Alcuni padiglioni che ho potuto apprezzare a Expo 2015 con una breve descrizione e qualche foto. Tutto qua.
Riconosciamo ai francesi di aver organizzato uno dei migliori padiglioni dell’Expo, non tanto per la qualità o la scenografia, quanto perché in tema con lo scopo della manifestazione: “nutrire il pianeta”. I francesi lo hanno fatto in maniera trionfalistica e surreale, tanto da far credere che se le condizioni politiche lo avessero consentito, non sarebbe stato incredibile imbattersi all’ingresso in una gigantografia di Depardieu che falcia il grano assieme a Lukashenko (a proposito, un plauso anche al padiglione della Bielorussia, vedi più sotto):
La Francia vuole nutrire 10 miliardi di persone entro il 2050 con cibo francese piacevole e salutare. Pur di portare a termine questo compito è disposta a cambiare radicalmente il proprio modello di sviluppo: emblematico di tale tendenza è la commistione tra natura ammaestrata e tecnologia sorpassata. Le vecchie industrie si conciliano con l’arcadia in un nuovo tourisme industriel, mentre la televisione si impone come media imperante nei secoli dei secoli: per chi muore di fame poi ci sarà sempre una baguette e una bottiglietta di Evian. Quello francese è in realtà il padiglione meno utopistico di tutta l’esibizione e per certi versi è consolante sapere che a gestire la decrescita europea saranno tipi come Hollande e non Pol Pot.
Padiglione del Türkmenistan: il “Corriere” lo descrive come «un viaggio nell’Unione Sovietica degli anni ’80, senza muoversi da Rho». A me invece è sembrato una esposizione allegra e variopinta delle glorie nazionali: i tappeti, i cavalli, la marina militare, gli oleodotti e il presidente Gurbanguly Berdimuhamedow (rappresentato dalla gigantografia all’ingresso). Ho apprezzato anche il bilinguismo dei commessi (russo e turco) e il fascino del Türkmençe, l’idioma nazionale che solo di recente ha assunto l’alfabeto latino su ispirazione della Turchia. L’unica pecca è che tra tutti i libri in esposizione, tra cui un manuale di matematica con la foto del Presidente e il Türkmenistanyň Deňiz we derýa ulaglary döwlet gullugy (“Servizio nazionale di trasporto marittimo e fluviale del Türkmenistan”), mancava una copia del Ruhnama, il “libro dell’anima” scritto da Saparmyrat Nyýazow che tutti i lavoratori statali devono dimostrare di conoscere. Si tratta di uno strumento indispensabile alla formazione morale e intellettuale dei giovani turkmeni. Com’è possibile?
Per concludere, una nota di colore, la leggendaria jurta dei nomadi delle steppe (che sono riuscito a fotografare solo di sfuggita sia per l’affollamento che per un guasto improvviso della fotocamera): purtroppo è stata collocata sul terrazzo, in balia dei commenti pirla dei soliti milanesi ariosi. In questo caso sarebbe stata necessaria una maggior sorveglianza contro la dissacrazione (che per fortuna si è mantenuta solo a livello verbale, dato che comunque qui siamo tutte persone civili).
I regali dello Yemen al mondo: caffè e miele. Ma anche stoffe, il cui eroico commercio non si ferma neppure ora che il Paese è in guerra. La bassa qualità delle immagini è causata dall’emozione per lo spettacolo di luci, suoni, voci e manichini:
Una citazione la merita anche il padiglione bielorusso, nonostante l’accoglienza non sia stata delle migliori: mi ero preparato qualche parola, ma l’addetta alle pubbliche relazioni ha risposto al mio “Iak spravi?” con una specie di singulto (“Prashom”) e poi… si è voltata! Mi avrà scambiato per un provocatore russo? Io sono un ragazzo semplice, dunque avrei potuto benissimo dedurre da questo atteggiamento che la Bielorussa è una landa fredda e inospitale; invece ho preferito crederci ancora e alla fine il volto sorridente di Lukashenko mi ha rassicurato.
Padiglione piccolo ma accogliente come questo meraviglioso Paese.