È brutto sentirsi definire europeo (ormai gli “extra-comunitari” lo fanno sempre più spesso): una volta mi limitavo semplicemente a considerarlo un non sequitur (come dire di un australiano che è “asiatico”, o un persiano “arabo”), ma negli ultimi anni il suo utilizzo sempre più ridondante e inopportuno, in particolare dopo ogni attentato, ha trasformato questo aggettivo in un sinonimo di tutto ciò che un uomo dovrebbe aborrire.
Si sta ormai delineando un significato univoco del lemma: ogni volta che un terrorista ci stermina, diventiamo tutti un po’ più “europei”. La parola d’ordine è sempre la stessa: fare sacrifici, in nome dell’Europa, cioè del nulla. Prima la borsa, poi la vita: “Europa” come uno stigma, un’enorme € scarlatta sul petto.
Sembra quindi non abbiano tutti i torti i Mbendjele del Congo a utilizzare lo stesso lemma (putu) per indicare l’aldilà e il Vecchio Continente, così che nella loro lingua “andare in Europa” (Amu dua putu) diventa un eufemismo per indicare la morte.
Sempre per restare in tema di etnologia, mi sovviene un fortunato slogan di Jobbik, il partito di estrema destra ungherese (che ultimamente la stampa evita di demonizzare perché può tornare utile a ribaltare Orbán): «Credevamo di entrare nella terra a Canaan, invece sono i suoi abitanti ad averci invaso» [A Kánaán nem jött el, csak annak lakói].
A coniarlo fu Csanád Szegedi, uno degli astri nascenti del movimento che, dopo aver scoperto le sue origini ebraiche, si convertì al giudaismo ortodosso e andò a vivere in Israele (gli hanno pure dedicato un documentario). Com’è intuibile, la frase cadde in disuso nonostante la sua efficacia propagandistica (“cananei” può valere, secondo le credenze dell’ideatore, sia per gli ebrei –i giudeo-massoni– che per gli immigrati musulmani): mi sembra però che essa conservi un certo valore documentale, a testimonianza di un’epoca in cui “Europa” rappresentava un simbolo di riscatto per gli estremismi rimasti ai margini della cuccagna post-sovietica.
Europa, del resto è storicamente un marchio di “destra”, anche se oggi si tende a dimenticarlo; ciò che hanno fatto gli eurocrati è stato semplicemente impossessarsene e svuotarlo dall’interno: nella pratica, costruire un’immensa nazione basata sull’anti-nazionalismo, un nuovo identitarismo ispirato all’odio verso qualsiasi forma di identità. Insomma, un esercizio collettivo di Selbsthass.
In effetti gli “europei” passano la maggior parte del tempo a piangersi addosso. Anzi, non si tratta nemmeno di un pianto come si deve, di lacrime barocche intrise d’altissimi sensi, ma di un piagnisteo. Gli europei piagnucolano. Tutto diventa piagnucolante, e nonostante volumi come La cultura del piagnisteo di Robert Hughes e Il singhiozzo dell’uomo bianco di Pascal Bruckner aiutino ad allargare la prospettiva sulla catastrofe, si torna sempre al punto iniziale: perché voler passare la vita a odiare se stessi, nella speranza di “diventare europei”?
Tutti piangono, dicevo; anzi, piagnucolano. È dall’attentato a Charlie Hebdo che, dopo un giro rapido sui media mainstream per farmi un po’ il sangue amaro, vado a tuffarmi nei più strampalati siti di destra per trovare una qualche consolazione, o perlomeno un consolamentum (capite?). E invece pure lì mi imbatto in ulteriori piagnistei sull’Europa Cattiva e l’Occidente Brutto che per contrappasso (o karma, come si dice oggi) pagano il prezzo delle loro sortite militari.
Fino a pochi anni fa la parola d’ordine di costoro era “riaccendiamo i forni”, ultimamente edulcorata in un più eufemistico “affondiamo i barconi” (con l’ambiguo fascino del non specificare se pieni o vuoti), ripetizioni sicuramente meno poetiche del White Man’s Burden, seppur mosse da un medesimo sentire (che è poi lo stesso di Se, ma capisco quanto sia difficile prendersela con gli imperialismi dei vincitori).
Oggi invece la cultura del piagnisteo è penetrata così a fondo che pure la destra piange sul latte versato: anche da quelle parti è tutto un fiorire di analisi geopolitiche e auto-flagellazioni. Il che dimostra che questa “Europa nazione” non può nemmeno permettersi dei nazionalisti decenti…