Le radici dell’anticattolicesimo negli Stati Uniti

Il dibattito all’interno del cattolicesimo americano è decisamente più vivace e controverso di quello italiano, che ristagna in bergoglismi ormai quasi insuperabili. Se non altro negli Stati Uniti il panorama ideologico è estremamente composito e la stessa identità cattolica deve fare i conti con innumerevoli “contaminazioni” e narrazioni, dal milieu immigratorio alla condizione di “granello di senape” della comunità dei fedeli fino all’eterno Kulturkampf dell’establishment protestante contro i papisti.

Proprio da questo punto di vista, qualcuno ricorderà che l’anno scorso avevo auto-pubblicato su Amazon un capitolo (e una “prefazione” rivolta al pubblico italiano) di un volume di Charlton Graham Parker-Thompson, Le radici dell’anticattolicesimo negli Stati Uniti, il quale peraltro riprendeva il testo di una conferenza tenuta nel 2019 per la Chesterton Society del Maryland.

Alla fine ho deciso di ritirare il libretto in questione e provvedere a cercare qualche mecenate interessato a pubblicare il volume. Purtroppo, come avevo già raccontato su queste pagine, nel 2023 sono sorte alcune incomprensioni tra un importante editore cattolico e lo stesso Parker-Thompson nel momento in cui l’Autore avrebbe preteso di utilizzare uno dei suoi tanti pseudonimi per esordire nel Bel Paese, proposta che non ha convinto gli eventuali patrocinatori del progetto.

Questo è anche uno dei motivi per cui probabilmente non avrete mai sentito nominare il -giovanissimo- intellettuale, che invece è molto attivo sul web anche a livello “memetico” (sue sono, per fare un esempio, la maggior parte delle scenette in cui i conquistadores sono ritratti in veste di Gigachad). Alla fine, soprattutto per spirito di provocazione, Parker-Thompson ha deciso di utilizzare il suo nome di battesimo e affidare l’impresa al suo traduttore, in attesa che un nuovo editore dimostri uno spirito più costruttivo.

Da questa prospettiva, ringraziando infinitamente chi ha deciso di acquistare i due capitoli tramite Amazon, ho deciso infine di pubblicarli qua sul blog. Troverete perciò qui di seguito il capitolo in questione, mentre qui la prefazione, American History Χ-ριστός, rivolta al pubblico italiano (che chiaramente verrà inserita poi nel volume completo).

Le radici dell’anticattolicesimo negli Stati Uniti

John Winthrop, nato nel 1588 nel Suffolk da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà, dopo aver frequentato l’Università di Cambridge intraprese la carriera di avvocato, sviluppando al contempo un forte interesse per la religione, che lo portò a fregiarsi della qualifica di “teologo” e a divenire negli anni ’20 del XVII secolo uno dei protagonisti del movimento puritano (sorto, come dice il nome, per “purificare” la Chiesa Anglicana dal “papismo”). 

Winthrop fu eletto governatore della Compagnia della Baia del Massachusetts, società fondata per colonizzare la regione della Nuova Inghilterra [d’ora in avanti “New England”, ndt] e nel 1630, con un gruppo di coloni puritani, salpò dall’Isola di Wight verso il Nuovo Mondo a bordo della nave Arbella, dando il via alla fondazione della colonia della Baia del Massachusetts.

Il colonizzatore divenne poi governatore, e per diversi anni si concentrò sulla creazione di una società basata sui valori religiosi e morali del puritanesimo. Fu uno dei principali autori della Costituzione della colonia del 1630, che stabiliva una forma di governo democratica ma limitava il diritto di voto solo ai membri della Chiesa puritana. 

Come affermano le odierne enciclopedie americane (corrette e rivedute dai censori del politicamente corretto), 

«nonostante i suoi sforzi per creare una società puritana ideale, Winthrop si scontrò spesso con problemi di ordine pubblico e di giustizia sociale. Ad esempio, fu uno dei principali sostenitori delle leggi contro la stregoneria e della punizione dei dissidenti religiosi, che furono perseguitati ed espulsi dalla colonia».

Winthrop morì nel 1649 a Boston, lasciando in eredità all’immaginario collettivo statunitense uno dei suoi miti più potenti, quello della “libertà religiosa”, prosperato senza soluzione di continuità direttamente dalla propaganda anticattolica dei primi coloni, che abusarono compulsivamente dell’espressione liberty nei loro libelli, manifesti e sermoni.

