2023: Fuga da Barbieland

Voglio riprendere il dibattito riguardante Barbie come elogio del patriarcato, aggiungendo solo qualche precisazione introduttiva: in primis, non sono io ad aver formulato per primo tale teoria interpretativa, ma tanti coraggiosi intellettuali americani dei quali citerò un paio qui di seguito; in secondo luogo, io non ho consigliato di vedere il film, o perlomeno di vederlo al cinema (ognuno deduca quel che vuole da questa affermazione); infine, non penso che guardare Barbie sia di per sé una manifestazione di omosessualità maggiore che non quella di guardare qualsiasi altro film (potrei fare un’eccezione per la serie giapponese È dura essere un uomo, consigliata da un lettore, che tuttavia non ho ancora avuto modo di guardare e perciò giudico eccellente solo sulla fiducia).

Come prima citazione (che in realtà raccoglie una serie di tweet e che riporto quindi come una sorta di crestomazia), partirei con 𝕊𝕀𝔼𝔾𝔼, account chiaramente destrorso che riprende il tema “patriarcale” usando come spunto la cosiddetta “casa lunga neolitica” [longhouse], simbolo della società ipoteticamente matriarcale degli “agricoltori”. Le conclusioni a cui giunge sono pressoché identiche alle mie, probabilmente perché partono da simili presupposti ideologici e politici:

«La cosa più interessante di Barbie è la rivolta incruenta di Ken contro la “Casa Lunga” [Longhouse]. Voi siete Ryan Gosling, Gosling è Ken, Ken è Prometeo, e forse lo siete anche voi. Diamo un’occhiata ai parallelismi tra il mondo di Ken e il nostro.
Ken siete voi. È la caricatura di un uomo occidentale del XXI secolo: ansioso, confuso, a caccia di donne a cui non importa niente di lui. Egli evade dalla Longhouse e scopre la propria volontà di potenza. Come voi, decide di riportare questa conoscenza ai suoi simili.
[…] Gosling si ritrova a interpretare Ken, una bambola progettata per competere in eterno per l’amore di Barbie, un liberal medio fin troppo moderno in un mondo ginecocentrico. Il fatto è che Gosling non è da solo, ma circondato da altri Ken tutti con lo stesso unico obiettivo: attirare le attenzioni di Barbie. Come granchi in un secchio, i Ken cercando di sopraffarsi a vicenda nel tentativo di impressionarla. Uno spettacolo fin troppo familiare.

Come nella Longhouse, Barbieland è costellata di case senza muri che impediscono ogni riservatezza. L’attività sessuale è limitata nelle vere “case lunghe” per questi motivi, ma a Barbieland è addirittura resa impossibile dalla mancanza di genitali, nonché di alcun concetto di sessualità, nelle bambole.
In principio Ken rappresenta l’uomo ideale per una femminista: totalmente sottomesso, coltiva un desiderio di Barbie che non è nemmeno sessuale, ma dovuto solo all’ingegneria sociale [programming]. Non sa perché vorrebbe dormire con lei, sa solo che è un qualcosa che dovrebbe desiderare.
Tutto cambia quando Ken ha l’opportunità di fuggire dalla Longhouse e godere di un assaggio del mondo patriarcale reale. Ken è subito ammirato dalle conquiste dell’uomo faustiano. Sviluppa un fascino per i cavalli e gli incarichi di alto profilo, e si sente rispettato. Piuttosto che restare in un mondo in cui gli uomini vivono meglio, Ken decide tuttavia di tornare a Barbieland. Come Prometeo, Ken riporta il fuoco della volontà di potenza agli altri Ken, gli uomini con cui era in competizione solo pochi giorni prima, quelli che a lungo aveva ritenuto avversari nella Longhouse. Ken porta queste idee a Barbieland ed esse cominciano ad appassionare anche le Barbie.
Quando Barbie ritorna, scopre che l’unica resistenza a Kendom sono le Barbie strane [weird] e l’androgino Alan (penso sappiate chi sono queste persone nella realtà).
Le Barbie strane [weird] cercano di usurpare Kendom facendo letteralmente il lavaggio del cervello alle altre donne attraverso il femminismo. Al fine di rompere l’unità dei Ken, intrecciano relazioni poliamorose per mettere ancora una volta i Ken in competizione l’uno con l’altro.
Sebbene questa sia chiaramente una fantasia, la fuga di Ken dalla “casa lunga” è una cosa che accade ogni giorno agli uomini nella vita reale, così come le giovani donne sono sottoposte a lunghe sessioni di femminismo. Barbie è una rappresentazione esagerata della divisione reale tra uomini, sottouomini, donne e femministe.
Il desiderio di Ken per Barbie lo ha portato al limite della sopportazione, ma è stato il desiderio di elevarsi al di sopra della massa dei Ken che lo ha spinto a uscire dal gregge. In tal modo ha scoperto un mondo migliore del suo, e invece di ricordarlo come un sogno ha voluto condividere la conoscenza per cambiare la sua realtà per sempre. Ken non è soltanto fuggito dalla Longhouse, è tornato per raderla al suolo».

