Bruciate Tutto, dissero le falene volando verso le candele

Come osservava Denis de Rougemont nel suo capolavoro L’Amore e l’Occidente,

«Politica, lotta di classe, sentimento nazionale, tutto divien pretesto alla “passione” e già s’esalta in “mistiche”. La verità è che siam divenuti incapaci di ordinare i nostri desideri, di distinguere la loro natura e il loro fine, d’imporre una misura alle loro divagazioni, di esprimerli in immagini».

Mi sembra la descrizione perfetta dell’improbabile rivolta al grido di “Bruciate Tutto” che i mezzi di comunicazione di massa cercano di fomentare in questi giorni a seguito della notizia di una ragazza uccisa dal suo ex fidanzato.

Suonano decisamente stucchevoli le dichiarazioni delle varie sigle dell’attivismo femminista, che garantiscono che “la rabbia e l’indignazione” grazie all’amplificazione di un singolo caso di cronaca si siano trasformate, attraverso la loro mediazione, in “capacità condivisa e collettiva di riconoscere il senso politico di essere arrabbiate”.

Sì, ci mancava solo questa. Fornire un alibi “politico” a creature perennemente arrabbiate per qualsiasi motivo rischia di mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana. Ma almeno per una volta non voglio buttarla in caciara e farmi coinvolgere dallo squallore a cui ci costringe il mainstream, perciò rispolvero il vecchio manuale di filosofia.

Secondo Benedetto Spinoza (che ne parla in quella parte dell’Ethica dedicata a “origine e natura degli affetti”) l’indignazione sarebbe “odio verso qualcuno che ha fatto del male ad un altro”. Quindi ci troviamo di fronte a un vero e proprio “caso da manuale”. Nell’incompiuto Tractatus politicus il filosofo offre la descrizione più pregnante, proprio da una prospettiva politica, di tale sentimento:

«Siccome gli uomini, s’è detto, si fanno guidare dagli affetti più che dalla ragione, anche il popolo viene indotto a naturale accordo non dalla ragione, ma da qualche comune affetto, e vuole essere guidato come da una sola mente, vale a dire […] da una comune speranza, o paura, o desiderio di vendicare un danno comune».

Per Spinoza naturalmente farsi governare dall’indignazione non è degno dell’uomo né a livello collettivo (se non nei casi in cui il potere degeneri in tirannia e obblighi la moltitudine a ribellarsi anche in modo “istintivo”, dinamica che deve però infine portare all’emendazione della negatività originaria che ha causato la rivoluzione) né tanto meno individuale: seguire le affectiones riduce la persona ad un ignarus, un essere incapace di seguire la propria  natura razionale, in balia di eventi e fenomeni nei confronti dei quali si condanna a una perenne incomprensione.

Questa descrizione mi pare si abbini bene a quel tipo di personalità coltivata ormai troppo in tempo dagli eredi di migliaia di rivoluzioni fallite. Parlo di coloro i quali animano (si fa per dire) cortei fintamente spontanei, senza capo né coda, sobillati letteralmente dai telegiornali di qualche ora prima, all’inseguimento di “desideri” che sono inesprimibili persino in “immagini” (per riprendere la citazione del de Rougemont), figuriamoci in slogan sensati o programmi politici coerenti.

Le partecipanti alle manifestazioni di questi giorni, che si galvanizzano al grido di “Bruciate Tutto”, non riescono per l’appunto a trovare alcun simbolo del patriarcato a cui dare fuoco, sfogandosi sulla sede di una piccola onlus anti-abortista che, con tutto il rispetto, non ha alcun peso a livello politico, legislativo e nemmeno mediatico. Ma bruciare tutto cosa, dove, quando, perché?

Davvero queste professioniste dell’indignazione assomigliano a falene alla ricerca di una fiamma su cui bruciarsi, le quali, in un contesto totalmente femminilizzato definito in modo ridicolo come “patriarcale”, non possono che finire per dar fuoco a se stesse.

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