Una liberty, tuttavia, che non poté essere goduta nemmeno da chi si considerava nominalmente protestante, ovvero, tanto per citare, dai cosiddetti “martiri di Boston” della tradizione quacchera (tra i più noti dei quali Mary Dyer, arrestata e condannata a morte per essere ritornata nel Massachusetts e predicato il suo credo nonostante l’espulsione dalla colonia), dai battisti espulsi per le divergenze teologiche e politiche con i “fratelli”, nonché dai tanti figli degli indiani americani sottratti alle famiglie nell’ottica di una politica di detribalizzazione [1].

Forse potremmo partire proprio da questo punto, e valutare quanto quello spirito di “crociata” (così stigmatizzato dai moderni quando si tratta di valutare le esperienze degli indigeni “non occidentali” sensu lato) non sia stato rivolto dai puritani anche, se non soprattutto, contro i cattolici.

Del resto, «l’opposizione al cattolicesimo fu la prima ragione per cui i calvinisti inglesi salparono per il Nuovo Mondo tra il 1620 e il 1630» [2]: tra di essi, ovviamente, il nostro Winthrop, che caricò di zelo i suoi correligionari, prospettandogli la più santa delle guerre, quelle contro il «regno dell’Anticristo» che i “papisti” (in particolare i gesuiti) stavano erigendo oltreoceano [3]. Il topos della “città sulla collina” [City upon a Hill], sedimentatosi nel corso dei secoli nel discorso pubblico americano, sorge perciò su una labile conventio ad excludendum antipapista.

Prima di convertire gli indiani c’erano dunque da eliminare i cattolici: la retorica violenta dei “padri” puritani corrisponde perfettamente alla loro condotta. Prendiamo il piissimo Roger Williams, bandito dallo stesso Governatore Winthrop anche per la sua sensibilità così “moderna” nei confronti degli indiani, che a suo parere non meritavano neppure l’appellativo di “pagani”: evidentemente il suo astio puritano era tutto rivolto ai cattolici, ai quali non solo non riconosceva alcuna “convinzione” legittima, ma addirittura considerava semplicemente “anticristiani” [4].

I puritani giunsero in America in nome della loro libertà religiosa, la cui essenza era l’anti-cattolicesimo: per certi versi si può sostenere che l’identità protestante tout court inglese e il retaggio albionico dei puritani d’oltreoceano subirono un processo di vicendevole radicalizzazione

Del resto, i sermoni (“trattati”) propagandistici di Winthrop non potevano non esser privi di quella carica fondamentalista che avrebbe dovuto suggestionare i suoi correligionari in maniera così profonda da convincerli non solo ad affrontare un viaggio estremamente pericoloso, ma anche a trovarsi alle prese con gli sconosciuti “indiani”, misteriose creature riguardo alle quali molti dei loro chierici mettevano in dubbio persino l’origine “adamitica” [5].

A fomentare i puritani britannici, tutto sommato non così angosciati dal pericolo di “idolatria” corso dalla Chiesa d’Inghilterra da abbandonare il loro Paese, fu la presenza della minaccia papista da una sponda all’altra dell’Atlantico: perché quindi non fare in modo che il Nuovo Mondo diventasse un modello di “purificazione” per il Vecchio? Questo motivo fu dunque la principale ispirazione per tanti estremisti religiosi a fondare un “baluardo” in grado di influenzare le scelte della madrepatria: pochi di loro volevano “ripartire da zero” in un altro Paese e con un’altra identità.

In poche parole, molti “padri” salparono per l’America sprovvisti della volontà di diventare “americani”, nella misura in cui la loro essenza “inglese” fosse perfettamente sovrapponibile a quella “protestante” (cioè nella sostanza anti-cattolica). 

Questa radicalizzazione di un’identità politico-religiosa ha intrattenuto un rapporto misteriosamente chiasmatico con gli eventi che proprio nel secolo della colonizzazione britannica del Nuovo Mondo caratterizzarono la sempre più marcata protestantizzazione dell’animo inglese.

