza italiana?
Il guru & lo gnomo Terzani va in banca
C’è pure un’altra lettura: il banchiere era noto per i suoi interessi esoterici e forse l’ultima fase “induista” dello scrittore toscano ha finito per saldare una sorta di debito inconscio. Al grand commis della Comit interessavano i giornalisti “migliori”, al cronista ambizioso e giovane servivano soldi per andare all’estero. Risultato: uno stipendio in nero di 4500 euro al mese per un rapporto di geopolitica asiatica. E anche se “TT” in quel periodo diceva di cercare un’alternativa al mondo occidentale…
Il guru e il banchiere. La grisaglia e il sari. Il maestro della spiritualità orientale e uno dei più spregiudicati esponenti del capitalismo occidentale. La sinistra utopista e la destra addirittura “degli intrighi”.
Che ci fa Tiziano Terzani, di sera, nella penombra di un ufficio riservato ai piani alti della più importante banca d’affari italiana, a parlare con il maestro di Enrico Cuccia, il potentissimo gran sacerdote della finanza laica, il grand commis della più esclusiva oligarchia liberale della Penisola, insomma: con Raffaele Mattioli? Nel dibattito assai estivo sul “terzanismo” e sui molti fans conquistati da TT – il giornalista toscano di “Der Spiegel” e dell’“Espresso”, passato nel suo itinerario essenzialmente asiatico dagli articoli a favore dei Vietcong alla propaganda della nonviolenza – questo elemento ancora non è stato sottolineato.
Eppure Terzani stesso ne parla senza remore, anzi quasi divertito, nella lunga intervista autobiografica rilasciata al figlio Folco prima di morire nel luglio 2004 e recentemente uscita in libreria per Longanesi (pp. 466, euro 18,60) sotto il titolo La fine è il mio inizio: che sembra una sentenza zen di schietta provenienza indù e invece è una colta citazione del suddito di Sua Maestà coloniale e britannica T. S. Eliot.
Dunque, all’inizio degli anni Settanta il giovane Terzani è appena rientrato in Italia da un soggiorno di studio negli Stati Uniti, dove ha imparato il cinese e il giornalismo a spese dei “capitalisti”. Attraverso il collega Corrado Stajano, viene presentato a “quell’uomo meraviglioso… coltissimo, intelligente, coraggioso, che si chiamava Raffaele Mattioli” ed era all’epoca presidente della Banca Commerciale Italiana, transitato indenne (e anzi con crescente potere) in tale funzione dal regime fascista – durante il quale aiutò vari antifascisti – ai governi democristiani del dopoguerra – quando cominciò a corteggiare intellettuali di sinistra e cattocomunisti. Mattioli dice di voler portare la sua banca in Oriente e dunque gli interessa il giovane giornalista che sta per partire come corrispondente per l’Asia: “E qui cominciò – scrive Terzani – una stupenda, segreta, romantica serie di incontri con quel vecchio”.
Ogni sera TT usciva dalla redazione del suo giornale, entrava “da una porta secondaria” nella banca e incontrava Mattioli “in una stanza tappezzata di libri”. “Questo bellissimo rapporto con quel vecchio andò avanti per mesi” e alla fine il colto banchiere (era molto amico, tra gli altri, di Bacchelli, Manzù, Paolo Grassi, Malaparte, Montale…) propose al cronista: “Scrivimi una volta al mese una lettera in cui mi dici cosa pensi della situazione politica dei vari Paesi del Sud-est asiatico, e io al mese ti pago mille dollari”; contratto suggellato all’istante grazie al cognato di Mattioli, che era anche l’amministratore delegato della Comit e che – apparso misteriosamente, secondo uno scenario davvero da “gnomi” della finanza, da “una porticina nella libreria” – ricevette l’ordine: “Fagli un contratto in modo che lui ogni mese riceva, discretamente, su un conto privilegiato che gli apriamo, questi soldi”. Il che puntualmente avvenne tra il 1972 e il 1973, quando l’ormai affermato reporter tornò da Mattioli a dire: “Non ho più bisogno dei mille dollari al mese” (ma qui le date proposte da Terzani non tornano del tutto, visto che lui dice di essere partito per l’Oriente a fine 1971 e Mattioli venne estromesso dalla Comit il 22 aprile 1972).
In una stagione in cui sembra normale che i giornalisti facciano anche gli informatori, potrebbe sembrare un innocuo contratto di consulenza tra un imprenditore alla ricerca di notizie utili e un giovane bisognoso di soldi per avviare la sua nuova avventura; tra l’altro – rivela il biografo Giancarlo Galli – Mattioli incontrava volentieri “i cronisti migliori… senza distinzioni politiche, purché siano di razza”. Se non fosse per due elementi. Il primo e più prosaico è l’entità della paga: 1000 dollari esentasse di quell’epoca, se non ingannano le stime e i cambi, corrispondono a circa 4500 euro attuali! Al valore dei primi anni Settanta, la cifra equivaleva a 6 volte lo stipendio medio, che si aggirava sulle 120 mila lire: niente male, per un solo “rapporto di geopolitica” al mese, no?
