Oppenheimer: il kolossal che gli americani non possono più permettersi

Sta per uscire anche nelle sale italiane Oppenheimer, il filmone di tre ore che Christopher Nolan ha dedicato al “padre dell’atomica” e nei confronti del quale dalle nostre parti sta montando fin troppo entusiasmo (con opinionisti pronti a gridare al “capolavoro” senza nemmeno averlo visto), mentre negli Stati Uniti è in sostanza già finito nel dimenticatoio.

L’epic biographical thriller di Nolan è un prodotto dalle ambizioni smisurate che si traduce però nel solito quadretto hollywoodiano, con l’aggravante di essere piuttosto noioso ad onta delle notevoli performance di alcuni attori, che possono poco al cospetto della miseria del copione.

Gli elementi che non funzionano, sia a livello di forma che di sostanza, sono innumerevoli: in primo luogo la complessità del personaggio principale viene ridotta a patemi d’animo post coitum (in senso neppure troppo figurato, se si pensa che la fatidica frase dal Bhagavad Gita viene fatta pronunciare per la prima volta dal protagonista mentre è a letto con l’amante…) e a rimorsi che lo scienziato in verità non ha mai provato, o perlomeno non secondo il punto di vista che regista e sceneggiatori vorrebbero imporre al pubblico (il discorso è lungo, ma in due parole secondo la dottrina pseudo-induista che si era costruito a suo uso e consumo, Oppenheimer credeva che non essersi rifiutato di “andare fino in fondo” con l’atomica fosse un modo per adempiere al dharma, cioè il “dovere”, della propria “casta”).

D’altro canto, se l’intento fosse stato quello di ritrarre un carattere combattuto, riflessivo e titubante fino all’ultimo, la pellicola non l’avrebbe comunque raggiunto: anche alla luce delle considerazioni appena espresse, si può dire che l’unico istante di vero ripensamento dello scienziato è rappresentato dalla scena in cui gli viene annunciato il suicidio dell’ex amante, attraverso il quale la moglie lo porta a meditare -sempre per un istante- sulle “conseguenze delle proprie azioni”. Tutto qua.

Tale stilizzazione si riflette inevitabilmente sulla trama, per esempio nell’estenuante (per lo spettatore) confronto fra il protagonista e il presidente della Commissione per l’Energia Atomica Lewis Strauss, dove quest’ultimo indossa i panni del lupo cattivo invidioso, frustrato e megalomane, mentre Oppenheimer secondo i più blandi canoni della favola morale diventa l’agnello scarificale (non è un caso che lo stesso Nolan abbia ammesso di aver tratto ispirazione per il confronto dalla rappresentazione formaniana della rivalità fra Mozart e Salieri). Proprio da tale prospettiva, si potrebbe ammettere che, escludendo le scene di sesso (assolutamente superflue), Oppenheimer sia un prodotto più adatto ai bambini di Barbie.

Infine, sempre a dimostrazione dell’evidente piattume dell’opera (riguardo al quale resta solo il dubbio se sia dovuto alla mediocrità generale o a ragioni di abbellimento propagandistico), vanno spese due parole sulla fatidica “mela avvelenata” con cui si apre la pellicola: il riferimento è a quando Oppenheimer avrebbe lasciato una mela piena di cianuro sulla cattedra del futuro premio Nobel Patrick Blackett (all’epoca suo mentore, oltre che amico), un episodio controverso, che alcuni biografi riducono ad “allucinazione”, ma che il regista invece di ridurre a una manifestazione di “genio e sregolatezza” avrebbe potuto collegare all’idea di avvelenare le riserve di cibo tedesche di cui Oppenheimer e Fermi discussero nel 1943, progetto che abbandonarono solo per l’impossibilità pratica di metterlo in atto e non per qualche scrupolo morale.

Al di là di tutto questo, la domanda essenziale che si pone nei confronti di Oppenheimer è come gli americani, dopo aver frantumato l’anima al mondo intero con le loro ossessioni e psicosi, possano bellamente imbastire lo stesso affrescuccio di maschi bianchi sigma geniali solitari fumatori ecc… allo scopo di ricordare (forse soprattutto a se stessi, considerando che, almeno a livello internazionale, il pubblico in grado di recepire tale tipo di “epica” si sta sempre più assottigliando) di aver vinto l’ultima guerra mondiale.

Nel 2023 è una cosa che davvero non possono più permettersi, come del resto dimostrano le polemiche che hanno caratterizzato l’accoglienza della pellicola: perché non c’è nemmeno un nero (si consideri che l’anglosfera ha “africanizzato” non solo Cesare o Cleopatra, ma anche la Sirenetta e Biancaneve)? Perché i ruoli femminili passano in secondo piano rispetto ai maschili? E ai transessuali, chi ci pensa? Ok, all’epoca forse la categoria non rappresentava ancora il nucleo delle forze armate americane, ma almeno qualche attore fresco di cambio di sesso si sarebbe potuto inserire nel cast.

Alla fine la sensazione che rimane dopo 180 minuti di insipido polpettone è che lo Zio Sam non sia più in grado di propinare i propri miti alle masse, sia perché ha smesso di crederci lui stesso, sia perché la storia evidentemente non è finita dopo il 1945 o il 1989. L’illusione di poter in qualche modo riformare un genere di narrazione ormai anacronistico e moderno, troppo moderno è rappresentata in maniera plastica da quella che dovrebbe essere la scena clou del film, lo scoppio della “madre di tutte le bombe”, in cui Cillian Murphy trasforma la tremenda frase che gli americani imparano sin dai banchi di scuola (I am become Death, the destroyer of worlds) in un sussurro, o addirittura un dialogo interiore. Piuttosto che esaurirsi nell’anticlimax (un rischio ormai scontato da parte dei rappresentanti del Clown World) si riduce il turning point in qualcosa di intimistico e individuale, nonché annichilente sia per lo spirito che per la carne. L’abisso storico invoca finalmente l’abisso estetico.

2 thoughts on “Oppenheimer: il kolossal che gli americani non possono più permettersi

  1. Grazie, comunque non avevo intenzione di guardarlo. Voglio fare il seccatore: che ne dici di completare il trittico con Indiana Jones 5? Come tu hai scritto di “Oppenheimer”, l’ho trovato fuor di tempo, ma forse migliore del precedente; gli hanno nociuto il costo di produzione faraonico e la forte concorrenza. Da anni il personaggio riceve critiche di sessismo, razzismo, colonialismo eccetera, il materiale è sterminato (ma principalmente americano). [Ess. https://talesoftimesforgotten.com/2020/12/04/indiana-jones-is-actually-a-villain/
    https://everydayorientalism.wordpress.com/2017/08/22/indiana-jones-must-retire-archaeology-imperialism-and-fashion-in-the-digital-age/%5D

  2. Una suggestione: oltre alla mela di Oppenheimer c’è un’altra mela avvelenata all’inizio della nostra era. E’ quella con cui si suicidò (due anni dopo la condanna per omosessualità) Alain Turing, padre dell’informatica. Biancaneve di Disney è del 1937, è possibile che sia il grimorio del post-modernismo?

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