Prima della cosiddetta “Gloriosa rivoluzione” (il colpo di stato che portò alla destituzione del re cattolico Giacomo II da parte di Guglielmo III d’Orange-Nassau e della sua consorte Maria II Stuart) il destino scismatico dell’isola non era ancora stato scritto, tanto è vero che nel percorso di separazione da Roma non furono pochi i tentativi da parte della Corona di fermarsi prima del punto di non ritorno.

Anche la fine di Carlo I Stuart fa parte di questo processo: si può dire che per certi versi essa rappresenti la dissacrazione completa della Englishness e la sua “possessione” da parte di uno spirito rivoluzionario al cui cospetto impallidiscono tutte le rivoluzioni successive (nonostante il classico schema dei Burkeans imponga una lettura opposta degli eventi, che vede i “cromwelliani” d’oltreoceano come dei riformisti conservatori e i giacobini del Vecchio Continente come precursori dei bolscevichi). 

Penso che gli storici che “parlano inglese” non abbiano ancora avuto il coraggio di maturare un’opinione onesta sugli eventi che caratterizzarono quel periodo, a partire dalla dittatura militare calvinista dei Cromwell (definita a seconda dei casi come Interregnum, Protettorato, Commonwealth, “Periodo Repubblicano” ecc…) fino alla manifesta violazione delle regole tradizionali della successione ereditaria (una «piccola e temporanea deviazione», sempre per i Burkeans nonché per il loro “padrino” in persona), ispirato esclusivamente dall’odio -tutto ideologico e per nulla “teologico”- per il cattolicesimo.

Sicuramente conosceva le inesistenti ragioni “religiose” dei suoi avversari l’arcivescovo di Canterbury William Laud, che sempre durante la “Gloriosa Rivoluzione” seguì il suo sovrano Carlo I al patibolo: tra le accuse che lo portarono alla decapitazione, ci fu anche quella di essersi prodigato per l’installazione di vetrate in varie chiese anglicane allo scopo di insegnare ai fedeli «la bellezza della santità» [6].

L’arcivescovo Laud «trovò le vetrate in cattivo stato, rotte o rattoppate con vetro semplice “come il cappotto di un mendicante”» [7]. Tali iniziative infiammarono la furia iconoclasta dei puritani, che talvolta giunsero a veri e propri atti di vandalismo, come nel caso delle vetrate della cappella di Lambeth Palace da egli patrocinate, specificamente menzionate come prova del suo “papismo” [popery], e rimosse in maniera brutale dai più puri tra i puri.

Un’altra “lezione” teologica che i fanatici offrirono all’Inghilterra fu la proibizione di celebrare la Pasqua e il Natale, tradizioni “barbare e paganeggianti”, che portarono il popolo a organizzare “rivolte natalizie”: a Norwich gli sgherri cromwelliani cercarono di portar via il sindaco ma la città insorse in sua difesa e i disordini causarono una quarantina di morti, mentre nel Kent all’obbligo del grand jury di adeguarsi alle restrizioni la popolazione rispose con un’altra insurrezione.

A tutti questi rivolgimenti seguì un Bill of Rights proposto dal Parlamento nel 1689 e approvato da Guglielmo III, che dietro alle ripetute proclamazioni di liberty celava la totale esclusione dei cattolici dalla vita pubblica britannica:

«Per esperienza si è provato inconciliabile con la sicurezza e il benessere di questo reame Protestante l’esser governato da un Principe papista o da un qualsiasi Re o Regina che sposi un papista, i detti Lords Spirituali e Temporali, e i Comuni, pregano che sia inoltre stabilito che ogni e qualsiasi persona che si sia riconciliata o che si dovesse riconciliare o tenere in comunione con la Sede o la Chiesa di Roma, o che dovesse professare la religione papista o sposare un papista, sarà esclusa e sia per sempre incapace di ereditare il possesso o di ottenere la corona e il governo di questo reame e dell’Irlanda e dei domini che vi appartengono o di qualsiasi parte di essi, o di avere uso o esercizio di qualsiasi potere o giurisdizione regale all’interno dei medesimi; e che in tutti ed in ciascuno di questi casi il popolo di questi regni sarà di qui liberato dal prestare la sua obbedienza».

Per le comunità puritane d’oltreoceano trovarsi in partibus infidelium fu un modo per solidificare definitivamente il loro identitarismo politico-religioso, facendo passare alla storia l’equazione inglese = protestante come un dato di fatto. E il pregiudizio anticattolico assurse di conseguenza a una forma di superstizione colta.

