Questo manifesto di propaganda fascista preparato per il Friuli-Venezia Giulia negli anni ’30 è tornato di recente alla ribalta per un “esperimento sociale” (cioè una trollata), modificato ad hoc per farlo sembrare opera della Democrazia Cristiana.
Ci è cascato anche Gianluca Nicoletti de “La Stampa”, che ha poi riscritto l’articolo scusandosi “per aver contribuito alla confusione per il tempo precedente a questa rettifica”, ma nel contempo riaffermando l’importanza della denuncia “della manipolazione strumentale della figura femminile”.
Se è per questo, i miei lettori potrebbero pure smentire la “manipolazione strumentale” dell’originale, visto che quando anni fa l’avevo messa su Facebook erano tutti insorti parlando delle badanti romene delle loro nonne o delle ucraine che pulivano le scale del condominio.
Non so chi sia l’esemplare femminile portato a modello di “estetica comunista”, tuttavia è un fatto che l’Unione Sovietica cominciò a “dare all’occhio la sua parte” con enorme ritardo, anche se pure all’epoca c’erano soldatesse che avercene, come la tiratrice scelta Roza Šanina, le aviatrici Marija Dolina e Lidija Litvjak, nonché migliaia di altre.
C’è chi risponderebbe chiamando in causa le ausiliarie, ma non stiamo troppo a divagare: sono “manipolazioni” della femminilità che bruciano ancora, assieme a marocchinate e stupri di massa dei vincitori, e proprio per questo è vietato toccare l’argomento persino da un punto di vista meramente storico (nemmeno facendosi scudo del femminismo imperante, del quale conosciamo la sensibilità selettiva e interessata, come qualche esempio recente tristemente conferma).