Un ricordo di Giuseppe Mancini

Oggi 2 novembre 2022 ho scoperto per puro caso (cioè per pura sincronicità) che il 23 settembre 2021 a Roma è venuto a mancare Giuseppe Mancini, con il quale da anni intrattenevo una fitta corrispondenza e che potrei definire, pur non avendolo mai incontrato di persona, a tutti gli effetti un amico. Aveva tenuto segreta la malattia che una mattina di primo autunno l’ha portato via in un ospedale della Capitale, dopo un trapianto non riuscito di midollo.

Giuseppe aveva svolto da Istanbul, con rigore e intelligenza, il suo compito di giornalista e analista politico negli anni bui di odio (indotto e quasi “coatto”) contro tutto ciò che fosse turco, offrendo migliaia di spunti e rivelazioni “dall’interno” a chiunque gli si rivolgesse con animo sincero e voglia di comprendere la verità su un mondo che una inafferrabile propaganda imponeva agli italiani di respingere come nemico e inospitale. Diversi articoli di questo blog sono ispirati direttamente ai suoi consigli e osservazioni.

Così lo ricorda la redazione della TRT, la tv di stato turca:

«Sono giorni tristi per la comunità italiana in Turchia e per i turchi, colleghi, amici o semplicemente followers che piangono la prematura scomparsa di Giuseppe Mancini. Giornalista e blogger, Mancini è arrivato a Istanbul circa dieci anni fa. Sagace osservatore delle dinamiche interne di un Paese peculiare e dinamico, si è da subito contraddistinto per il suo piglio diretto e, a volte, tagliente, mirato a difendere l’immagine della Turchia, troppo spesso stereotipizzata e dunque vituperata.
Lo scontro è stato il suo cavallo di battaglia: Giuseppe sfidava chi si faceva portavoce di istanze diverse dalle sue e lontane dal sentire comune della psicologia sociale turca. I suoi affondi sono noti a tutti, Giuseppe ha diviso l’opinione degli adetti ai lavori in nome di quei principi che riteneva indissolubili perché fondati sulla giusta interpretazione delle cose. A onor del vero, ci siamo imbattuti un po’ tutti nella sua logica mirata all’attacco, faceva parte del suo essere. Il suo approccio dirompente, però, ha pagato in temini di consensi, soprattutto da parte turca: tanti i seguaci sui social e le attestazioni di stima e apprezzamento ai suo tweet che, con fare provocatorio e retorico, smontavano tesi comode e “per sentito dire”, costringendo ad avviare riflessioni accurate. Il popolo web si è recentemente stretto attorno al dolore della famiglia, dimostrandosi sinceramente sconcertato dalla perdita di chi era diventata una presenza fissa delle tribune virtuali.
Da più parti giungono messaggi di cordoglio: giornalisti, opinionisti, accademici, diplomatici esprimono indistintamente il dispiacere nell’apprendere la notiza che mai nessuno avrebbe voluto leggere. Giuseppe era un amico, l’amico dei turchi e della Turchia, prima di tutto. Anche chi non lo ha conosciuto personalmente, ma ha appreso la triste novella, ha avuto parole di simpatia verso chi si è sempre speso per far cadere pregiudizi e luoghi comuni. Descritto come un professionista, dotto e disponibile, Giuseppe Mancini era una delle colonne portanti della comunità di commentatori, italiani e internazionali, che si occupano di cose turche. E la sua conoscenza della Turchia, comunque, trascendeva le piattaforme virtuali. Istanbul era la sua dimensione, anzi sarebbe più corretto dire che era il suo mondo. Contributor di diverse testate e autore del blog Istanbul Avrupa e Zingarate/vivereistanbul, Mancini era profondamente appassionato della storia e della cultura della città del Bosforo, che riusciva a sintetizzare con dovizia di particolari, ricongiungendo mondi e tradizioni lontane in una traiettoria analitica resa fruibile al pubblico più vasto. Conosceva ogni luogo, anche quello più nascosto e meno battuto veniva pubblicizzato nei suoi scritti inserendolo in letture storiche e culturali che andavano ad arricchire il già composito patrimonio di cui lui era promotore. Una mente articolata come la sua personalità: Mancini si è speso molto nel costruire ponti culturali tra Italia e Turchia, Paesi a cui apparteneva orgogliosamente. A volte scomodo, spesso in sordina, il suo contributo non è passato certamente inosservato.
Oggi avvertiamo il vuoto di chi è stato capace di intrattenerci non vivendo mai sul crinale. Istanbul piange un figlio adottivo, ma comunque fedele, e noi tutti preghiamo che la terra gli sia leve, consapevoli dell’importanza della traccia che Giuseppe Mancini ha lasciato dietro di sé. Ciao Giuseppe, continua il tuo viaggio alla scoperta di altre meraviglie. Alla famiglia, le nostre più sentite condoglianze. Başınız sağ olsun».