La rottura dell’unità cristiana operata da Enrico VIII, le cui premesse ideologiche impallidiscono di fronte a quelle psicologiche [8], aveva altresì prodotto un coacervo di parrocchiette pseudo-cristiane: un censimento della seconda metà del XVII voluto dall’allora arcivescovo di Canterbury Gilbert Sheldon registrava sui territori della Corona la cospicua presenza di: filadelfiani (setta creata a Londra dai seguaci dell’esoterista luterano Jakob Böhme di stampo smaccatamente painteistico); Fifth Monarchists o “Seguaci della Quinta Monarchia” (movimento millenarista che infiltrò i ranghi cromwelliani per conseguire la “salvezza attraverso il peccato”, cioè distruggere tutte le istituzioni esistenti allo scopo di affrettare la seconda venuta di Cristo); muggletoniani (altri squadroni millenaristi convinti, tra le altre cose, che Dio abbia un corpo umano, che le anime non siano immortali e che la preghiera sia inutile); e, dulcis in fundo, i calvinisti, a loro volta divisi in vari gruppi.

Anche la religiosità di John Winthrop era naturaliter marcata dal disordine arrecato dalla protestantizzazione: il suo calvinismo era infatti improntato al “congregazionalismo”, dottrina che respingeva l’idea di una “gerarchia” (persino nella forma  più blanda proposta dai presbiteriani) in favore di un’organizzazione basata sulla congregatio, cioè una comunità di credenti autocratica [9]

Se qualcuno, oltre che le radici dell’anticattolicesimo, volesse rintracciare in questo anche il germe della singolare dicotomia fra tribalizzazione e individualismo che caratterizza la società americana, dovrebbe forse partire dal paradosso (mai risolto) di una teologia che sostiene il principio anti-autoritario del sola scriptura ma al contempo va alla ricerca di un surrogato qualsiasi di autoctoritas per difendere tale principio.

Le divergenze tra Winthrop e i Padri Pellegrini, entrambi congregazionalisti, rappresentano un capitolo a parte di questa vicenda: proprio qui il puritanesimo mostra tutta la sua logica del “più puro tra i puri”, poiché se il primo, galvanizzato dai rivolgimenti politici della madrepatria, non abbandonò mai la convinzione che un protestante non potesse dirsi che inglese (e dunque continuò a covare l’auspicio di una “purificazione” definitiva della Chiesa anglicana), i secondi, seguaci di Robert Browne, abbandonarono al Vecchio Mondo ogni concetto di “Chiesa” per darsi anima e corpo a un vago e imprecisato “Governo Spirituale del Signore”, nella prospettiva del quale, ancora una volta, non veniva data alcuna indicazione su come si potesse impedire che ogni singolo fedele strumentalizzasse il principio del sola scriptura a uso e consumo dei suoi bisogni (a volte davvero poco “alati”).

Alcuni storici intellettualmente onesti hanno osservato come il “protoliberalismo” di cui viene ammantata la predicazione del Browne, che passò la sua esistenza a definire il Pontefice come “Anticristo” e a paragonare i cattolici a “turchi” o “pagani”, ha valore solo nel momento in cui si rifiuta di considerare l’intrinseco “fondamentalismo” (ci permettiamo di usare anche noi categorie anacronistiche) della sua proposta, che sostanzialmente elegge come “vicario” la Scrittura al posto del Papa confidando che essa (e non gli uomini che di volta in volta la interpretano) avrebbe di per sé condotto al “governo spirituale”.

Ad ogni modo, per avere un quadro realistico della questione, più che soffermarsi sui problemi “dottrinali” (che in realtà sono anche politici), si dovrebbe piuttosto inquadrare la situazione dalla prospettiva dell’anticattolicesimo e le modalità in cui senza tale “strumento” avremmo potuto raccontare una storia degli Stati Uniti completamente diversa.

Il professor Thomas S. Kidd (di fede battista) ha sintetizzato con una formula (storicamente fondata) lo spirito che contraddistinse le comunità puritane di entrambe le sponde d’oltreoceano nella seconda metà del XVII secolo: l’Interesse Protestante [10]. Se l’obbedienza a tale principio nel caso di uno come John Winthrop può apparire scontata, essa lo è decisamente meno nei confronti di quei congregazionalisti che, lasciando l’Inghilterra, avevano abbandonato completamente le speranze di rientrare in una Chiesa Anglicana anche “purificata”.

