Israele e l’antifascismo: una storia “italyana”

“Il Giornale” di oggi si domanda che fine abbia fatto Emanuele F1ano, trait d’union italiano fra antifascismo e filosionismo, pezzo da novanta del Partito Democratico defilatosi dalle scene da quando nelle ultime elezioni ha dovuto abbandonare il proprio seggio alla Camera per aver perso a Sesto San Giovanni contro la candidata di Fratelli d’Italia Isabella Rauti.

L’articolo del quotidiano conservatore, per quanto sapido, dimentica di osservare tuttavia come proprio negli ultimi tempi il politico sia tornato alla ribalta per giustificare, manco a dirlo, l’intervento israeliano nella Striscia di Gaza, in veste di garante del “sostegno senza sbavature” del PD al diritto dello Stato ebraico di difendersi con ogni mezzo (probabilmente è per questo ruolo che nel 2019 assurse alla funzione di responsabile della politica estera nel Partito).

La personalità di F1ano, nonostante la contraddittorietà delle sue istanze (o forse proprio per questo), risulta un caso di studio interessante nel momento in cui concorre a rappresentare un certo milieu ebraico milanese, incapace di elaborare una qualsiasi critica alle politiche israeliane (nemmeno sfruttando la dialettica likud-laburisti alla quale molti progressisti si rifanno per “salvare capra e cavoli”) ma al contempo affezionatissima al proprio pedigree antifascista, che li conduce a una completa separazione (non uso il termine “ghettizzazione ideologica” perché potrebbe risultare offensivo) dalla realtà della città e del Paese.

In veste di ottimate, F1ano si è contraddistinto negli ultimi anni per il suo impegno a livello legislativo (frustrato però dai numerosi rilievi di anticostituzionalità) ad estendere il reato di apologia di fascismo all’antieuropeismo, al sovranismo e più in generale a qualsiasi critica alle politiche migratorie europee e italiane.

Stupisce, allo stato attuale, che l’ex deputato in un’intervista recente sia riuscito a definire “apprezzabile” la “posizione molto netta” di Salvini e Meloni su Israele. Non stiamo nemmeno a rivangare le dichiarazioni fatte da F1ano su costoro nel corso degli anni, ma anche alla luce della sua biografia politica ci si domanda se il sostegno a Israele non rappresenti un’ipoteca talmente onerosa da schiacciare qualsiasi buona intenzione “antifascista”.

Del resto, il politico lo scrive esplicitamente nel suo ultimo volume, Sempre con me. Le lezioni della Shoah, presentato dall’immancabile Liliana S3gr3 (con l’altrettanto imprescindibile presenza di Fab10 Faz10), e peraltro pubblicato dalla cattolica Piemme (cosa che non dissuade naturalmente l’Autore dall’evocare «l’antisemitismo di matrice cristiana addirittura professato nelle chiese»):

«Penso che il pensiero della Shoah non sia per noi ebrei lo sprone di una vendetta, ma la spinta a farne una lezione di Democrazia e Libertà, sapendo che gli ebrei hanno rischiato di sparire e che dunque il desiderio di difendere il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele è sacrosanto».

Non è un mistero infatti che Fiano abbia da sempre incentrato la propria militanza politica sul contrasto al “pregiudizio anti-israeliano” che a suo dire allignerebbe nella sinistra italiana, cosa che lo ha portato per l’appunto a fondare nel 2005 l’associazione Sinistra per Israele, della quale dovrebbe essere ancora segretario nazionale.

Il presupposto da cui parte Fiano è dunque che la condotta di Israele vada difesa a prescindere, indipendentemente dai principi a cui essa si ispira. Per certi versi, è come se per la “Sinistra per Israele” non esistesse né destrasinistra, ma solo Israele.

Eppure, al di là delle opinioni che si possono avere sulla questione, se ci limitiamo a considerare la situazione italiana, risulta imbarazzante che debbano esistere uomini, associazioni e comunità alacremente impegnate a ricordare alle “sinistre” che dovrebbero difendere Israele a prescindere. Questo dipende da un ben custodito “Segreto di Pulcinella”, ovvero che nell’assetto politici italiana del dopoguerra, la nazione ebraica ha riscosso simpatie perlopiù a destra.

Per farsi un’idea di quanto sia forte tale legame, una lettura più che consigliata è La destra e gli ebrei. Una storia italiana (Rubbettino, Catanzaro, 2003) di Gianni Scipione Rossi, in cui emergono numerosi dettagli riguardante tale “amicizia”, opportunamente lasciati cadere nell’oblio: per esempio, che verso la fine del 1947

«il quotidiano del MSI [“L’Ordine Sociale”] guardò con palese simpatia a quelli che chiama in un primo tempo “sionisti” e dopo qualche giorno semplicemente “ebrei”, scaricati dagli inglesi».