Davide Piccardo de “La Luce” (testata per cui aveva iniziato a scrivere da qualche tempo), lo commemora riconoscendone due qualità in particolare: “Lavorava per passione, in maniera del tutto disinteressata e quindi onesta e poi detestava tutto ciò che puzzasse di pensiero unico e di propaganda, che fosse di stampo colonialista, orientalista, turcofoba o islamofoba“.

Questo disinteresse e onestà da parte di Giuseppe, al di là di tutto l’aiuto offertomi (a un tizio anonimo il cui unico merito era conoscere il turco e non allinearsi alla demenziale narrativa “anti-ottomana”), si rispecchia anche in un episodio avvenuto due anni fa: quando uno di quei dottori (no pun intended) che io definirei “geopoliticanti” mi tacciò di essere un “troll di Erdoğan” semplicemente perché mi limitavo a rispondere alle sue sparate anti-turche dettate da pregiudizi e schemi ideologici (forgiati da un limes che talvolta sembra più un limus), si schierò in mia difesa su Twitter con lo stile sardonico e brillante che lo contraddistingueva.

E tutto ciò, peraltro, nel periodo del “pandemonio” che non solo ci aveva fatto perdere i contatti, ma aveva anche influito sulle nostre discussioni più recenti, vertenti perlopiù sui virus avuti in passato che non avevano suscitato il benché minimo allarme a livello pubblico (Giuseppe ricordava di essersi preso qualche anno fa a Istanbul un’infezione intestinale duratagli poi a lungo, con gli stessi sintomi che io stesso avevo sperimentato dopo un viaggio ad Atene durante lo stesso periodo – ricordare anche questo dettaglio scatologico, à la Ravelstein, penso lo avrebbe divertito).

Giuseppe Mancini mi aveva anche consigliato volumi essenziali, come quelli sugli italo-levantini della collana “Quaderni del Bosforo” delle Edizioni Isis di Istanbul (quante battute sul nome della casa editrice, ai tempi in cui Erdoğan veniva considerato una sorta di “padrino” dell’organizzazione terroristica) e talvolta anche procurati, considerando la difficoltà sia per costi che per reperimento (come Ottomans and Armenians. A Study in Counterinsurgency di E.J. Erickson).

Anche il suo ultimo intervento sui social è dedicato a smentire l’idea di una Turchia incapace di fare i conti col proprio passato e arroccata su un “identitarismo” che non rispecchia in alcun modo la realtà di un caleidoscopio di identità sempre alla ricerca di un fondamento comune.

In Turchia non festeggiano il “giorno dei morti”, ma c’è una ricorrenza simile, la Berat Kandili (che fa parte delle cinque notti sante islamiche). So che molti compagni di viaggio l’avranno ricordato anche quest’anno. Personalmente, pur avendo scoperto la sua scomparsa con colpevole ritardo, non lo dimenticherò mai. Toprağı bol olsun, amico mio.

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