 Sembra però che proprio i rivolgimenti successivi alla “Gloriosa Rivoluzione”, con la palese disponibilità da parte delle élite britanniche di stravolgere istituzioni e linee dinastiche pur di non aver nulla a che fare con il “papismo”, fecero in qualche modo ritornare i “separatisti” sui loro passi, convincendoli che lo stesso spirito distruttore (pardon, “riformatore”) avrebbe potuto intaccare anche la non più tollerabile gerarchia anglicana.

A riprova dell’inconsistenza dal punto di vista teologico (e non solo) delle varie posizioni assunte dai nemici di Roma, si può additare la principale manifestazione storica dell’Interesse Protestante negli Stati Uniti: invece di una “Gloriosa Rivoluzione”, una rivoluzione colorata ante litteram!

Mi riferisco all’episodio passato nelle cronache nazionali come la “rivolta di Boston” del 1689: raccontata come una sollevazione popolare contro Sir Edmund Andros (1637–1714), dispotico governatore del New England che voleva togliere la libertà commerciale alle colonie in nome degli interessi economici della Corona (peraltro in quel momento ancora in testa a Re Giacomo), fu in realtà una congiura di fanatici puritani che approfittando della “Gloriosa Rivoluzione” replicarono contro un presunto “papista” gli abusi già perpetrati in patria.

Non si invoca il fanatismo a caso: il governatore Andros fu tacciato di popery nonostante non solo non fosse mai stato cattolico (un dettaglio secondario, nevvero?) ma per giunta avesse difeso gli interessi della Chiesa anglicana, secondo la stessa ispirazione con cui il Bill of Rights proclamò sovrano Guglielmo al posto del “papista” Giacomo

Proviamo a seguire la linea logica: gli insorti tacciarono Andros di essere “papista” per aver rafforzato la Chiesa anglicana a discapito delle loro realtà congregazionaliste, ma al contempo quando Guglielmo III salì al potere per rafforzare la Chiesa anglicana, ecco che anche loro improvvisarono una piccola (e dunque poco “gloriosa”) rivoluzione.

Il 18 aprile 1689, in nome dell’interesse protestante, i rivoltosi arrestarono Andros brandendo una bandiera arancione (in onore appunto del nuovo re, il Principe d’Orange) e proclamarono di aver sventato un “complotto papista” e vanificato il tentativo di instaurare una “tirannia papale” da parte di Giacomo II [11]

Non che i parlamentari dall’altra parte dell’Atlantico fosse davvero entusiasti per il “fraterno” supporto: per quanto abbiano attinto energie dalle cellule fondamentaliste delle colonie in senso anti-giacobita (e chiaramente anti-cattolico, da una prospettiva più ampia), le divergenze sollevate dall’impopolare (per così dire) “regime” di Andros rimanevano all’ordine del giorno. 

In particolare, l’estremismo puritano, che vedeva “papismo” ovunque, in alcune occasioni provocò più problemi agli anglicani che ai cattolici: per esempio, in occasione delle celebrazioni natalizie, che i capibastone delle congregazioni vedevano come un rito creato dalla Chiesa Romana solo per corrompere i fedeli concedendogli di “far bisboccia”, i congregazionalisti andavano a molestare gli anglicani tra il 25 dicembre e l’Epifania accusandoli di organizzare “tumulti pagani” e “cerimonie papiste”.

Questa unholy alliance avrebbe negli anni successivi offerto al popolo americano altri imbarazzanti frutti. Solo per fare un esempio conclusivo, già qualche decennio dopo l’ingloriosa rivoluzione di Boston, i puritani erano nuovamente sul piede di guerra con i “papisti” (sempre anglicani!), questa volta individuando la figura del nuovo “anticristo” nelle sembianze di Thomas Secker (1693–1768), primo Arcivescovo di Canterbury a porre seriamente la questione di un episcopato per le colonie.

