Hardest of the Hardcore
(Death to the World Issue #3, 1994)
Ci sono persone da tutto il mondo che nel corso della storia hanno trovato sostentamento solo in Dio, vivendo per anni senza cibo, casa o vestiti. Siamo lontani dall’esperienza di tali asceti; tuttavia, ci giungono di tanto in tanto dei resoconti delle loro vicende. Il seguente racconto è la storia di un asceta che ha vissuto nelle foreste della Romania fino agli anni ’50.
Nell’estate del 1945, presi il mio bastone e andai oltre la montagna al monastero di Sihastria (Mănăstirea Sihăstria). Volevo confessarmi a padre Cleopa. Attraversato il crinale e giunto alla Valle Sihastria, al limite di una radura chiamata Trapeza mi apparve il volto calmo e santo di un esicasta sconosciuto. Era piuttosto basso di statura, con la testa scoperta, a piedi nudi, rivestito di una specie di lungo ryassa di lana allacciato con una corda di canapa. Non aveva né bastone né borsa, e nelle sue mani portava una corda da preghiera da egli intrecciata con gambi di rose selvatiche. Sembrava mi stesse aspettando. Quando mi ha visto, mi ha benedetto con entrambe le mani e mi ha chiesto, chiamandomi per nome: “Padre Teodulo, vai a Sihastria, da padre Cleopa? Quante volte sono andato al monastero di Sihastria e sono stato in chiesa durante il servizio, ma nessuno mi ha mai visto! So che desideri lasciare Agapia e andare a Sihastria, ma non dovresti andare. Resta al monastero di Agapia e fai il tuo dovere lì, poiché Dio non ti ha mandato ad Agapia invano. Ne va della salvezza della tua santità!”
Quando ho visto che mi chiamava per nome e conosceva anche i miei pensieri, al principio mi ha sopraffatto una sorta di paura e stupore, tanto che non riuscì nemmeno a parlare, soprattutto perché non sapevo chi fosse. Ma le sue parole entrarono nel mio cuore e mi riempirono di una grande gioia spirituale, come non avevo mai provato prima. Allora, prendendo coraggio, gli chiesi: “Come vi chiamate, Reverendo Padre, e da quanto tempo vivete in ascesi da queste parti?” “Mi chiamo Giovanni”, rispose, “e sono della Tighina. In gioventù sono stato vescovo vicario ma, amando più il silenzio e la preghiera, lasciai l’alto ufficio e, ascoltando gli eremi di Oltenia, nel 1915 venni come fratello novizio allo skita di Crasna nel distretto di Gorj. L’abate mi incaricò di occuparmi dell’allevamento di bestiame dello skita. Dopo alcuni anni mi disse: ‘Fratello Giovanni, preparati, perché questa sera ti faremo monaco!’ Non conosceva la mia vita passata. Allora lasciai tutto e quella notte partii per il deserto nelle profondità della foresta. Dopo aver sentito parlare degli esicasti in Moldavia, nel 1920 mi ritirai definitivamente sui monti della Sihla”.
Dopo un breve silenzio, il santo esicasta Giovanni aggiunse: “Padre Teodulo, per favore portami un pacchetto di carta da lettere e un chilo di inchiostro”. “Per farne cosa, Santità?” Il buon asceta, però, indicando con la mano i rami degli abeti mi disse: “Mi servono solo pennini, guarda quante penne Dio mi ha dato!” “Dove, esattamente e quando dovrei portarvi la carta?”, gli chiesi. “Non preoccuparti di questo”, rispose, “il Signore si prende cura di tutto!” “Santità, volete che vi porti anche del pane secco o qualcos’altro da mangiare?” “Non ho bisogno di niente, poiché, per la misericordia di Dio, ho tutto ciò di cui ho bisogno!” Poi, baciandogli la mano, gli chiesi: “Beneditemi Santità!” “Che il Signore ti benedica e mi perdoni!”
Quindi, dopo aver ricevuto la benedizione con entrambe le mani, scesi a valle verso Sihastria. Egli rimase per un istante appoggiato a un abete, per poi sparire nelle profondità della foresta. Una gioia indicibile avvolse la mia anima. Quante cose avrei voluto chiedere a questo grande esicasta, ma nulla volle rivelarmi sul suo ascetismo spirituale nei monti della Sihla, né il luogo dove aveva la sua caverna o capanna.
Dopo un mese ripresi sacca e bastone e andai oltre la montagna verso Sihastria. Volevo parlare con padre Cleopa. Per strada pregai di incontrare il santo esicasta Giovanni in modo che potessi dargli carta e inchiostro. Avevo con me anche del pane secco. Chissà cosa aveva da scrivere! Forse alcuni insegnamenti spirituali segreti; forse consigli sulla preghiera di Gesù, che aveva acquisito nella sua giovinezza; forse alcune rivelazioni divine; o forse, raccontare la propria storia.
