Varoufakis ricorda Schäuble: un perdente seppellisce un altro perdente

Sul suo blog il caro vecchio Yanis Varoufakis ha un pensiero per il “collega” Wolfgang Schäuble, suo arcinemico nel teatrino europeista che caratterizzò la commedia delle parti in un’Europa insignificante e sottomessa. Scrive il politico greco (che comunque conserva una minima dignità intellettuale, pur essendo calvo):

«Wolfgang Schäuble era l’incarnazione del progetto politico volto a rafforzare un’unione monetaria nella quale lui stesso non credeva. Per fare ciò ha dovuto imporre un’austerità feroce anche in Germania e smantellare le istituzioni democratiche in Paesi come la Grecia.
In altre parole, Schäuble ha rappresentato la contraddizione esplosiva che ha dato vita sia alla crisi dell’euro sia alle politiche per contrastarla – politiche che hanno portato, da un lato, all’impoverimento della Grecia e, dall’altro, all’attuale deindustrializzazione della Germania e dell’emarginazione dell’Europa nello scacchiere geopolitico.
La storia lo giudicherà duramente, ma non più duramente di coloro che hanno ceduto al suo progetto e alle sue politiche disastrose».

Varoufakis, da vanesio quale è, si autocita dal suo volume Adulti nella stanza (La Nave di Teseo, 2018):

«Mentre parlava, Schäuble lanciò una dura occhiata al rappresentante spagnolo. “Non è ammissibile che le elezioni cambino la politica economica”, iniziò. “La Grecia ha impegni che non possono essere oggetto di revisione fino a quando il programma greco non sia stato completato, secondo gli accordi fra i precedenti governi e la troika”. Il fatto che il programma greco non potesse essere completato non sembrava riguardarlo. Quello che mi stupiva di più della sua convinzione che le elezioni non siano rilevanti era la sua assoluta mancanza di pudore nell’esprimere questa opinione».

«Solo una mossa fuori dalla logica razionale e dalla retorica avrebbe potuto rompere il circolo vizioso, pensai, un gesto sul piano umano. Chiesi umilmente: “Mi faresti un favore, Wolfgang?”. Annuì cordialmente. “Hai fatto questo mestiere per quarant’anni e io solo per cinque mesi. Sai dai nostri precedenti incontri che ho seguito con interesse i tuoi articoli e discorsi fin dagli anni ottanta. Devo chiederti di dimenticare per qualche minuto che siamo ministri. Vorrei da te un consiglio. Non voglio che tu mi dica cosa devo fare. Vorrei un consiglio. Puoi darmelo?
Mentre i suoi vice lo guardavano attenti, lui fece di nuovo un cenno di assenso. Incoraggiato, lo ringraziai e chiesi il suo parere come vecchio uomo di stato, non come esecutore delle leggi. “Tu al mio posto firmeresti il MoU [protocollo d’intesa]?” Mi aspettavo la risposta prevedibile – che, nelle specifiche circostanze, non c’era alternativa – accompagnata da trite argomentazioni prive di senso. Non fu così. Guardò fuori dalla finestra, a Berlino era una calda giornata di sole, poi si voltò e mi stupì con la sua risposta: “Come patriota no, è brutto per la tua gente”».

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