A scomodarsi per denunciare l’ennesimo “complotto papista” fu nientemeno che l’allora rettore (congregazionalista) di Harvard, Samuel Langdon (1723–1797), mentre il futuro governatore presbiteriano del New Jersey William Livingston (1723–1790) individuò nelle intenzioni dell’Arcivescovo la volontà di sottomettere il popolo americano «agli orridi rituali dell’idolatria e alle ridicole solennità del papismo»

A rincarare la dose, il ministro congregazionalista “ultraliberale” Jonathan Mayhew (1720–1766), che mise in giro la voce che gli “episcopaliani” avrebbero preferito essere in comunione con la Chiesa di Roma piuttosto che andare d’accordo con loro [13].

Questo solo per dimostrare come l’anticattolicesimo, essenza dell’Interesse Protestante e osannato -sempre più in sordina- come ideologia base dell’americanismo, ha rappresentato per l’identità della nazione un’arma a doppio taglio, continuamente pronta a “riformare” istituzioni che già avrebbe voluto distruggere nella generazione successiva.

[1] Oggi nota anche come “de-indianizzazione”, anche se il termine ha acquisito una valenza estesa nell’ambito degli studi postcoloniali.

[2] J. Farrelly, Anti-Catholicism in America. 1620-1860, Cambridge University Press, Cambridge, 2018, p. 5.

[3] J. Winthrop, Reasons to be considered for justifying the undertakers of the intended. Plantation in New England, and for encouraging such whose hearts God shall (trattato del 1629), cit. in The Puritans in America. A Narrative Anthology, Cambridge, Massachusetts, 1985, p. 71.

[4] Le citazioni provengono dal trattato di R. Williams Christenings make not Christians risalente al 1645, nel quale tra l’altro egli critica la pratica del battesimo infantile, sostenendo che esso non può garantire la salvezza eterna e che la vera fede cristiana si basa sulla scelta personale e su una conversione “consapevole”, qualità che nega comunque ai cattolici.

[5] cfr. il discorso di J. Winthrop General considerations for the plantation in New England, with an answer to several objections del 1629.

[6] cfr. I.J. Gentles, The English Revolution and the Wars in the Three Kingdoms. 1638-1652, Routledge, Londra, 2014.

[7] citazione dal classico The Life of William Laud, Archbishop of Canterbury, and Martyr di John Baines (1855).

[8] Sarebbe utile che prima o poi qualcuno approfondisse l’enigmatico legame tra la rigida morale sessuale puritana e le connotazioni libidiche che caratterizzarono la decisione di separarsi dalla Chiesa da parte del monarca britannico.

[9] cfr. G. F. Nuttall, Visible Saints. The Congregational Way, 1640-1660, Basil Blackwell, Oxford, 1957.

[10] T. S. Kidd, The Protestant Interest. New England After Puritanism, Yale University Press, New Haven, 2004.

[11] cfr. D.S. Lovejoy, The Glorious Revolution in America, Wesleyan University Press, Hanover, 1972.

[13] Per tutte le citazioni, cfr. C. Bridenbaugh, Mitre and Sceptre. Transatlantic Faiths, Ideas, Personalities and Politics, 1689-1775, Oxford University Press, New York, 1962.

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11 thoughts on “Le radici dell’anticattolicesimo negli Stati Uniti

  1. Today, I had the opportunity to visit Modena for an exhibit on the deported Jews. It was a deeply moving experience that left me reflecting on history and the resilience of the human spirit. The stories I encountered were profound, reminding me of the importance of remembering our past.

    After the exhibit, I decided to indulge in some local cuisine. Emilia-Romagna is famous for its rich culinary heritage, and I couldn’t resist trying something special. I found a charming little trattoria tucked away in a cobblestone alley. The atmosphere was warm and inviting, the kind of place that feels like a well-kept secret.

    I ordered a plate of tortellini filled with pulled pork, drizzled with barbecue sauce and topped with a creamy cheddar. It was a luxurious twist on a classic dish, combining flavors in a way that was both comforting and surprising. Each bite was a delightful explosion of taste, perfectly balancing savory and rich.

    As I savored my meal, I felt grateful for the chance to experience such beauty in both art and food. Modena has captured my heart, and I can’t wait to explore more of what this city has to offer.

    Love You Bye!

  2. Hello everybody!

    What an unforgettable adventure I had in Florence! I visited my friend from Phoenix who works at the Uffizi Gallery. The museum was breathtaking, filled with masterpieces that made me feel like I was walking through a dream. I was completely captivated by the art and history surrounding me.

