Un rapporto interno ad Amnesty International, la rinomata organizzazione non governativa impegnata nella difesa dei diritti umani in tutto il mondo, rivela un ambiente di lavoro “tossico”, caratterizzato da bullismo, mobbing, discriminazione e abusi di potere.
L’indagine è stata avviata dopo il suicidio di due membri dell’organizzazione nel 2018 (Gaetan Mootoo, ricercatore 65enne da oltre trent’anni al servizio di Amnesty, e Roz McGregor, giovane stagista inglese presso la sede di Ginevra), episodi che hanno minato la credibilità di Amnesty come sostenitrice dei diritti umani, “mettendo a repentaglio la missione dell’organizzazione”, precisa il rapporto stilato dagli psicologi dell’agenzia KonTerra che hanno rilevato una propensione al bullismo e alla public humiliation da parte della direzione.
“Ci sono state diverse segnalazioni di manager che umiliavano il personale durante le riunioni, ostracizzando apertamente alcuni membri o facendo commenti umilianti e minacciosi come: ‘Sei una merda!’ oppure ‘Se vai avanti di questo passo, ti renderemo la vita impossibile'”.
I consulenti, concentrandosi sul segretariato internazionale a Londra, hanno scoperto che la sede operava in una sorta di “Stato di emergenza” allo scopo di “decentralizzare” il personale in luoghi di disordini civili e conflitti. Molti membri del personale di Amnesty hanno parlato del loro impegno come una “vocazione” ma hanno lamentato l’eccessivo carico di lavoro e lo stress e i traumi da esso derivati. Il rapporto ha intervistato 475 dipendenti, il 70% della forza lavoro della segreteria internazionale di Amnesty.
“Amnesty International ha una buona reputazione ma al contempo è considerato un luogo difficile in cui lavorare. Da molte interviste trapela l’espressione ‘ambiente tossico’ per descrivere la cultura del lavoro dell’organizzazione sin dagli anni ’90”.
Il personale ha segnalato molteplici casi di discriminazione sulla base di razza e sesso ed episodi specifici in cui personale di colore e dipendenti LGBT sono stati presi di mira.
“Proprio in virtù dell’impegno di Amnesty in tema di diritti umani, il numero di testimonianze di episodi di bullismo, razzismo e sessismo, oltre che nepotismo e favoritismi vari, riferite al team di valutazione risulta ancor più sconcertante”.
Un altro problema interno ad Amnesty è quello della martyrdom culture, la “cultura del martirio” secondo la quale ogni membro del personale deve sacrificare tutto se stesso per il bene dell’organizzazione, fino al burnout. La cosiddetta “ristrutturazione” peraltro ha avuto, sempre secondo il rapporto, un impatto enorme sulla qualità dell’ambiente di lavoro.
“Amnesty International non può lottare per rendere il mondo un posto migliore perpetuando al contempo una cultura di omertà, diffidenza, nepotismo e altre forme di abuso di potere”.
Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty, ha letto il rapporto con sconforto e preoccupazione, annunciando un piano di riforme entro la fine di marzo.
Fonte: Amnesty International has toxic working culture, report finds (The Guardian, 6 febbraio 2019)