I soldati ucraini adorano Kali e “reinventano” la svastica: ma l’India non ci sta

Molti ricorderanno l’imbarazzante intervista del “Corriere” a uno dei capibastone del famigerato Battaglione Azov, che rassicurava il pubblico italiano sull’utilizzo di simbologie naziste da parte dei “nuovi partigiani” ucraini presentandolo come un vezzo assolutamente innocente, e giungendo infine ad affermare con invidiabile chutzpah che “la svastica è un antico simbolo slavo, pan-europeo, persino indiano. Per noi non ha alcun rapporto col nazismo. Accusereste mai gli indiani per le svastiche antiche millenni?”.

Questa cosa deve esser stata presa sul serio dai soldati ucraini se negli ultimi mesi le loro divise hanno cominciato a riempirsi di svastiche “all’indiana” riportanti la dicitura Defend Dharma.


Sui social è esploso il solito dibattito senza capo né coda dove ognuno ha provato a dire la sua, in particolare i commentatori indiani (che cominciano a rappresentare una fetta importante dell’anglosfera): c’è chi ha discettato sull’utilizzo del concetto di dharma, che in sostanza sarebbe la “legge”, cosmica, naturale ma anche religiosa e sociale, o il semplice “dovere” imposto a una casta (in tal caso quella dei guerrieri, kṣatriya, che però non esenta da un’interpretazione squisitamente spirituale del compito di “difesa”), osservando come il modo improprio e per certi versi “occidentalizzato” con cui il precetto è stato ridotto a slogan può esser fatto risalire alla propaganda dei cosiddetti Hare Krishna, che nell’Est Europa già “in tempi non sospetti” (cioè prima del crollo dell’Unione Sovietica) avevano trovato terreno fertile per il loro proselitismo (addirittura qualcuno si azzarda a sostenere che “prima della guerra il viṣṇuismo gauḍīya [così definiscono generalmente gli indiani il culto degli “arancioni”] tra i giovani era probabilmente più popolare del neonazismo”).

Tuttavia, l’aspetto di alcuni di questi soldati ha fatto ipotizzare un’origine effettivamente indiana degli “svastichelli”:

Ed ecco dunque spuntare altre ipotesi: sì, questi combattenti potrebbe essere etnicamente indiani, ma saranno quasi di certo cittadini inglesi venuti a combattere per gli ucraini su sollecitazione di Londra. Tale osservazione obbliga ad affrontare un tema non facile, quello dei rapporti tra Kiev e Nuova Delhi, di per sé resi già complicati dalla scelta indiana di non seguire la linea anti-russa dell’Occidente e infine divenuti praticamente impossibili dopo la polemica (forse pretestuosa) riguardo l’utilizzo improprio di un altro simbolo, la Dea Kali, da parte del Ministero della Difesa ucraino alla fine dello scorso aprile, che su Twitter ha accostato l’immagine dell’esplosione causata da un presunto attacco alle forze russe a quella della divinità indù reinterpreta dall’artista Maksym Palenko nelle vesti di Marilyn Monroe.

La stampa mainstream italiana ha ignorato il caso (unica eccezione Torino Oggi, lol), ma in India è scoppiato un acceso dibattito con l’intervento delle più importanti personalità politiche (e religiose) del Paese. Mosca ne ha ovviamente approfittato (ricordando agli “alleati” che il regime nazista di Zelenskij non ha rispetto per alcuna fede) e alla fine anche il Ministro degli Esteri di Kiev si è dovuto scusare pubblicamente.

La digressione serviva solo per far comprendere come mai gli indiani sono assolutamente certi che nessuno dei “loro” stia combattendo con simboli Hare Krishna a fianco degli ucraini. Qualche altro commentatore si spinge quindi a presumere la presenza dei Gurkha, i “mitici” soldati nepalesi che devono la loro fama all’aver fatto da carne da cannone per l’imperialismo britannico, i quali tuttavia attualmente sembrano perlopiù essere affluiti nei ranghi russi o addirittura nella Compagnia Wagner in veste di mercenari (e non, ovviamente, di “eroi guerrieri” come ai tempi in cui servivano la Corona inglese).

Probabilmente la spiegazione più semplice è che certi ucraini di simpatie neonaziste, avendo compreso che i media occidentali sono assolutamente disposti a credere alla storiella dell’antico simbolo induista, abbiano voluto portare la “provocazione” fino in fondo adottando, in barba a qualsiasi scuola de svastica di himmleriana memoria, l’adorata croce “al contrario”.

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