Il contante inquina ma io posso aiutarvi a smaltire le banconote a impatto zero

Un tizio che si presenta come Oscar Diaz mi propone di pubblicare sul blog un articolo dal titolo Il Costo Ambientale del Contante: Un’Analisi Critica, che in base all’assunto che “i pagamenti digitali hanno un’impronta di carbonio inferiore del 21% rispetto ai pagamenti in contante” auspica per l’Italia la progressiva riduzione dell’uso dell’orribile cartamoneta “in armonia con gli obiettivi globali di riduzione dell’impronta ecologica”. Naturalmente l’articolo in questione (che dubito sia stato scritto da mano umana) è infarcito di link a siti che promettono di indirizzare gli utenti verso “la migliore offerta di luce e gas sul mercato Italiano”.

Si tratta senza dubbio di una classica operazione di spam, ma dal momento che piscis primum a capite foetet, bisogna ammettere che il Gran Visir degli spammer a ispirare tale iniziative resta sempre l’Unione Europea, che non a caso sul sito della BCE ci mette al corrente che “l’utilizzo delle banconote in euro come strumento di pagamento da parte di una persona in un anno ha un impatto che equivale a 8 km percorsi in automobile”, secondo i risultati di uno studio sull’impronta ambientale degli euro (pagato in contanti con i contribuenti dei cittadini europei?).


D’altro canto è la stessa BCE, protagonista perpetua delle più imbarazzanti “campagne di digitalizzazione” a informarci ufficialmente che:

«Una certa quantità di contante in circolazione è necessaria per il corretto funzionamento dell’economia. Il contante è lo strumento di pagamento dominante nell’area dell’euro: la netta maggioranza dei nostri pagamenti quotidiani è effettuata utilizzando banconote o monete. Il contante è inoltre essenziale per l’inclusione dei cittadini socialmente vulnerabili, come gli anziani o le fasce della popolazione a più basso reddito».

Addirittura la Banca Centrale comincia a snocciolare le virtù del contante manco fosse un dentista abusivo. Cito testualmente: Assicura a tutti libertà e autonomia; Ha corso legale; Garantisce la privacy; È inclusivo [comunque gli immigrati devono sempre metterceli in mezzo]; Aiuta a tenere traccia delle proprie spese; È veloce; È sicuro; È una riserva di valore.

Cari padroni del mondo, mettetevi almeno d’accordo col vostro cervello. Perché questa faccenda dell’abolizione del contante (riproposta di volta in volta con un diverso colore – oggi il verde) riporta alla mente il primo “esperimento sociale” di un certo tenore condotto in tempi recenti (fine 2016): mi riferisco alla scelta da parte del governo indiano presieduto da Narendra Modi di abolire le banconote da 500 e 1000 rupie (quelle con sopra Gandhi) allo scopo di “combattere la corruzione” (ipse dixit).

Un saggio in corpore vili (senza alcun riferimento alle condizioni igieniche dell’India)  accolto per l’appunto con tutto l’entusiasmo possibile dai potentati politico-finanziari (in primis il Fondo Monetario Internazionale), disposti a elogiare sulla fiducia il “coraggio” del premier Modi, la cui “mossa geniale” tuttavia provocò un pressoché immediato disastro sociale ed economico (non era evidentemente un dettaglio da sottovalutare il fatto che i “pezzi di carta” aboliti, del valore di 8 e 16 dollari circa, costituissero l’86% di tutto il denaro in circolazione in India).

Ovviamente i riciclatori di “denaro sporco”, gli evasori e i criminali internazionali non risentirono in alcun modo del provvedimento, il quale semmai danneggiò i ceti deboli, le piccole imprese e gli agricoltori, tanto che un membro dell’opposizione del Congresso Nazionale Indiano (di orientamento socialdemocratico) paragonò Modi a Hitler, Mussolini e Gheddafi.

Il carattere dispotico dell’azione, all’epoca sottolineato pure dal Nobel Amartya Sen, risultò subito evidente: basta solo ricordare che la prima “demonetizzazione” indiana risale al periodo coloniale, quando nel 1946 il British Raj ritirò dalla circolazione esattamente le banconote da 500 e 100 rupie.

L’elenco degli “entusiasti”, che sono gli stessi di oggi (perché tale esperienza, come tutte le altre, non gli ha insegnato nulla), è a dir poco sospetto: a parte il summenzionato FMI, oltre ai grandi banchieri e industriali indiani a spellarsi le mani furono la Commissione Europea, i grandi media internazionali e -non si sa a quale titolo- il ministro dell’industria svedese.

Una lista alla quale, secondo un articolo dell’economista Norbert Häring per l’Handelsblatt andrebbe aggiunto il ruolo defilato degli Stati Uniti, a quanto pare primi patrocinatori dell’esperimento grazie all’attivismo di un certo Barack Obama, che attraverso l’USAID (l’Agenzia Governativa per lo Sviluppo) “suggerì” al Ministero delle Finanze indiano di limitare limitare l’uso del contante a favore dei pagamenti digitali.

A tale scopo fu approntato il piano Catalyst: Inclusive Cashless Payment Partnership, presentato così dall’Ambasciatore Jonathan Addleton (allora direttore della Missione USAID in India):

«L’India è all’avanguardia delle iniziative globali per la digitalizzazione delle economie e la creazione di nuove opportunità economiche che raggiungano le popolazioni più difficili da raggiungere. Catalyst sosterrà queste iniziative focalizzandosi sulla sfida per rendere cashless gli acquisti quotidiani».

A livello globale, l’iniziativa rientra ancora nella partnership Better Than Cash Alliance, creata nel 2012 con il patrocinio dell’ONU e che comprende tra i donatori più generosi la Bill & Melinda Gates Foundation, CitiGroup e Mastercard, oltre che Pierre Omidyar, il fondatore franco-iraniano di eBay.

Difficile non notare un qualche conflitto di interessi, ma che importa: dopo le giustificazioni moralistiche (“combattere la corruzione e l’evasione”), ambientali (“ridurre l’impatto delle banconote”), nonché  sanitarie (si ricordi come durante la pandemia la digitalizzazione fu promossa massicciamente per evitare il diffondersi del virus), vedremo forse in futuro istanze  trasnfemministe (“debellare il patriarcato nei suoi simboli più diffusi”) o di qualsiasi altro colore.

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