L’Autore cita a tal proposito una frase significativa di Franz Maria D’Asaro (uno dei primi direttori del “Secolo d’Italia”), tratta da Socialismo e nazione (1985): costui, rispondendo al suo interlocutore Enrico Landolfi (che rimproverava alla destra il passaggio «dalle drastiche negazioni del periodo prebellico ai deliri addirittura filosionisti degli anni settanta e ottanta»), ribadiva

«l’ammirazione per lo spirito nazionale di un popolo che, accerchiato da tutte le parti, difende esemplarmente il suo sacrosanto diritto alla vita».

Con la guerra dei sei giorni, lo Stato ebraico entrò ufficialmente nella pantheon missino in qualità di bastione anticomunista. Nonostante la ridicola nomea di antisemita (appiccicatagli addosso da ex neofascisti che volevano rifarsi qualche verginità), Giorgio Almirante fu in realtà strenuo difensore del sionismo almeno a partire dal febbraio del 1967, quando espresse alla trasmissione Tribuna Politica la sua “ripulsa” delle leggi razziali, e fino al fatidico 1973, anno della Guerra del Kippur, che oltre a registrare l’incondizionato sostegno del suo partito al fronte israeliano, vide uno scambio epistolare tra Giulio Caradonna (deputato romano e segretario provinciale della Destra Nazionale) e il rabbino capo di Roma Elio Toaff.

Caradonna offrì i militanti di estrema destra come guardie del corpo alla comunità ebraica di Roma, minacciata dagli attacchi dei compagni. Toaff rifiutò, ma da quell’offerta nacque un “prudente” dialogo, e un breve messaggio di ringraziamento del rabbino venne portato come “lasciapassare” da Almirante negli Stati Uniti «per contrastare possibili contestazioni d’antisemitismo».

Oltre a ciò, è doveroso ricordare anche il lavorio intellettuale di Giano Accame, primo sionista “ufficiale” dell’estrema, a Gerusalemme già dal 1962 come inviato del “Borghese” (giornale ai tempi gestito da Mario Tedeschi, altro ex-repubblichino di origine ebraica). Accame registrò l’apprezzamento da parte degli ambienti di destra della figura dell’ebreo combattente e dell’istituzione del kibbutz come «idea comunitaria basata su valori sociali, nazionali e spirituali».

Sarebbe complicato rintracciare aneddoti simili nella storia dei rapporti tra Stato ebraico e sinistra italiana (tanto meno quella estrema…). Perciò è lecito domandarsi se non sia un po’ schizofrenico continuare a sostenere che “Israele è di sinistra”, e dato che ci siamo, pure “antifascista”. E, giusto per tornare a F1ano e a suoi apprezzamenti sulle “posizioni nette”, come ci si dovrebbe, sempre in qualità di antifascisti, regolarsi, per esempio, con figure come quella di Fiorenzo Capriotti, incursore della Decima Mas che, dopo la guerra, assieme a Nicola Conte della Mariassalto formò l’unità speciale della marina militare israeliana Shayetet 13, della quale venne poi nominato comandante ad honorem?

Capriotti, nonostante non abbia mai rinnegato certi “valori” (come dimostra la sua autobiografia Diario di un fascista alla corte di Gerusalemme), nello Stato ebraico è comunque considerato alla stregua di un eroe nazionale. Anche nel suo caso la “Sinistra per Israele” valuterebbe salvacondotti e lasciapassare in nome di un presunto antifascismo ontologico del popolo ebraico?

Come si vede, i nodi vengono facilmente al pettine, a volte per evoluzioni inevitabili del politico così lineari nella loro dinamica da non potere essere nemmeno addebitate alla fatidica “eterogenesi dei fini”.

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3 thoughts on “Israele e l’antifascismo: una storia “italyana”

    1. Probabilmente ne avrà parlato lui stesso da qualche parte, ma Tedeschi è comunque un tipico cognome ebraico. Il tema è però interessante, considerando anche che combatté nella X Mas assieme ai nazisti.

      1. Grazie, è un tema da approfondire! Ricordo il caso di un esule fiumano, Antonio Neumann, che, seppure di origine ebraica da parte di padre, era cresciuto cattolico e, se non erro, combatté nella X MAS durante la RSI.

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