Comunque, l’elemento più sorprendente è un altro, e cioè l’apparente assoluta distanza ideale tra i protagonisti della vicenda. Da una parte Terzani, che si autodescrive come ferocemente antiamericano e di sinistra – tanto che voleva far nascere il primo figlio a Cuba e chiamarlo Mao (sic!) –, amico di molti contestatori, simpatizzante delle varie rivoluzioni comuniste dell’epoca, insomma uno che studiava la Cina come un paradiso in cui cercare “un’alternativa al mondo occidentale” e aveva scritto persino un elogio del Grande Timoniere, rimasto “fortunatamente” (avverbio dell’autore) inedito.
Dall’altra parte Mattioli, ovvero il simbolo stesso del potere oligarchico e altoborghese, il burattinaio occulto dei peggiori capitalisti “oppressori del popolo”, lo spregiudicato manovratore di trame internazionali che poteva ospitare a casa sua addirittura Rockefeller: il quale, nell’immaginario dell’epoca, era il contraltare esatto di Mao. Com’è possibile che TT, il quale protesta scelte assolutamente “morali” (anche se all’epoca parzialmente differenti da quelle dell’ultima parte di vita) e la sua sincera ricerca della “verità”, non sapesse queste cose, anzi addirittura accettasse emolumenti così cospicui dalla parte opposta a quella per cui diceva di lottare?
E c’è un altro livello di lettura, quello “religioso”. Mattioli era anche il banchiere “eretico”, non credente e anzi ferocemente anticlericale fattosi però seppellire nel 1973 (grazie a una procedura eccezionale tenacemente e personalmente perseguita) all’abbazia di Chiaravalle e nella tomba di un’eretica boema, né si può ignorare che – secondo le indagini di Maurizio Blondet – egli avrebbe fatto parte di un inquietante gruppo intellettuale di tendenza gnostica e nichilista. In questo senso, il “rivoluzionario” e maoista Terzani poteva ben incontrare l’interesse del vecchio banchiere (il quale, del resto, non aveva mai disdegnato di trattare anche coi comunisti, da Togliatti in poi).
È pure curioso infine che Mattioli sia stato introdotto alla sfolgorante carriera Comit – durata ben 47 anni – dalla seconda moglie e da un’amica del banchiere Giuseppe Toeplitz, rispettivamente l’una cultrice di esoterismo tibetano e l’altra esperta di induismo: e qui sembra che l’ultimo Terzani, versione “guru”, abbia davvero chiuso il cerchio, ripagando abbondantemente il suo debito inconscio con l’antico e generoso finanziatore.
Al di là dei risvolti storici e culturali (se non iniziatici ed esoterici), la storia è istruttiva su come funzionavano le cose nei bei tempi andati: uno ti dava i soldi e tu scrivevi quello che volevi. È chiaro che il tutto rimaneva confinato nel recinto della cultura dominante, ma con mille dollari al mese ci si poteva ritagliarsi tranquillamente il proprio spazio. Non che poi Terzani, con tutto il rispetto, fosse un campione di onestà intellettuale: la sua intera bibliografia è all’insegna dell’ipocrisia (e del pentimento tardivo), prima nei confronti dei più sanguinari regimi socialisti, poi con la passione per l’orientalismo spinto, la medicina alternativa e le buddhanate varie, che al momento opportuno mise da parte per affidarsi all’esecrabile farmacopea “occidentale”.
È così quindi che nascevano i “venerati maestri” (l’espressione, come è noto, è di Berselli, che ovviamente non risparmiò i suoi strali anche per il “terzansimo”); oggi purtroppo non c’è più un Mattioli che creda in noi (a parti certuni che ci chiedono di venderci senza nemmeno pagarci). Penso che l’unico “mecenate” su cui dovremmo contare tra qualche anno sarà il solo Bacchelli.
In un articolo apparso sul «Corriere della Sera» del 15 febbraio 2011, a cura di Sandro Gerbi [1b], intitolato “Quel sogno divinatorio di Raffaele Mattioli. In una telefonata emerge una qualità poco nota del Presidente della Comit”, viene narrato un episodio intercorso agli inizi del 1973 tra Gianluigi Gabetti (ex Presidente della Finanziaria della FIAT) e Raffaele Mattioli, il quale chiama a casa sua Gianluigi Gabetti, nel febbraio del 1973 e, davanti a Sandro Gerbi che era andato a fargli visita, gli chiede: «Stanotte ho fatto un sogno. In prossimità della tua villa osservavo ai bordi della strada dei grossi mucchi di ghiaia. Allora mi sono domandato: ‘Che ci stanno a fare?’. Gabetti: ‘In effetti, dottor Mattioli, il vialetto di accesso era piuttosto malandato, così ho deciso di sistemarlo, sostituendo il vecchio pietrisco; e i lavori sono cominciati proprio in questi giorni!’. Mattioli: ‘Grazie avevo proprio bisogno di sapere se le mie capacità stregonesche erano rimaste intatte’». Mattioli morì cinque mesi dopo tale episodio (esattamente il 27 luglio del 1973), che è stato narrato anche dallo stesso ing. Gianluigi Gabetti (Corriere della Sera, 25 novembre 2007).