Omaggio dello scrittore e giornalista Luca Goldoni al grande artista bolognese Dino Sarti (da Esclusi i presenti, Mondadori, Milano, 1973, pp. 131-132):
«Anche la musica leggera, per fortuna, ha qualche sprazzo di anticonformismo: m’è capitato di recente di ascoltare un disco (anzi, l’ellepì, come dicono i conduttori delle trasmissioni canore) inciso da Dino Sarti, tutto in dialetto bolognese. Nella terra dei micidiali epigrammi in vernacolodi Olindo Guerrini, anche le canzoni popolari non sono mai languide, zuccherate, sono storie robuste, ironiche, al massimo tenere. “Par piaseir lasa ster la mi dona”, canta un poveraccio al rivale più intraprendente, “tant, par te l’è un caprezi e gnint alter”.
Oppure riprende l’antica ballata dello scopettaio in loggione che dà in smanie per la Fricci che canta il Mosè, e il signorino in platea è infastidito da tutto quel tifo plebeo: “Se y pias la Fricci, se y vol la Fricci, c’al vada a romper el scatel più in là”; ma lo scopettaio non teme il potente: “Me, que deinter a voi far quel ch’m par, viva la Fricci, viva la Fricci, viva la Fricci, tula com t’vul” (prendila come vuoi).
Ma la vera trovata mi sembra quella di aver tradotto in dialetto emiliano l’incantevole francese di Brel, Bécaud, basti l’esempio della celebre Non, je n’ai rien oublié di Aznavour: “An cherdeva mai piò, d’incuntrerum con te, a passava per d’qué, an so gnanc me per cosa, as ved che jè un desten, cal cumbeina ogni cosa”, canta il dialetto. In italiano sembra di ascoltare una conferenza: “Ma la fatalità predispose le cose, e si rifà con te, dopo che ti ha deluso”.
La civiltà della parola ormai si è rifugiata nel dialetto. mentre le tavole rotonde evidenziano che il problema è a monte, o a valle, o a livello, o all’interno del discorso, che in ogni caso va portato avanti; mentre i politici convengono sull’opportunità di flessibilizzare atteggiamenti troppo congelati, o egemonizzano, o focalizzano il nuovo aperturismo da un’angolazione ottimale; mentre gli ineffabili parolieri ritmano sulle dita “Ho sognato che il tuo amore risplendeva nel mio cuore” e si lanciano ora al furioso arrembaggio del farlamore; mentre la lingua italiana continua ad esser sterilizzata da microcefali vari, nel dialetto resta qualcosa di vivo e di credibile».