Dopo il tentato golpe della Wagner, il presidente russo Vladimir Putin ha lasciato Mosca per una visita programmata nella repubblica del Daghestan. Nonostante lo scopo del viaggio fosse di stampo amministrativo-economico (con particolare attenzione al settore turistico, un impegno nel dotare la regione di infrastrutture degne delle proprie bellezze che Mosca ha preso da tempo), tutta l’attenzione è stata rivolta alla visita (anch’essa programmata) alla più antica moschea del Paese, la Juma di Derbent.
Il motivo è ovviamente la concomitanza (non voluta) con una manifestazione a Stoccolma, autorizzata dalle autorità svedesi, in cui un cittadino iracheno ha strappato le pagine dal Corano per pulircisi le scarpe, poi ha messo all’interno del libro sacro della pancetta e gli ha dato fuoco: una sceneggiata che ha mandato su tutte le furie la Turchia, pronta a boicottare l’ingresso nella NATO della nazione scandinava per aver acconsentito a tale oltraggio.
Dal canto suo, Vladimir Putin, ricevendo dal deputato dell’Assemblea popolare del Daghestan Veliyulla Fatalijev una copia del Corano proveniente dalla Mecca, ha colto l’occasione per affermare che mentre in altri Paesi (senza nominarli) “non rispettano i sentimenti religiosi delle persone e anzi dicono che non è un crimine oltraggiarli”, in Russia offendere le credenze altrui rientra nell’articolo 282 del codice penale, che si occupa dell’incitamento all’odio.
L’attenzione verso il Daghestan, e più in generale nei confronti dell’intera area caucasica, è da sempre tra le preoccupazioni principali della linea putiniana, per tutta una serie di motivi che vanno dalla sicurezza (impedire la proliferazione dell’estremismo islamico) a mere questioni politiche (tenere assieme il Paese ad onta delle minacciose faglie etnico-religiose sempre in procinto di saltare), fino a un interesse personale nei confronti della spiritualità da parte del leader russo.
Dal punto di vista della religione, la Russia in questi anni ha adottato una politica all’insegna del principio allargato del cuius regio, eius religio, sancita definitivamente con l’approvazione delle cosiddette “Leggi Jarovaja”: Mosca riconosce l’importanza delle fedi tradizionali e si impegna a garantire il ruolo che a esse spetta nella vita pubblica, opponendosi al contempo al proliferare di nuovi culti e a settarismi di ogni stampo che potrebbero minare la sicurezza e l’identità della nazione.
Per quanto concerne l’Islam, l’iniziale adesione alla “guerra al terrore” ha presto lasciato il passo a una nuova sensibilità nei confronti della rinascita della religione maomettana, la quale, prendendo a pretesto -come nel caso in questione- le sempre più frequenti crisi causate dalla schizofrenia occidentale, ha infine consentito a Putin di optare per una sorta di “russificazione dell’islam”, che spiegherebbe anche la crescente importanza di personaggi come Ramzan Kadyrov all’interno della sua cerchia.