Fuck you, Goethe! La Germania chiude i Goethe-Institut in Italia e delocalizza anche la lingua tedesca

Goethe in Italia (illustrazione del Goethe-Institut)

A ridosso delle celebrazioni per i settant’anni di attività, arriva come una doccia fredda la decisione del Goethe-Institut di chiudere la storica sede torinese di Piazza San Carlo, attiva appunto dal 1954. Assieme ad essa, nel nostro Paese verranno smantellate anche quelle di Genova e Trieste, in favore di una nuova strategia che vuol puntare sull’Europa Orientale, il Caucaso, il Pacifico meridionale (ne verrà aperta una alle Isole Figi!) e gli Stati Uniti.

Il “riallineamento” [Neuausrichtung] sembra perlopiù dettato dagli ingenti tagli operati dall’Istituto culturale tedesco, conseguente a una notevole riduzione del sostegno finanziario di Berlino. C’è tuttavia dell’altro: la Süddeutsche Zeitung, per esempio, commenta con un perentorio Fuck you, Goethe (citando il titolo di una stupida commediola di qualche anno fa) il disinteresse assoluto delle autorità tedesche per l’Europa unita, stigmatizzando, con toni inediti per un giornale orientato a sinistra, il cosmopolitismo posticcio che nasconderebbe in realtà una mentalità gretta e utilitaristica.


Una forma mentis, per la quale non c’è bisogno di scomodare termini pomposi come Weltanschauung, che ha contributo spesso a forgiare i pregiudizi nei confronti di questo popolo, visto come una combriccola di “bottegai” e che in verità viene ormai rivendicata come parte di un’identità fondata su uno pseudo-realismo talmente miope da apparire come privo di prospettive. Non è un caso che la Welt celebri la scelta, seppur “difficile”, di “risparmiare” [schmerzhaft gespart] come avveniristica:

«L’istituto vuole risparmiare sui costi fissi del personale e sugli immobili e in cambio migliorare i programmi e spostare l’attenzione in quelle zone che attualmente minacciano di separarsi dal “nucleo dell’Europa”, che si tratti del Texas, della Polonia o del Pacifico meridionale. Il Goethe-Institut vorrebbe inoltre intensificare i propri sforzi per attirare lavoratori qualificati dal Brasile, dall’India, dall’Indonesia e dal Messico».

Roberto Giardina, storico corrispondente dalla Germania per diversi quotidiani italiani, ha giustamente fatto notare su Italia Oggi proprio la mancanza di una “visione” nel tanto sbandierato pragmatismo teutonico:

«Anni fa, i tagli furono compensati da nuove sedi scelte con intelligenza. Si aprì un “Goethe” nel Kazakistan, ricco di materie prime, e dove era forte la presenza tedesca (Stalin vi mandò in esilio i russi di origine tedesca negli Anni Trenta). In futuro un ministro kazako, ex allievo del Goethe, avrebbe magari comprato macchine e utensili Made in Germany. Era un risultato della politica culturale, e non il fine principale, quasi unico del “Goethe”, come si pretende adesso».

Nel frattempo i docenti del Goethe Institut di Torino hanno indetto una protesta per esser stati lasciati a casa, alla quale ha addirittura partecipato il sindaco del PD Stefano Lo Russo: «La notizia della chiusura ci ha colto impreparati, non era stata annunciata».

Un professore sceso in piazza ha ricordato che tra gli allevi dell’Istituto nel 1979 ci fu persino Primo Levi, che a sessant’anni decise di ampliare le fonti del suo tedesco, fino a quel momento derivate dal “campo di concentramento, dalla chimica, dagli affari e da qualche libro letto alla rinfusa”. Temo tuttavia che nemmeno questo richiamo, che pure dovrebbe colpire una società sostanzialmente costruita sul mea culpa, impedirà ai tedeschi di procedere all’ennesima débâcle autoinflitta (anche qui, senza scomodare la Götterdämmerung).

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One thought on “Fuck you, Goethe! La Germania chiude i Goethe-Institut in Italia e delocalizza anche la lingua tedesca

  1. …del resto nel 2016-2022 (il periodo che va dal Dieselgate alla guerra in Ucraina) la Germania ha perso la sua terza guerra nel giro di 100 anni. E tutte e tre contro gli americani, già di loro sono “not the sharpest knives in the drawer”… Kultur&Zivilisation ma davanti al gin&tonic calate la testa.

    Bravi crucchi, la prossima copertina dello Spiegel sull’Italia fatela ‘n coppa a ‘sta ceppa!

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