Donald Trump e gli ebrei: un rapporto più complesso di quanto si creda. Riflessioni sul filosemitismo occidentale

Donald Trump in un’intervista del 25 marzo a Israel Hayom ha detto sostanzialmente agli israeliani di farla finita con i massacri di Gaza:

«Dobbiamo arrivare alla pace, non possiamo permettere che succeda tutto questo. E vi dico anche che Israele deve stare molto attento, perché sta perdendo gran parte del consenso internazionale, sta perdendo tanto sostegno, deve portare a termine il lavoro e raggiungere la pace, per riprendere una vita normale per Israele e tutti gli altri».

Pensate quello che volete, ma in questo blog Trump è un eroe, fine della storia. A parte gli scherzi, da destra a sinistra, sia in Italia che oltreoceano, si ragiona in maniera eccessivamente schematica sul personaggio, senza valutare realmente ciò che è.

Partiamo dal filosemitismo: esso in Occidente ha assunto culturalmente, storicamente e politicamente forme molto diverse. Limitandoci solo alla modernità, possiamo osservare una radice massonica che fa coincidere l’universalismo con la filantropia, traducibile nell’Europa dell’epoca nella idealizzazione dell’alterità più importante presente nelle nazioni cristiane, rappresentata appunto dalle comunità ebraiche.

Questo filosemitismo si è espresso in varie maniere, a partire dai picchi illuministici culminati nell’attivismo napoleonico per l’emancipazione fino a manifestazioni meno palesi, come nelle politiche assimilazionistiche sovietiche o nell’ecumenismo cattolico che ha ispirato il Concilio Vaticano II.

Allo stato dell’arte, il filosemitismo ha incorporato, trasmutandolo, l’evento storico della Shoah giungendo a stabilire una Verità Assoluta in un contesto di relativismo altrettanto assoluto, che si dogmatizza nella ossessione per l’antisemitismo, feticcio ideologico al quale l’umanità odierna si appiglia per recuperare una qualche “bussola” in un contesto dove ogni certezza e tabù possono essere vituperati e decostruiti in qualsiasi modo.

Da tale prospettiva, la maggior parte dell’opposizione allo Stato d’Israele, quella che “fa notizia” per intenderci, è ispirata, per quanto paradossale possa apparire, proprio da ideali filosemiti. Dunque, se all’apparenza risulta che la Presidenza Biden (e più in generale ogni amministrazione democratica) sia meno incline a favorire l’alleato israeliano, in realtà sono stati storicamente i repubblicani (a parte la parentesi oscura dei neocon, che affronteremo alla fine) ad aver tentato in modo concreto una “normalizzazione” della questione sionista, a fronte di decenni di palestinismo coreografico tenuto in vita esclusivamente dalla condizione di “perdenti” degli abitanti di Gaza, che sono degni di simpatia da parte dei progressisti solo a patto che non abbandonino mai il loro status (metastorico o addirittura metafisico) di “vittime perenni”.

Ammetto che tali precisazioni abbiano forse apportato più confusione che chiarezza, ma anche lasciando perdere gli ultimi trecento anni di storia, tale dialettica la si può semplicemente osservare nel fatto che la stragrande maggioranza degli ebrei americani considera Donald Trump naturaliter antisemita, anche nella misura in cui egli si approccia all’ebraismo con principi diversi, o addirittura opposti, a quelli del filosemitismo classico

Personalmente mi sono fatto un’idea sul perché Trump manifesti spesso una benevolenza estrema nei confronti degli ebrei. Il fatto, detta papale papale, è che il suo rapporto col giudaismo rispecchia la sua natura di imprenditore newyorchese, a sua volta riflesso dell’anima della Grande Mela. Per avere una prova di ciò basterebbe osservare le figure di cui si è circondato, cioè rabbini ortodossi e mafiosi ebrei.

A chi storce il naso al cospetto di tali definizioni, vorrei ricordare che la spina dorsale del famigerato “Russiagate” è rappresentata proprio dalle connessioni tra la figura del tycoon, gli imprenditori corrotti con doppia o tripla cittadinanza (russa, israeliana e americana) e la setta dei Chabad Lubavitch, i cui membri a livello di rabbinato istituzionale occupano le cariche più importanti a New York come a Mosca.

A tal proposito si può leggere con profitto l’inchiesta Casa di Trump, casa di Putin del giornalista Craig Unger, che nonostante parli esplicitamente di ebraismo internazionale e di controllo giudaico della Casa Bianca (tirando ovviamente in ballo il genero di Trump Jared Kushner), riesce comunque a evitare qualsiasi accusa di antisemitismo offrendo utili spunti polemici contro l’allora Presidente repubblicano.

Trump e la mafia russa (che non è russa)

E visto che abbiamo citato un altro “convitato di pietra”, il marito di Ivanka e nipote di sopravvissuti dell’olocausto Jared Kushner, per quanto si possa fantasticare di una sua influenza decisiva sulla politica estera trumpiana, è un dato di fatto che il suo apporto sia stato totalmente condizionato dall’impostazione del suocero, che ha sconfessato nei limiti del possibile la sanguinaria eredità del neoconservatorismo.

Ho citato i neocon alla fine perché anch’essi sono un fenomeno prettamente newyorchese, e –ça va sans direebraico: il nucleo di tale ideologia emerge infatti dal disincanto di una cricca di intellettuali progressisti che ha subito direttamente le conseguenze della loro “rivoluzione”, cioè a livello personale un tracollo della qualità della vita nelle grandi città e a livello politico il tradimento delle minoranze (in primis gli afroamericani) che a loro dire essi stessi avevano aiutato a “elevarsi” nella società statunitense. Tutto ciò ha portato i Kristol, i Podhoretz, i Perle, gli Horowitz, i Kagan, i Pipes ecc. a interpretare una destra caricaturale, quella che avevano demonizzato e ridicolizzato per anni, e a fare dell’esistenza di Israele la condicio sine qua non della sopravvivenza di tale conservatorismo da operetta.

Almeno in questo Trump non ha fatto il “newyorchese” e il mondo deve riconoscergli di non aver mai ceduto alla russofobia né aver aperto altri fronti in Medio Oriente, cosa che invece un Joe Biden qualsiasi, che i media avevano presentato come la versione saggia di Obama, si è permesso di fare, consentendo indirettamente ai neocon di ritornare alle origini (ideologiche, ma anche etniche) del loro filosemitismo senza più alcun senso di colpa.

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