Quando raggiunsi la radura di Trapeza, il santo esicasta apparve immediatamente davanti a me senza che potessi vedere da quale direzione fosse venuto. Il suo viso era bianco, luminoso e irradiava una gioia celeste sconosciuta all’uomo comune; il suo cuore traboccava di grande pace e quiete spirituale. Il suo corpo era coperto dagli stessi indumenti ruvidi di lana, lavorati a maglia dalle sue stesse mani. Nella mano sinistra aveva la corda da preghiera di rosa canina e teneva la mano destra sul petto come per la preghiera.
Dopo che gli ebbi baciato la mano e fatto la reverenza, il santo mi benedisse con entrambe le mani, mi baciò sulla fronte, e mi disse: “Padre Teodulo, vai a Sihastria? È meglio che torni ad Agapia, poiché oggi Padre Cleopa è assente. È stato chiamato al monastero di Neamt” “Santità”, gli risposti emozionato, “vi ho portato carta e inchiostro. Ecco anche dei pennini!” “Grazie padre Teodulo. Sapevo che li avresti trovati!” Li ripose poi nella sacca che aveva sulla schiena. “Vi ho portato anche del cibo: pane, frutta e un po’ di vino”. “Possa Dio ricompensare il tuo amore, padre Teodulo, ma non ho bisogno di niente, Dio si prende cura di me.”
Insistetti invano perché prendesse qualcosa. Non aveva nemmeno guardato nel cestino per vedere cosa gli avessi portato. Ma per non rattristarmi, il buon soldato di Cristo mi regalò questo insegnamento spirituale:
“Padre Teodulo, il digiuno è un grande profitto per un monaco. Dovresti sapere che ci sono sette tipi di cibo per gli uomini, vale a dire sette gradi di digiuno.
Il primo: carnivori, che mangiano sempre carne. Questi sono nel grado più basso di digiuno: anche se a volte si trattengono dal cibo, non sono mai in grado di avanzare nella preghiera.
Il secondo: latto-vegetariani, che non mangiano mai carne, ma solo latte, formaggio, uova e tutti i tipi di verdure bollite. Questi sono nel secondo grado di digiuno, che è tenuto dai monaci nei monasteri cenobiti e, molto raramente, dai laici.
Il terzo: vegetariani, che mangiano solo verdure e legumi bolliti o crudi. Questa disposizione costituisce il terzo grado del digiuno, e i monaci più zelanti della vita comune lo osservano.
Il quarto: Mangiatori di frutta, che mangiano pane e frutta cruda una volta al giorno, senza mai assaggiare cibo. Chi raggiunge questo grado di digiuno è in grado di padroneggiare il proprio corpo e i propri pensieri senza difficoltà e può avanzare rapidamente sulla via della preghiera.
Il quinto: i mangiatori di cereali. A questo grado appartengono i monaci – specialmente gli esicasti e gli abitanti del deserto – che mangiano una volta al giorno solo pane nero, cereali e chicchi di grano, mais, miglio, lenticchie, fagioli, piselli, ecc.
Il sesto grado del digiuno monastico è rappresentato dal cibo secco, di solito rispettato solo dai più zelanti abitanti del deserto. Chi vive in questo aspro ascetismo mangia solo pane secco ammollato in acqua, con sale o un po’ di aceto, una volta al giorno, centellinandolo. Così vivevano gli esicasti della valle del Nilo.
Il sesto: il cibo divino o manna, è l’ultimo e il più alto grado di digiuno monastico, che viene raggiunto da pochissimi dopo un ascetismo prolungato, rafforzati dalla grazia dello Spirito Santo. Questi si accontentano solo dei Misteri Purissimi, cioè del Corpo e del Sangue di Cristo, che ricevono solo una o due volte alla settimana, senza assaggiare nient’altro che solo acqua. Dopo difficili tentazioni e ascetismo, e per la grazia di Dio, sono arrivato ad accontentarmi solo dei purissimi misteri, e non ho più fame, né bisogno di pane o verdure…”
Ecco, Padri, a quale grado di ascetismo spirituale era arrivato il santo Giovanni. Poi gli ho chiesto: “Santità, lì nella foresta dove abitate, non avete freddo d’inverno?” “Padre Teodulo, sono un cittadino dei Carpazi, e il Signore si prende cura di me; poiché dovunque mi ha trovato, non mi è mai mancato nulla. Non sento né il freddo dell’inverno, né il caldo intenso del sole, né la fame, né la sete, né alcun altro bisogno terreno!” “Santità”, gli dissi ancora, “desidero fortemente ritirarmi al monastero di Sihastria per essere vicino ai monaci! Avrei più silenzio lì e tempo per la preghiera”. Mi rispose: “Se la metropolia ti ha ordinato di andare ad Agapia, sii obbediente poiché sei stato mandato lì per volontà e comando di Dio! “
Osservando poi che il grande esicasta non voleva più parlare per non interrompere la preghiera di Gesù che aveva nella mente e nel cuore, lo ringraziai per i proficui consigli che mi aveva offerto, mi prostrai davanti a lui, gli baciai la mano e chiesi la sua benedizione. E il santo vescovo Giovanni mi benedisse dicendo: “Il nostro Signore Gesù Cristo ti benedica e mi perdoni!”.
