
Tornando alla trama, la conclusione è quella che tutti si aspettano sin dall’inizio: Antoine in una settimana riesce a diventare “padrone dei meccanismi finanziari”, ma dopo aver fatto troppi soldi decide di averne abbastanza e, in un paio di passaggi pastrocchiati, finisce per tornare alla sua vecchia vita di “intelligente”, non prima di aver introdotto «un virus nel sistema informatico della società [in cui ha lavorato], che, collegato alla rete mondiale, doveva provocare alla riapertura dei mercati, all’inizio della settimana qualcosa come un allegro caos finanziario». Se sentite puzza di Fight Club, è non solo perché ai tempi il film andava di moda (più del libro), ma soprattutto perché i francesi sono gli unici ad averlo preso sul serio, come fosse un “catechismo del rivoluzionario”, quando invece pure gli americani, dopo la sbronza adolescenziale da Millennium Bug, ora lo riguardano con un certo imbarazzo (ma già dopo qualche anno la battuta sulla “prima regola” li aveva stancati).
Come afferma una recensione in cui mi sono appena imbattuto, c’est dommage parce que le thème aurait pu être passionnant (neanche oltralpe a dir la verità hanno apprezzato molto l’esordio di Martin Page). Le intenzioni di chi me l’ha regalato erano ineccepibili: mi sono sentito in dovere di essere più severo del necessario proprio per l’aspettativa spietatamente delusa. Nondimeno colei che me ne ha fatto dono si è dimostrata più grande dell’autore stesso, risolvendo la contraddizione tra natura e cultura (o fra arte e vita) con un libro che, almeno a livello ideale, si giustappone alla biografia di chi lo riceve.