Geert Wilders, l’indo biondo che fa impazzire il mondo

Antropologi, genealogisti e semplici giornalisti si sono interrogati in questi anni sulle origini di Geert Wilders (la “g” del nome si pronuncia con una specie di scaracchio trattenuto).

Secondo l’antropologa Lizzy van Leeuwen, l’astro nascente del populismo europeo avrebbe mentito sulle proprie origini (come dimostra il volume biografico del 2008, Veel gekker kan het niet worden [“Più pazzi di così non si può”]), omettendo dettagli “compromettenti” sulle sue vicende familiari.

La madre di Wilders, infatti, nacque a Sukabumi, nelle Indie orientali olandesi da un addetto all’amministrazione coloniale, Johan Ording, e dalla discendente di un’antica famiglia ebraico-indonesiana, Johanna Magdalena Meijer.

Il nonno di Wilders, Ording, fu poi congedato per i ripetuti dissesti finanziari causati all’amministrazione, e nel 1934 costretto a tornare nei Paesi Bassi con la moglie e otto figli. La signora Johanna Ording-Meijer, abituata a uno stile di vita nobiliare in Indonesia, dovette accettare di diventare la versione olandese di una Pied-Noir.

Wilders is een Indo, quindi. Secondo la van Leeuwen (che ha scritto l’articolo più completo sulla vicenda, De politieke roots van Geert Wilders, “De Groene Amsterdammer”, 2 settembre 2009), tale condizione avrebbe alimentato l’estremismo e l’islamofobia di Wilders.

Gli olandesi delle ex-colonie infatti si considerano da sempre “più olandesi degli olandesi” (Hollandser dan de Hollanders): sia dai tempi in cui vivevano in Indonesia avevano una mentalità da boeri, da assediati, tanto che molti di essi negli anni ’30 aderirono al Partito nazista olandese.

I sentimenti revanscisti si acutizzarono col ritorno forzato nei Paesi Bassi: l’intolleranza verso l’islam, un abito già adottato verso i “selvaggi”, si rafforzò nel confronto con le altre “minoranze” (in particolare turchi e marocchini) che all’epoca si riversarono nelle principali città olandesi.

Il padrino politico di Wilders, Frits Bolkestein, noto per l’infausta “direttiva” che porta il suo nome, fu uno dei pochi del suo partito (il liberale VVD) a opporsi all’entrata della Turchia nell’Unione Europea (oggi, dopo i noti screzi, è una cosa che non vuole più nessuno ma fino a pochi anni fa era un’idea piuttosto  à la page). E pure Bolkenstein è di origine “india”, quasi a testimoniare una comunità di intenti consolidata da una storia condivisa.

È noto comunque che Wilders talvolta sia disposto a sbandierare le sue origini ebraiche per opportunismo: per esempio quando si proclama “miglior amico di Israele”, propone il trasferimento dell’ambasciata olandese da Tel Aviv a Gerusalemme oppure auspica una “soluzione sionista” al problema dell’estremismo islamico in Europa.

Nemmeno gli israeliani, in verità, si fidano troppo di lui, sia perché in genere nel Vecchio Continente fanno il tifo per le forze progressistiche (per ragioni “cosmetiche” e per avere la coscienza a posto quando sostengono la destra a casa propria), sia perché Wilders fa discorsi punto simpatici. Come nota il “Times of Israel”: «When Trump says that he wants to make America great again, that sounds very different from Wilders saying to Germans that we will make Germany great again. Great … again? Very different». Good point.

All’occorenza Wilders potrebbe persino sfoggiare una moglie ebrea, l’ungherese Krisztina Marfai, e ben una quarantina di viaggi in Israele. Dipende dalle occasioni, come abbiamo detto: il suo “sionismo olandese” sembra piacere ai sostenitori più beceri (in passato ha ammiccato al Grootneerlandisme, auspicando l’annessione delle Fiandre), mentre l’islamofobia è una caratteristica più apprezzata dai “moderati” (come tutti sanno, Wilders è anche sceneggiatore e nel 2008 ha esordito col cortometraggio Fitna, all’epoca condannato da tutti gli olandesi, comprese le associazioni ebraiche, e oggi invece considerato sempre meno “scandaloso”).

Non sappiamo se Wilders riuscirà a realizzare le proprie ambizioni, tuttavia per il futuro gli consigliamo di fare incetta di acqua ossigenata e tinta per capelli, perché la ricrescita potrebbe comprometterne l’ascesa.

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