Un altro anno passò con sufficienti prove e tentazioni. Non sentì più parlare del Santo. Nella primavera del 1946, le mie preoccupazioni mi spinsero ad andare a ritirarmi al monastero di Sihastria per qualche giorno. Feci le solite preghiere per il viaggio, presi il mio bastone e attraversai la montagna con il pensiero che avrei rivisto il santo esicasta. Quando raggiunsi la radura Trapeza, il miracolo avvenne per la terza e ultima volta. Ai margini della radura mi aspettava padre Giovanni. Lo stesso volto luminoso, gli stessi occhi limpidi e allegri, la stessa gioia e pace spirituale nell’anima, gli stessi grezzi vestiti di lana sul suo corpo vecchio e consunto. Gli feci la consueta prostrazione e gli baciai la mano, lui mi baciò la fronte, e ci sedemmo entrambi sul tronco di un abete abbattuto dal vento. Niente di terreno lo interessava. Dopo alcuni momenti di silenzio sua santità mi disse: ‘Vorrei tornare nel mio paese natale, a morire lì. Abbiamo foreste a sufficienza…” “Come potete viaggiare ora, che le nazioni non si sono ancora placate?” “Dio mi proteggerà sempre con la sua mano!”
Allora il Venerabile padre, notando la mia tristezza, mi rafforzò nella speranza e mi esortò ad avere grande cura per le anime che mi erano state affidate al Monastero di Agapia, perché esse sarebbero state la mia salvezza. Alla fine, mi benedisse con entrambe le mani e mi baciò. Gli feci la riverenza e così ci lasciammo, mentre i miei occhi si coprivano di lacrime. Egli si ritirò nel deserto tanto desiderato, verso i monti Sihla, e io discesi verso Sihastria. Questo è stato il mio ultimo incontro con lui.
Dal 1946 non l’ho più rivisto. Nessuno mi ha più parlato di lui. Pensavo che fosse partito per i regni eterni, da qualche parte nelle montagne Sihla. Dopo cinque anni, tuttavia, ho sentito che un fratello di Sihastria che allevava le pecore del monastero lo aveva incontrato nelle foreste verso il monte Chitele. Andando al pascolo si accorse all’improvviso che tutte le pecore si erano ammassate e i cani stavano in piedi come sbalorditi. Quando si guardò intorno, vide un vecchio monaco con la barba bianca in mezzo a loro. Era il santo Giovanni! “In che cosa ho peccato oggi davanti a Dio per essere scorto da occhi umani?”, si chiese l’abitante del deserto. Quindi disse al fratello che allevava le pecore: “Fratello Stefano, vieni qui e non aver paura! So che confessi a padre Gioele. Ma per favore, non dire a nessuno di avermi visto!”
Fratello Stefano ha ricevuto i Misteri una settimana e non lo ha detto a nessuno. Ma i suoi pensieri lo spinsero a raccontarlo in confessione a padre Gioele. E il Padre, quando venne a saperlo, prese immediatamente del pane secco e girò per una settimana per le foreste attorno al monastero assieme a padre Bessarione, l’abate dello skita della Sihla, sperando di incontrare il santo Giovanni. Ma non ci riuscirono. Dopo un paio di mesi fratello Stefano, pascolando le pecore attraverso la foresta, si imbatté nuovamente nell’Abitante del Deserto. Era a piedi nudi e con la testa scoperta. Gli fece un cenno con la mano e gli disse: “Fratello Stefano, ti ho chiesto una cosa e tu non l’hai fatta! Sappi che entrerai nell’esercito e non tornerai più al monastero!” E così fu. Il fratello è entrato nell’esercito ed è rimasto nel mondo. Da quel momento non ho più sentito parlare del santo Giovanni l’Esicasta.