Osservo nuovamente che l’analisi di cui sopra è un collage di spunti da vari thread (ai quali potete risalire dall’originale) e la considera dunque una summa delle tanti interpretazioni di “destra”.

Come contraltare, mi piace citare The Oscar Expert, account gestito da due gemelli che commentato pellicole di successo in maniera politicamente neutrale (nei limiti del possibile) e che su Barbie sviluppano argomentazioni simili alle precedenti (e alle mie) seppur partendo da prospettive opposte:

«Le accuse di misandria nei confronti di Barbie sono false. La regista Gerwig sottolinea chiaramente che i Ken in Barbieland, sotto il matriarcato, non sono in grado di formarsi un’identità e devono fare affidamento sulle donne per la loro autostima, identificando tutto ciò come un un male.
Il risveglio di Ken è rappresentato dal momento in cui si rende conto che esiste un mondo in cui la sua identità maschile può svilupparsi. Affermarsi nella propria mascolinità è ciò che lo rende libero. Il film interpreta il genere sessuale come uno strumento per capire se stessi.
I modelli maschili fanno desiderare a Ken qualcosa di più. La pellicola però riconosce che venerare e dogmatizzare certi standard può essere dannoso, perché è arduo rispettarli. Anche le Barbie hanno i loro standard di bellezza irrealistici che emarginano dalla comunità individui come la “Barbie Strana” [Weird Barbie].
Proprio come avviene con i Ken, ciò che dà potere alle Barbie (le quali si considerano potenti e perfette) è la stessa cosa che causa i problemi nel loro mondo. Il film sostiene chiaramente che qualsiasi genere detenga una quantità sproporzionata di potere può rappresentare un problema e non applica un doppio standard nei confronti della mascolinità o della femminilità.
Quando fa satira sulla mascolinità, mostra uomini che affermano il proprio potere sul genere opposto […], senza implicare un legame intrinseco tra mascolinità e potere. Il film riconosce come il genere possa essere un utile strumento per la scoperta di sé ma anche come possa rappresentare un ostacolo [alla nostra realizzazione].
Barbie […] sceglie di diventare umana, poiché il film ci chiede di riconoscere l’umanità in noi stessi al di là del nostro genere. Penso che sia possibile per gli uomini, dopo aver visto questo film, sentirsi rafforzati nella propria mascolinità. Quelli che sostengono che il film sia contro i maschi voglio fraintendere la pellicola in modo da poter piagnucolare, o forse non sanno come interpretarla correttamente».

Una volta appurato che questa chiave di lettura è, nel bene e nel male, legittima (anche se personalmente non riesco in alcun modo a ipotizzare un “criptomaschilismo” da parte della regista e degli sceneggiatori di Barbie), vorrei aggiungere un elemento di complessità partendo dal commento di un lettore, che interpreta il finale da un’altra angolazione: “Sopra i Ken e sopra le Barbie ci sono i CEO e gli executives. E alla fine del film diventano ancora più ricchi…”.

Forse è questa la conclusione più logicamente, e anche storicamente, ammissibile: qualsiasi forma di “matriarcato” in ultima analisi si riduce sempre a un dominio dei maschi alfa. In effetti il concetto stesso di “matriarcato” è una fantasia pseudofemminista che strumentalizza le testimonianze di sistemi matrilineari, accettando paradossalmente (e anche qui, in modo involontario) di svolgere la funzione di “mito negativo” che ha caratterizzato il dominio della Grande Madre come era del caos primordiale, dell’anarchia e dell’assenza di qualsiasi ordine. Nel caso in questione, il vero “matriarca” sembra proprio essere il capo della Mattel, padre collettivo delle Barbie e dei Ken al pari del despota dell’orda primitiva di freudiana memoria. Probabilmente è costui il “convitato di pietra” di qualsiasi civiltà, in agguato anche nel precario equilibrio tra sessi raggiunto a Barbieland.

2 thoughts on “2023: Fuga da Barbieland

  1. Secondo me, il fatto che Ken (non-shiro) si appassioni di cavalli, potrebbe rappresentare un accenno subliminal parodico alla Cavalleria Occidentale, la Quale rappresenta la protezione del Patriarcato verso il genere femminile.

    1. Poichè senza Cavalleria l’avvento del Patriarcato non sarebbe che mera barbarie vendicativa. Altresì ricordiamo che ogni Codice d’Onore proviene dal Cielo. Tale è il fondamento delle Civiltà superiori.

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