Piange la premier danese Mette Frederiksen dopo che la stampa straniera ha raccontato di come nel suo paese non nasceranno più bambini con la trisomia 21. Chiede scusa per l'eugenetica. Ah no, piange per l'orrenda strage di visoni. I bambini "difettosi" possono scomparire tutti pic.twitter.com/GlpmMX6c2r
— Giulio Meotti (@giuliomeotti) November 27, 2020
Il giornalista del Foglio Giulio Meotti è impietoso nei confronti della premier danese Mette Frederiksen, che a suo dire piangerebbe “per l’orrenda strage di visoni” e non per la scomparsa dei down in Danimarca. La battuta ci sta, anche se la Frederiksen non si è commossa tanto per gli animali in sé (che comunque sarebbero diventati pellicce), quanto per le conseguenze che l’abbattimento di 17 milioni di capi, a seguito della scoperta di una mutazione del coronavirus in alcuni allevamenti dello Jutland comporterà. Conseguenze in primis di stampo economico, che getteranno numerose famiglie di allevatori sul lastrico.
Tuttavia, il tema dell'”estinzione” dei bambini con la trisomia 21 in una nazione descritta come la “seconda più felice al mondo” (al primo posto la Finlandia) è appena salito alla ribalta internazionale grazie a uno sconcertante editoriale dell’Atlantic (ripreso dallo stesso Meotti), “un lavoro giornalistico, frutto di mesi di interviste e analisi, su come un Paese europeo, iperwelferizzato, accogliente e all’avanguardia sta praticamente eliminando un’intera classe di esseri umani affetti dalla più comune disabilità genetica”: The Last Children of Down Syndrome, a firma Sarah Zhang.
Il pezzo illustra come la Danimarca stia diventando la capitale mondiale di quella che la bioeticista Rosemarie Garland-Thomson definisce “eugenetica di velluto”, con il plauso della stampa nazionale: “Presto diventeremo il primo Paese al mondo senza un solo cittadino down!”.
Nel 2004 il governo liberal-conservatore presieduto da Rasmussen (poi segretario generale della NATO) rese gratuito il ricorso alla diagnosi prenatale, indipendentemente dall’età o da altri fattori di rischio: l’iniziativa portò in un solo anno al crollo delle nascite di down e in meno di tre lustri a cifre ormai prossime al tanto auspicato zero (23 nel 2013, 24 nel 2016, 18 nel 2019).
Oltre il 95% delle donne danesi a cui viene diagnosticato il rischio di partorire un down scelgono di abortire; non soltanto l’eugenetica è ormai sdoganata, ma la scelta di non interrompere la gravidanza è divenuta quasi un tabù sociale, paradossalmente in un Paese appunto “iperwelferizzato” come la Penisola nordeuropea: gli ultimi bambini down danesi sanno che “ci sono persone che non vogliono che nascano”. Come scrive ancora Sarah Zhang:
“La Danimarca apparentemente non è affatto ostile alla disabilità. Le persone con sindrome di Down hanno diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione e persino ai soldi per le scarpe ortopediche. Se si chiede ai danesi della sindrome, è probabile che chiamino in causa Morten e Peter, due amici down che hanno recitato in popolari programmi televisivi in cui hanno fatto battute e analizzato partite di calcio. Eppure un abisso sembra separare gli atteggiamenti pubblici e le decisioni private. Da quando è stato introdotto lo screening universale, il numero di bambini nati con sindrome di Down è diminuito drasticamente”.
L’antropologa Stina Lou ha intervistato diverse donne che hanno deciso di non portare a termine la gravidanza di un bambino con la sindrome:
“Per le donne intervistate per la sua ricerca, abortire dopo una diagnosi prenatale era molto diverso dall’interrompere una gravidanza indesiderata. Quasi tutte erano gravidanze volute, in alcuni casi molto desiderate dopo una lunga battaglia con l’infertilità. La decisione di abortire non è stata presa alla leggera. Una donna danese mi ha detto quanto fosse terribile sentire il suo bambino dentro di sé una volta presa la decisione di abortire: nel letto d’ospedale, ha iniziato a piangere così forte che il personale ha avuto difficoltà a sedarla. Essa stessa si è stupita della violenza delle sue emozioni, perché era assolutamente certa della sua decisione. Dall’aborto sono passati due anni fa e lei non ci pensa più, anche se raccontandolo al telefono piange”.
La giornalista, analizzando la situazione americana, dove a suo parere l’aborto dei down sarebbe “privilegio” di chi può permettersi lo screening prenatale, conclude che “per chi ha i soldi le possibilità di selezione genetica si stanno moltiplicando”, elencando le frontiere dell’analisi sugli embrioni: diabete, malattie cardiache, colesterolo, cancro, schizofrenia e autismo (quest’ultimo, seppur non ancora disponibile, è il test più alla Genomic Prediction del New Jersey: “La scienza non ci è ancora arrivata, ma la domanda esiste già”).
A contendere il primato alla Danimarca, un altro “Paese europeo accogliente e all’avanguardia”, l’Islanda, dove la media di due nati down all’anno è dovuta solo ai rari errori nello screening. Come ha commentato lo storico americano Peter Nimitz, “l’eugenetica è sempre stigmatizzata, ma le scelte delle persone dimostrano una schiacciante approvazione di tale pratica”. Anche in Paesi in cui la questione non è discussa in maniera così aperta e franca, come la Spagna, la percentuale di aborti dopo diagnosi prenatale è del 95%.