Sulla candidatura -scontata- del governatore della Florida Ron DeSantis alla Presidenza degli Stati Uniti il mondo conservatore è spaccato: c’è chi teme che si tratti di uno shill (strana condizione non riducibile all’italiano “imbonitore”, ma più conforme all’idea di gatekeeper, definizione sempre meno presente nel lessico politico dell’anglosfera ma ormai importata nel nostro in forma di anglismo); ci sono poi i fedelissimi di Trump (che lo vedono ancora come unico candidato “antisistema”) e i delusi dallo stesso, che temono un Trump 2.0.
Dal canto suo, il buon Donald si era già da mesi messo alla ricerca di un nickname per insultare il suo nemico: era partito con “Ron Meatball”, tipico insulto rivolto agli italo-americani in riferimento alle polpette giganti che utilizzano nella loro versione degli spaghetti al sugo (paragonata alla stazza degli stessi). Tuttavia Trump ha deciso di abbandonare il soprannome non tanto perché timoroso di essere accusato di razzismo, quanto perché DeSantis in realtà ha pochissimo di “italiano”. Nella sua autobiografia The Courage to Be Free, il repubblicano dedica alle sue origini solo qualche riga:
“Mia madre era la più grande di cinque figli, cresciuti in una famiglia così cattolica dalla quale uscirono una suora e un prete. A quei tempi ogni comunità, quella irlandese, l’italiana, l’ungherese ecc., aveva una sua parrocchia, che rappresentava il fulcro della comunità”.
Questo non dovrebbe far storcere il naso agli italiani perché, come ha notato Charlton Parker-Thompson nel suo straordinario libello Le radici dell’anticattolicesimo negli Stati Uniti, l’etnicizzazione del cattolicesimo in America fa parte di un’operazione di guerra psicologica per ridurre la fede a una mera questione di “origini”. Come sosteneva questo Autore già in tempi non sospetti (qualche mese fa!):
«Non che l’entusiasmo attuale che circonda il repubblicano Ron DeSantis mi convinca di più, poiché il rischio è esattamente lo stesso: passare dalla diversity irlandese [di Joe Biden] a quella italiana. E non sfugga l’animosità anti-papista che contraddistingue ancora il campo conservatore, la qual, seguendo le dinamiche storiche a cui si è accennato, porterà quasi certamente a rilanciare il tema della perfetta identificazione di italianità e cattolicesimo (una rappresentazione plastica di tutto ciò sono i nomignoli con cui il vecchio Donald Trump ha descritto il candidato, Meatball Ron e Ron DeSanctimonious, evidentemente interscambiabili da una certa prospettiva)».
In effetti sembra che il caro vecchio Donald sia attualmente propenso ad adottare come slur elettivo Ron DeSanctimonious (chiara storpiatura in latinorum del cognome dell’avversario), solleticando dunque il tradizionale antipapismo dei suoi elettori (un tema covato sotto le ceneri delle precedenti primarie, in cui parteciparono due cattolici di peso, Jeb Bush, convertitosi soprattutto in virtù della moglie messicana, e un cubano purosangue come Marco Rubio).
Il “Catholic Herald” sostiene che la crociata contro il cosiddetto wokeism del governatore della Florida sia ispirata puramente al cattolicesimo, e che DeSanti ad ogni modo non abbia alcuna intenzione di ripetere la triste abiura di Kennedy, anzi al contrario voglia addirittura premere per l’annullamento da parte della Corte Suprema della rigida separazione tra Stato e Chiesa. Tutto ciò potrebbe mettere in difficoltà uno come Trump, che ha un’ispirazione profondamente “americana” nel trattare il tema della religione.
(Qui sotto vignetta in cui DeSantis viene paragonato a Ponce de León, celebrato dallo stesso come una versione cattolica dei Padri Pellegrini).