Vorrei dare anch’io il mio contributo al circo politico-mediatico italiano sulla questione israelo-palestinese recitando le poesie che ho scritto su Israele:
Se a Gaza esistesse un po’ di bene
e ognun si considerasse suo fratello
ci sarebbe meno palestinesi e meno Israele
e il mondo ne sarebbe assai più bello
Al di là delle battute, fatemi aggiungere due parole su quanto sta accadendo in generale: prima di tutto, vorrei rassicurare la comunità ebraica (e deludere qualche mio lettore) sul fatto che non ci sia alcun “antisemitismo di ritorno” o roba del genere nel Bel Paese.
Posto che ormai per l’opinione pubblica italiana la distinzione tra “ebreo” e “israeliano” è acquisita da tempo (tanto che nel nostro Paese il tasso di odio anti-ebraico è tra i più bassi in Europa, escludendo naturalmente l’apporto ideologico della selvaggia immigrazione islamica degli ultimi anni), l’ossessione attuale è rivolta solo contro Benjamin Netanyahu, che viene paragonato ad altri spauracchi reazionari come Trump, Putin, Orbán o Erdoğan.
Nessuno si illuda che l’indignazione strillata verso Israele abbia qualcosa a che fare con il reale problema rappresentato da tale Stato: è il solito teatrino sinistroide e medio-progressista, che difende i palestinesi da un presupposto sbagliato (considerandoli i “nuovi ebrei”, degli eterni perdenti e delle vittime assolute) e critica lo Stato sionista solo perché, appunto, al governo c’è un “cattivone”. La sceneggiata di Ghali a Sanremo è solamente la prosecuzione della “centrosocializzazione” dell’immaginario collettivo italiano con altri mezzi.
Da tale prospettiva “spettacolare” (l’unica che in fondo conta, dacché la politica è morta) si può notare la strana coincidenza rappresentata dalla presenza nell’ultima puntata della trasmissione Masterchef (Sky) di Assaf Granit, cuoco ebreo gerosolimitano (che ha naturalmente combattuto per l’esercito israeliano!) il quale ha intrattenuto gli aspiranti chef con le storie strappalacrime della madre fuggita dalle persecuzioni in Polonia e della cucina israeliana come espressione del melting pot rappresentato naturaliter dalla cultura giudaica.
Si sa che le puntate della trasmissione culinaria vengono registrate mesi prima la messa in onda e che dunque non esisteva alcuna intenzione di fare da contraltare al teatrino palestinista della Rai, ma la simultaneità è comunque curiosa. Ad ogni modo, non è lasciando spazio al vittimismo arabo che si potrà in alcun modo arginare i campioni olimpionici della specialità, che sono per l’appunto i fratelli maggiori, i quali saranno sempre pronti a proclamarsi rappresentanti dell’umanità, della giustizia universale, delle libertà occidentali, dei ghei e di altre cose leggere e vaganti.