L’esempio di Nayib Bukele: per combattere il crimine bisogna combattere il crimine

Non so se sia giunto ancora il momento di appassionarsi di Nayib Bukele, il Presidentissimo di El Salvador. Devo ammettere di averlo cominciare a seguire solo dopo che le solite agenzie internazionali hanno preso a definirlo un dittatore e un liberticida, garanzia essenziale (ma non l’unica) che un politico sta dunque facendo il bene per il suo Paese.

Anzi, a dirla tutta, inizialmente avevo guardato con sospetto ai rilievi posti da tali agenzie nel momento in cui coincidevano con l’istituzione del regime di lockdown a livello internazionale, poiché avevo visto personalità quali il filippino Rodrigo Duterte perdere completamente la testa dall’ebbrezza del controllo, adottando gli strumenti eccezionali per il contrasto alla criminalità contro i propri stessi elettori usciti a far due passi in cortile.

D’altro canto non avevo maturato un’opinione totalmente negativa su Bukele, perché rispetto alle politiche draconiane messe in atto dai cosiddetti partiti democratici, almeno questi “generalissimi della pandemia” offrivano il contentino di aver effettivamente usato i manganelli contro spacciatori e assassini e non soltanto su runner e portuali.

Tuttavia, dopo gli incredibili risultati raggiunti in così poco tempo dal Presidente salvadoregno in materia di ordine pubblico, con la nazione passata dai primi agli ultimi posti nelle classifiche degli omicidi attraverso il semplice arresto dei criminali, successo che ha poi portato Bukele ha ottenere un plebiscito alle elezioni del mese scorso (febbraio 2024), ho sentito il dovere di rivalutarlo pienamente.

In primis del personaggio è interessante ricordare l’estrazione: discendente da parte di padre di una famiglia cristiana palestinese (ma con il genitore divenuto in seguito imam), è cresciuto mezzo musulmano e mezzo cattolico e ha sposato una psicologa ebrea. Di questi tempi, sinceramente non nulla da eccepire.

Per quanto riguarda invece la proposta politica, si tratta di un misto di classico populismo e sano liberalismo orientato al bilanciamento tra ordine e libertà, che in democrazia non può che tradursi in una difesa della legalità con ogni strumento che il sistema consente. Bukele inoltre è a tutti gli effetti un candidato “indipendente” anche dal punto di vista formale, avendo liquidato con la sua personalità il decadente bipartitismo degli ultimi trent’anni.

Gli “osservatori internazionali” hanno tentato di ridurre il fenomeno Bukele alla solita pantomima da “Repubblica delle Banane”, caratterizzata dall’ascesa al potere di una cricca che non avendo avuto successo nella criminalità organizzata si è buttata in politica e che avrebbe adottato provvedimenti maquillage corrompendo i boss mafiosi per comprarsi un po’ di pace sociale.

Eppure, i risultati sono stati così rapidi e sorprendenti che le chiacchiere umanitarie stanno a zero: fino alla proclamazione del régimen de excepción all’inizio del 2022, il salvadoregno medio non poteva nemmeno uscire di casa (per pericolo di finire tra le “vittime collaterali” di qualche schermaglia tra delinquenti) né mandare i figli a scuola (perché il rischio che venissero reclutati dalle gang era costante), e i negozianti non potevano gestire le proprie attività senza pagare il pizzo o violare il coprifuoco imposto dalle pandillas.

La “dura repressione” è stata solo caratterizzata dall’arresto in massa dei componenti delle gang. Non ci sono nemmeno stati bagni di sanguestragi eclatanti da far commemorare alle opinioni pubbliche con bandierine, striscioni e candeline: il governo di Bukele si è limitato a inasprire le pene per i capimafia (che in precedenza erano al massimo di nove anni!) e abbassare l’età della responsabilità penale da 16 a 12 anni (considerando che le cosiddette maras riuscivano ad assoldare migliaia di ragazzini proprio per la garanzia di totale impunità offerta dalla loro giovane età).

In tutto questo, l’unica difficoltà è stata quella per l’appunto di doversi subire il piagnisteo quotidiano sui “diritti umani”: ma il Nostro non ha mai utilizzato tale fastidio quale alibi per giustificare l’inerzia e il lassismo, un comportamento al quale invece sono adusi  i destrorsi occidentali una volta al governo. Anzi, Bukele non si è mai tirato indietro nel puntare il dito contro i suoi nemici, e nei suoi numerosi discorsi ha apertamente attaccato le organizzazioni internazionali e persino gli Stati Uniti per aver portato il Paese sull’orlo del collasso (per esempio, tra le altre cose, rispendendo i criminali salvadoregni in patria ma al contempo impedendo al governo di processarli sempre per la questione dei limiti di età).

Ho deciso di far tradurre dall’intelligenza artificiale uno dei discorsi più noti di Bukele contro l’umanitarismo peloso dei suoi avversari. Devo osservare, con imbarazzo, che nella nostra lingua la sua voce mi ricorda quella di Gianluigi Paragone, e la cosa mi fa abbastanza sorridere perché sinceramente trovo difficile pensare che l’ex senatore “panpopulista” potrebbe in qualche modo rappresentare una versione anche solo “all’amatriciana” del campione salvadoregno (forse il tono è simile per motivi generazionali, o addirittura… etnici?).

Non che nel panorama politico nostrano spicchi qualche altra personalità in grado di provvedere a una minima “manutezione” dell’ordine pubblico: da questa prospettiva, la Meloni e i suoi accoliti dovrebbero andare a nascondersi. Lo stesso discorso purtroppo vale però per l’intero schieramento delle nazioni occidentali: sembrano tutti terrorizzati dall’idea che qualcuno possa definirli “cattivoni”.

Mi pare che anche le favole del Deep State e delle minacce occulte abbiano fatto il proprio tempo: Bukele sta spadroneggiando nel cortile di casa degli americani e, come si diceva, non si è mai negato alcuna provocazione, ma non per questo è stato fatto saltare in aria dalla mafia o è incappato in qualche “Mani Pulite”. Le spiegazioni dunque si riducono a meno di un paio: o si tratta di una incapacità delle classi dirigenti occidentali non solo politica ma addirittura umana, oppure di connivenza con un sistema che si serve della criminalità come strumento di controllo.

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One thought on “L’esempio di Nayib Bukele: per combattere il crimine bisogna combattere il crimine

  1. Bukele sta spadroneggiando nel cortile di casa degli americani e, come si diceva, non si è mai negato alcuna provocazione, ma non per questo è stato fatto saltare in aria dalla mafia o/ è incappato in qualche “Mani Pulite”.
    Speriamo di non essere (più o meno a breve) costretti a modificare il contenuto dell tre righe di cui sopra.

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