Zelenskij cambia la data del Natale per oltraggiare la Russia: e se invece stesse oltraggiando la stessa storia ucraina?

Quest’anno, per la prima volta dal 1917, l’Ucraina per decisione di Zelenskij ha festeggiato il Natale il 25 dicembre invece del 7 gennaio, come “affronto ai credenti ortodossi” (così giulivamente riporta la stampa italiana).

Andrebbe ricordato anche altro: che in Ucraina, per esempio, il Natale è stato introdotto con la cristianizzazione del Khaganato di Rus da parte del principe Vladimir nel 988, episodio storico che proprio a causa dell’attuale conflitto è stato sottoposto a tentativi di revisione, con l’invenzione di “comunità protocristiane” (in senso lato) della Rus’ di Kiev, nella quale invece, prima della conversione del Gran Principe, si praticava una forma di politeismo che combinava elementi europei, slavi ed asiatici (la tipica roba che affascinava i cultori delle “religioni seconde” occidentali prima di questa guerra, ora evidentemente passata di moda in favore di una ipocrita, se non pornografica, esaltazione della cristianizzazione).

Un altro elemento da ricordare è che il concetto stesso di “Natale” in Ucraina ha una storia recente, prealtro sempre calibrata sulle evoluzioni dell’ortodossia: fu la consorte prussiana di Nicola I a introdurre le varie “tradizioni” moderne, con un percorso simile a quello subito dal Natale italiano negli ultimi decenni, “occidentalizzato” (per così dire) perlopiù per motivazioni economico-politiche.

In virtù di ciò fu agevole per i bolscevichi ridurre il “Natale” a una celebrazione borghese-pagana, con gli stessi argomenti che i loro eredi non dimenticano di rilanciare ogni anno. Interessante comunque osservare che l’Unione Sovietica mantenne tutte le “belle tradizioni” come gli alberi addobbati nelle piazze, lo scambio di doni, i pranzi di famiglia e -naturalmente- un lungo periodo di ferie per rinfrancare la classe lavoratrice nei lunghi e freddi inverni slavi.

Da notare inoltre che fu sostanzialmente il buon Stalin a introdurre per la prima volta in terre come il Kazakhistan o la Mongolia l’idea di “Natale” seppur svuotata di qualsiasi contenuto religioso. Nonostante questo, è un fatto che dopo il crollo dell’URSS le nuove repubbliche centroasiatiche, in una prova generale di neoislamizzazione, abbiano provato a proibire il “Natale”: una decina di anni fa l’Uzbekistan cercò di dirottare la “tradizione natalizia sovietica” nella prospettiva del Nowruz (il cosidetto “capodanno musulmano”), auspicando di sbarazzarsi di ammennicoli come il famigerato “Nonno Gelo”, il Babbo Natale russo, perché contrari al “folklore locale”.

Il tentativo, come prevedibile, non sortì il risultato sperato. L’uomo è una creatura strana e talvolta le “tradizioni da difendere” sorgono ogni cinque minuti. Ad ogni modo ogni scelta comporta sempre un prezzo da pagare: Zelenskij può spostare il Natale, costringere gli ucraini a convertirsi a qualche culto cristiano-americano, adottare l’alfabeto latino e tante altre cose, ma non può illudersi ancora che un qualsiasi maquillage possa far vincere la guerra a Kiev. Spero almeno che per far tornare i riflettori sull’Ucraina non si metta a schiacciare il bottone dell’atomica con il suo uccello come ai tempi in cui ci suonava il pianoforte.

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