Il Papa e il Filantropo: l’incontro tra Paolo VI e Rockefeller del 1965

Nel 1965 il magnate John Davison Rockefeller III (1906-1978), incoraggiato dai successi della sua famigerata Fondazione nell’ambito della “pianificazione familiare” (ovvero controllo delle nascite) negli Stati Uniti, riuscì a ottenere un’udienza presso Paolo VI tramite la mediazione di Theodore Hesburgh (1917-2015), rettore dell’Università (cattolica) di Notre Dame e membro, manco a dirlo, della Fondazione di cui sopra.

All’epoca Papa Montini stava per l’appunto meditando sulla questione della contraccezione, con tutta la pressione dalle aspettative di chi pretendeva che nell’affrontare il problema si dimostrasse ancor più “aperto” del predecessore Giovanni XXIII.

Hesburgh, considerato un progressista moderato, fu lieto di combinare l’incontro. Dopo esser stato edotto da alcuni gesuiti della Georgetown University sulle “complessità della Chiesa Cattolica che limitano le libertà di ogni Papa”, il 15 luglio del 1965 Rockefeller III fu ricevuto da Paolo VI per tre quarti d’ora.

Anni dopo, in una lettera all’ambasciatore Henry Cabot Lodge (l’uomo che organizzò l’assassinio del presidente cattolico del Vietnam Ngo Dinh Diem), ai tempi in cui il diplomatico statunitense era di stanza in Vaticano, Rockefeller descrisse un incontro all’insegna della cordialità, ma decisamente “poco costruttivo riguardo alla questione del controllo demografico, perché in fondo sapevo di non poter chiedere troppo, dato che ovviamente il Papa non avrebbe mai espresso il suo parere prima ancora di assumere una decisione sul tema”.

La “decisione” di cui si parla, così come è esposta nel documento che nel 1968 sarebbe diventato la Humanae Vitae, risultò a dir poco sgradita a Rockefeller, che negli anni successivi tentò ancora, sempre per tramite di Lodge, nuovi approcci con quel Pontefice che aveva così palesemente ignorato i suoi consigli.

Il controllo della popolazione“, scrisse Rockefeller all’ambasciatore, “è il problema più importante con cui dovresti discutere con Sua Santità, ammesso che tu abbia la possibilità di parlargli in modo aperto e informale”. Sempre a Lodge, nel 1970 Rockefeller scrisse che “la Chiesa potrebbe ancora fornire un contributo fondamentale al controllo delle nascite, se solo esprimesse un parere positivo su di esso”.

Il rifiuto della Chiesa di esprimere allora tale “parere positivo” non si può di certo imputare alla mancanza di zelo da parte di Mr. Rockefeller. Infatti, pochi minuti dopo la sua breve udienza col Papa nel luglio 1965, egli si stava già rimproverando per non aver esternato le proprie opinioni in modo convincente. Per cercare di calmarlo, mons. Marcinkus gli suggerì di scrivere una lettera al Papa per chiarire i punti che non era stato in grado di affrontare durante l’incontro.

Il giorno dopo, Rockefeller inviò la sua missiva riguardante “il ruolo fondamentale che la Chiesa dovrebbe assumere nella risoluzione della questione demografica“. Rockefeller, tra le altre cose, illustrò a Paolo VI la sua nuova “creazione”, la spirale intrauterina, definendola “una scoperta di proporzioni epocali, un metodo sicuro, economico e disponibile anche nei contesti più disagiati, e il cui successo tra le masse è già dimostrato dall’esperienza”.

La spirale fu ritirata dal mercato americano nel giro di pochi anni per il numero di cause intentate contro la sua efficacia. Quelli che incolpano la Chiesa di aver perso un’occasione storica con la Humanae Vitae, dovrebbero ponderare le conseguenze per la credibilità (nonché l’infallibilità) papale, nel caso Paolo VI avesse approvato quel contraccettivo.