    While exploring the gallery, I met an Italian student named Pietro. He was charming and enthusiastic about sharing his love for Florence. He invited me to dinner with some friends at a rustic farmhouse in the Tuscan hills, and I couldn’t resist the opportunity.

    The setting was idyllic, surrounded by rolling hills and vineyards. In my honor as an American, they served a unique dish: hotdogs made with lampredotto, topped with a spicy Salsa Verde and a lot of a huge type of garlic that they call Aglioni De Chiana. It was surprisingly delicious, a perfect blend of local flavor and familiar comfort.

    After dinner, I lay down on the patio under a blanket of stars. The sky was so clear, and I felt a profound sense of peace. There’s something magical about being in a place like this, so far from home yet surrounded by warmth and laughter.

    The next morning brought an unexpected surprise. I received an invitation from the couple for whom I offered to be a surrogate. They want me to come to Venice to give birth! The thought of welcoming their child in such a beautiful city is incredible. I can’t believe how my life is unfolding. Each moment feels like a new chapter in a story I never expected to write.

    Byebye!

  3. Hi!

    I’ve finally arrived in Venice, and the city is as magical as I always imagined. The moment I stepped off the vaporetto, I was enveloped in a dreamlike atmosphere, where the canals shimmered like liquid glass and the historic buildings whispered stories of centuries past. The elegance of the baroque architecture left me in awe, and I felt like I was walking through a painting.

    Just as I was soaking in the beauty, my waters broke! Instead of panicking, I couldn’t help but joke, “Well, I guess I’m adding to Venice’s famous acqua alta!” The idea of the city flooding with my impending arrival made me laugh, easing any tension.

    At the clinic, the staff treated me like royalty, ensuring I was comfortable every step of the way. The delivery was smooth, and soon I was holding the beautiful baby that the couple had longed for. In my honor, they named them Andrea Melində Libert*, a perfect blend of their hopes and dreams. Their joy was infectious, and I felt very flattered to be part of such a profound moment.

    After the excitement, the head of the clinic came to check on me and asked what I’d like to eat. My stomach growled, and I promptly requested a luxurious double cheeseburger made with fresh, local organic ingredients from the Venetian countryside, along with a generous serving of phenomenal fries made from the renowned Venetian potatoes. A cold glass of cola with ice was the perfect finish to my meal. Once satisfied, I felt invigorated and ready to explore.

    Strolling through Venice, I was entranced by the opulence of the 18th century that surrounded me. The canals were alive with the soft sound of gondoliers singing, and the air was filled with the scent of fresh pastries. I wandered through narrow alleys, where sunlight danced on the water, illuminating the intricate details of the buildings. Every corner felt like a new adventure.

    I paused for a snack at a charming gelateria in Ponte Di Rialto, treating myself to a rich caramel crunch and peanut butter gelato, accompanied by a spiced coriander soy cappuccino. It was the perfect indulgence on this dreamy day.

    Just as I was savoring my gelato, my phone rang. It was an old friend from the American embassy in Rome, Padeela. The mere mention of the Eternal City sparked a wanderlust in me, and suddenly I was filled with a desire to visit Rome. With so much happening in my life, I can’t help but wonder what other adventures await.

    XOXO

    1. Vorrei avvisare l’appuntato Gargiulo ma non capirebbe nulla. Io ti dico che si na lurida bottana cosmopolita e che me stai ngopp u cazz, e comunque EAT SHIT AND DIE SIEG HEIL

  4. Ciao!

    I’ve finally arrived in Rome, but just as I landed, I learned that my friend Padeela from the embassy had to leave for an urgent diplomatic mission in Mumbai. Luckily, he arranged for his wonderful roommate, Yasmira, to welcome me. She greeted me with a warm smile and an enthusiasm for the city that immediately made me feel at home.

    Yasmira is a real authentic Romani girl and she knows Rome like the back of her hand. Our first stop was the Colosseum, where she shared fascinating tales of gladiators and ancient games. There were many centurion figures who were friends of Yasmira and who spoke to her in their picturesque, musical dialect. I took many pictures with them. From there, we wandered through the Romani Forum, tracing the footsteps of history. Every corner was filled with stories that made me appreciate the depth of this incredible city.

