La moglie di Lenin: divieto di aborto e sostegno alle famiglie numerose

Dalla prefazione di Nadežda Krupskaja ad un opuscolo propagandistico del Canadian Party of Labour (1936).

Dopo lunghe discussioni sulla stampa del progetto di decreto “sul divieto di aborti, incremento dell’assistenza materiale alle giovani madri, istituzione di aiuti di Stato per le famiglie numerose, ampliamento della rete di case di maternità, asili nido e scuole materne, aumento delle pene per mancato pagamento degli alimenti e modifiche alle leggi sul divorzio”, questo decreto con alcune aggiunte e modifiche, è stato approvato dal Comitato Esecutivo Centrale e dal Consiglio dei Commissari del Popolo dell’Unione Sovietica.

L’attuazione di questo decreto comporterà grandi spese da parte dello Stato, ma la la nostra Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è ormai così forte da permettersi di affrontarle. Ma perché il governo si impegna in questi investimenti? Perché considera le misure contenute nel decreto di enorme importanza per migliorare la vita delle persone, emancipare a tutti gli effetti le lavoratrici, aiutare alla formazione di relazioni familiari stabili.

E propria perché la legge ora adottata è di così grande importanza, che prima è stata discussa col popolo. Tale dibattito è di massima importanza, perciò tutti hanno fornito suggerimenti. Naturalmente, solo un piccolo numero di questi suggerimenti potrà essere incluso nel decreto.

Le persone che lavorano nei Commissariati del popolo per la giustizia, la salute e l’istruzione analizzeranno questi suggerimenti al fine di essere in grado di attuare il decreto nel giusto modo, come Lenin avrebbe voluto, come Stalin vuole.

Lenin ha parlato molte volte della necessità di attirare ogni soggetto nell’opera di governo dello Stato. E la discussione sul decreto promuove tale proposito, infondendogli questioni pratiche e vive.

I problemi trattati nel decreto riguardano ogni famiglia e in particolare le donne. È risaputo che Lenin attribuiva un’enorme importanza alla questione dell’emancipazione femminile, favorendo il progresso dei loro diritti e la loro inclusione nel mondo del lavoro. A tal fine è stato fatto molto, ma i principi di Lenin possono essere correttamente applicati solo dopo aver creato i presupposti necessari per la loro realizzazione.

Dieci anni fa, lo Stato avrebbe potuto assegnare tali fondi per case di maternità, asili nido, scuole materne? Sarebbe stato possibile avviare una discussione sul decreto? Le voci delle donne contadine avrebbero risuonato nello stesso modo?

Discussioni particolarmente accese sono state provocate dalla clausola sul divieto di aborto, legalizzato nel 1920. Leggendo alcuni miei vecchi articoli, ne ho trovato uno in cui ho trattato in dettaglio la questione degli aborti. L’articolo è apparso nel 1920 nella rivista “Kommunistka” e si intitola La guerra e il parto.

“La guerra”, scrivevo, “ha portato al Paese povertà e rovina. La povertà costringe le donne a vendere i loro corpi, costringe le donne che non sono prostitute a commerciarlo, madri di famiglia che spesso lo fanno solo per il bene dei figli e delle anziane madri”.

Le leggi sovietiche hanno cambiato la natura del matrimonio, trasformandolo da accordo puramente materiale che era prima della rivoluzione di ottobre in un’unione basata sul reciproco affetto. Ma la guerra civile, la rottura di vecchie abitudini stabilite nel corso dei secoli, hanno reso instabili i legami matrimoniali.

Questa instabilità del matrimonio e le difficoltà materiali – la guerra civile, lo stato di rovina del Paese, la carenza di cibo – hanno permesso che in molti casi l’intero peso della crescita dei figli ricadesse sulla sola madre.