In effetti molti leader religiosi accolsero i consigli di Rockefeller, in cambio di benefici economici non indifferenti, direttamente proporzionali alla disponibilità ad assecondare i piani del filantropo. I quaccheri, la cui idea di “missione” includeva la distribuzione della spirale alle donne messicane, rappresentano un esempio perfetto di tale condotta.

Probabilmente fu proprio l’accondiscendenza delle varie denominazioni protestanti che convinse Rockefeller a risparmiarsi i convenevoli col Papa e andare dritto al punto. “Dal mio punto di vista”, scrisse nella sua lettera a Paolo VI del 16 luglio 1965, “se la Chiesa non assicura il suo appoggio, ci saranno due conseguenze: la prima è che la popolazione si stabilizzerà sempre più rapidamente, nazione per nazione, senza seguire un percorso preciso, specialmente dal lato morale; la seconda è che, se posso parlare con franchezza, la Chiesa rimarrà tagliata fuori da una questione di fondamentale importanza per il bene dell’umanità. Il cambiamento non può essere né arrestato né rallentato, ma può essere indirizzato. Dal momento che io riconosco l’importanza del ruolo delle vostre chiese, mi angoscia osservare come, nel lungo periodo, tale atteggiamento costerà alla Chiesa cattolica la perdita del suo peso nel mondo“.

Ci si domanda cosa abbia pensato in cuor suo papa Montini leggendo queste righe… Ad ogni modo, la storia ha dimostrato che Paolo VI preferì non ascoltare i suggerimenti di Rockefeller, nonostante tanti cattolici progressisti fossero disposti ad obbedire più al Filantropo che al Pontefice, specialmente quelli alla guida di istituzioni che avrebbero beneficiato delle generose elargizioni della “Fondazione” (quel padre Hesburgh che organizzò l’incontro è un buon esempio).

La sortita di Mr. Rockefeller ebbe altre conseguenze impreviste. Una di queste fu persuadere indirettamente Paolo VI a interrompere la crociata anti-comunista e dare il via alla cosiddetta Ostpolitik. Il 26 giugno 1966, meno di un anno dopo l’incontro con John D. Rockefeller III, Agostino Casaroli, riconosciuto architetto della cosiddetta “apertura a Est”, volava a Belgrado per sancire la normalizzazione dei rapporti tra il Vaticano e la Jugoslavia.

 

Devo le considerazioni di questo capitolo a Michael E. Jones, Libido Dominandi. Sexual Liberation & Political Control, St. Augustine Press, South Bend, Indiana, 2000. Le citazioni provengono dalle sue ricerche personali negli archivi della Fondazione Rockefeller.

One thought on “Il Papa e il Filantropo: l’incontro tra Paolo VI e Rockefeller del 1965

  1. TROVATO IN GIRO:
    VEDO TRASCURATO un po’ da tutti un particolare fondamentale. IL NUOVO RITO DELLA MESSA è del 1969. Prima (1968, ma i riti vecchi per consacrare i vescovi sono stati usati saltuariamente fini al ’72) e PIù del rito della Messa in se stesso ciò che è stato cambiato è stato il rito della Consacrazione dei vescovi. Quello dell’ordinazione dei preti, paradossalmente, è stato cambiato meno di quello dei vescovi.
    E’ il rito della consacrazione episcopale che da adito a forti dubbi. In pratica è una versione esteticamente più brutta del rito anglicano dichiarato invalido per difetto d’intenzione da Leone XIII.
    Ciò che comporta?
    Tante conseguenze che imgarbugliano ancora di più la matassa.
    I “miracoli” di cui sopra, si sono verificati (ammesso e non concesso che siano veri, ma non è ora questo il punto) in Messe celebarate, anche con NOM. ma da preti ordinati prima della riforma?
    O da preti ordinati anche dopo, ma che, a loro volta, hanno ricevuto il sacerdozio, anche con i riti nuovi, ma da vescovi consacrati prima?

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