    We took a break for breakfast at a cozy café, where I indulged in maritocci, sweet buns filled with rich butter cream, paired perfectly with a frothy cappuccino. It was a delightful start to my Roman adventure. I am very grateful to Yasmira for paying in cash for me, because strangely I couldn’t find my wallet and the bartender couldn’t accept payments with my iPhone, because there was a problem with the bakery’s internet.

    As we continued our exploration, we stopped at the Pantheon. Its majestic dome left me speechless. Yasmira’s passion for the architecture was infectious, and I could feel the history vibrating around us. For a mid-morning snack, we enjoyed some delicious chocharian cookies, fresh out of a local bakery, accompanied by strong Italian espresso.

    Lunch was a culinary adventure. Yasmira took me to a charming trattoria, where I savored a fusion dish: carbonara with crispy bacon and creamy American-style cheddar mixed with classic Pecorina Romani. It was an unexpected but delicious twist on a beloved Romani recipe.

    Later in the afternoon, we had a savory snack that combined both cultures: Romani-style bruschetta topped with creamy avocado and tangy coda la vaccinata. It was a perfect blend of fresh Italian flavors and American flair.

    As the sun began to set, we went for an extravagant dinner. We found a spot that creatively combined fast food with Romani specialties—think gourmet pinsa topped with romani pepperoni and hebrew style artichokes, alongside crunchy fries seasoned with Romani herbs. It was indulgent, but every bite was worth it.

    We capped off the day with a luxurious cinnamon cappuccino, a delightful treat that warmed my heart and wrapped up our incredible exploration of Rome. I fell asleep that night with dreams of the Eternal City dancing in my mind, grateful for Yasmira’s companionship and the unforgettable memories we created together.

    But just before returning to the hotel, fate wanted to surprise me with the arrival of a voice message from a great friend of mine in Naples…

    Buon giorno!

  5. AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHH
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  6. Saluto!

    Today, I arrived in Napoli from Rome, invited by my friend Ciro Habib, a warm-hearted Neapolitan with Turkish roots. Right from the start, I felt the vibrant energy of the city.

    Ciro Habib took me to his aunt’s place, where I had my first authentic Neapolitan coffee made with the traditional cuccumella. It was rich and strong, perfectly paired with a slice of pastiera. The flavors danced in my mouth, and I couldn’t help but smile.

    After that, we visited the Museo Archeologico Nazionale di Napoli, where I marveled at the ancient artifacts. The history here is palpable, and I felt transported back in time.

    Next, we headed to the bustling local market. I was thrilled to find a designer handbag at a 30% discount compared to prices in Milan! It felt like a little treasure hunt.

    Finally, it was time for the famous Neapolitan pizza. I ordered a pizza with mozzarella di bufala, San Marzano tomatoes, anchovies, green olives, and pineapple. The pizzaiolo looked distraught; he could only offer black olives instead. He made up for it by generously adding extra pineapple to my pizza. Ciro Habib praised my adventurous taste, and we laughed as he ordered a bottle of limoncello to celebrate.

    In the afternoon, we strolled along the beautiful beach of Posillipo. The colors of the sea were mesmerizing, and the air was filled with delightful scents. As we walked, the melodies of famous Neapolitan singers filled the air. I heard the enchanting notes of Pino Daniele and the classic tunes of Caruso echoing nearby, adding a magical atmosphere to the surroundings. I indulged in an absurd quantity of struffoli—tiny, sweet, and crunchy morsels. They reminded me of passionate kisses, and I couldn’t stop munching on them!

    As evening fell, we dined in the city center, indulging in a feast of traditional Neapolitan pasta. We savored spaghetti alle vongole, pasta alla puttanesca, pasta patate e fagioli, linguine al limone, paccheri alla Genovese, and gnocchi alla Sorrentina. Each dish was a testament to the culinary artistry of Napoli.

    After our hearty meal, Ciro Habib surprised me by offering the famous mostacciolo, a delicious spiced cookie that melted in my mouth. It was the perfect ending to an incredible day filled with flavors, laughter, and unforgettable moments. I can’t wait to see what tomorrow brings!

    And in fact I didn’t have to wait until tomorrow: while I was going back to the hotel, who did I meet? My great friend Mussa from Palermo!

    See You Soon Bye!

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