America: il crollo di un impero in diretta su Twich

Derek Chauvin, il poliziotto che ha ucciso George Floyd, è stato dichiarato “colpevole di tutto”, cioè condannato per tutti e tre i capi di imputazione (omicidio di secondo e di terzo grado e omicidio colposo), da un tribunale di Minneapolis. Joe Biden, che ore prima del verdetto aveva invocato una “sentenza giusta”, ha chiamato la famiglia della vittima per congratularsi con loro.


In circostanze diverse, soprattutto senza la minaccia del vandalismo di massa, Chauvin sarebbe stato probabilmente assolto. Ora, si capisce che la mossa del Presidente democratico è volta da riappacificare il Paese, ma lungi dal placare la violenza afro-americana questo finale non farà altro che galvanizzarla: è da tempo che i neri vengono invitati a provocare la polizia e a “cercare la rissa” con chiunque non sia nero.

Un esempio dell’andazzo attuale è quanto accaduto a New York mentre veniva letta la sentenza: i manifestanti di Black Lives Matter hanno insultato delle persone bianche sedute al ristorante intimandole di lasciare la città in quanto “ospiti indesiderati”.

I media, per l’appunto, sembrano davvero intenzionati a fomentare la rabbia nera con breaking news montate ad arte: appena terminato il processo, è stata fatta immediatamente circolare la storia che in Ohio un poliziotto avrebbe ucciso una ragazzina nera indifesa negli stessi istanti in cui il giudice leggeva la sentenza, come a far intendere al pubblico che si trattasse di una vendetta dello sbirro bianco per l’incriminazione del collega.

In realtà il fattaccio era accaduto prima e la bodycam del poliziotto mostra una scena molto diversa rispetto a quella raccontata dai giornalisti: la “ragazzina” è una sedicenne piuttosto in carne (pace all’anima sua) che stava per accoltellare un’altra ragazza nel bel mezzo di una rissa in strada. Anche il sindaco democratico di Columbus, la città dove è avvenuto l’episodio, ha dovuto ammettere che “l’agente è intervenuto per proteggere un’altra ragazza”.

Purtroppo è un dato di fatto che gli afro-americani commettano una quantità sproporzionata di crimini: secondo le statistiche i neri sono responsabili del 62% delle rapine, del 57% degli omicidi e del 45% delle aggressioni nelle 75 contee più grandi del paese, nonostante rappresentino solo il 15% della popolazione in quei luoghi.

Dunque i neri si trovano di per sé ad avere a che fare con la polizia più spesso che i bianchi: in questo periodo gli viene per giunta quotidianamente ricordato che le forze dell’ordine sono loro nemiche e che di fronte a esse è lecita qualsiasi reazione. I media poi si impegnano a propagandare altri miti velenosi, come quello che esista una complicità informale tra “caucasici” e che gli sbirri trattino i bianchi coi “guanti bianchi” (scusate il gioco di parole), quando invece questa cosa semplicemente non è mai accaduta (specialmente negli ultimi decenni in cui appositi programmi statali hanno favorito la “diversità” nella polizia attraverso il noto sistema delle “quote”).

In generale non si vede via d’uscita se non attraverso una guerra civile o un crollo definitivo la cui entità è ancora da apprezzare: ad ogni modo è uno spettacolo desolante, al quale forse sfugge completamente qualsiasi dimensione tragica per il semplice motivo che abbiamo la possibilità di seguirlo 24 ore su 24, senza più alcuno spazio per la drammatizzazione e la suspense. È il classico Quos Deus vult perdere dementat prius, favorito dalla presenza di un “demente”, in senso letterale, al potere.

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