«Come si può aiutare la madre, distrutta dal peso del parto e dell’educazione dei bambini? La risposta è chiara: lo Stato non deve occuparsi solo della protezione della madre e del bambino, prendersi cura delle donne durante la gravidanza e durante e dopo il parto, ma deve creare decine di migliaia di asili nido, scuole materne, colonie di bambini e dormitori in cui i piccoli ricevano cure e cibo, dove possano vivere, crescere e studiare in condizioni dieci volte migliori di quanto persino la madre più amorevole possa provvedere con i propri sforzi».

Il governo sovietico eliminò le vecchie case-famiglia attraverso le quali si portavano via i bambini dalle madri per sempre, retaggio del vecchio regime ma in realtà istituiti per occultare l’infanticidio. Il Governo dei soviet ha allestito case per bambini, scuole materne e asili nido, ma ai tempi tutto ciò non era che una goccia nell’oceano.

La situazione era particolarmente grave nelle campagne, dove i kulaki erano pronti a sobillare il popolo contro gli asili nido. Nel 1919 ricevevamo ancora richieste firmate con la croce nelle quali i genitori imploravano di non mettere i bambini negli asili, di non portarglieli via per sempre.

Quindi nel 1920 la questione dell’aborto divenne di massima importanza. Fino a quel momento gli aborti erano proibiti, ma la pena valeva non su coloro che costringevano le donne ad abortire, non su quelli che eseguivano aborti illegali in condizioni pericolose, e con metodi che per lungo tempo hanno compromesso la salute delle donne interessate. Era la donna ritenuta la sola responsabile. Ai tempi scrivevo:

«La lotta contro l’aborto non deve essere condotta perseguendo le madri che vi ricorrono spesso a rischio della propria vita, ma attraverso l’eliminazione delle cause sociali che rendono necessario alle donne ricorrere a esso. […] Naturalmente, l’impunità rispetto agli aborti non può liberare la madre dalla depressione prodotta da un aborto. Il suo intero organismo è, per così dire, entrato nel percorso del parto, l’organismo ha iniziato ad adattarsi al nutrimento dell’embrione al suo interno, e la madre di solito sente un’interruzione di questo processo come un crimine contro se stessa e suo figlio. L’eccitazione nervosa e il desiderio che spesso si vedono negli occhi di una donna che ha abortito sono sufficienti per mostrare a quale prezzo la madre compra la sua libertà. Il miglioramento delle condizioni generali di vita, in particolare la protezione della madre e del bambino e l’istruzione pubblica dei bambini, eliminerà il problema alle radici».

Sono trascorsi quindici anni da quando quell’articolo è stato scritto. L’Unione Sovietica è diventata ricca, potente e prospera. Il popolo è più istruito e consapevole. Le donne sono diventate forza lavorativa, sono attive nel sociale, molte sono stacanoviste, si applicano alacremente allo studio. Il Partito e il Governo accudiscono i bambini tramite l’assistenza pubblica, rendendo felice la loro infanzia. È per una buona causa che milioni di donne che lavorano sono così devote a Stalin.

In queste nuove condizioni le questioni sulla famiglia e gli aborti appaiono in una nuova luce. Il nuovo decreto svolgerà un ruolo estremamente importante nel rimodellare i modi di vivere delle persone. È essenziale attuare questo decreto sulla scala più ampia possibile, lottare per case di maternità, asili nido e scuole materne di buona qualità. C’è molto lavoro da fare.

One thought on “La moglie di Lenin: divieto di aborto e sostegno alle famiglie numerose

  1. Sì hanno saputo dire belle parole. A parte che se anche fossero state sincere, bannando Dio e la fede nel trascendente non si va da nessuna parte. Ma se contemporaneamente avessero evitato di far morire lentamente di fame milioni di uomini, donne e bambini, internare qualsiasi tipo di fioco oppositore ecc. forse potrebbero avere ancora titolo a essere citati e magari presi a esempio e a suscitare un interesse che non sia quello di cancellare i loro errori dalla faccia della terra. Ex comunista.

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