La filosofia hegeliana è generalmente riconosciuta come una delle più “dinamiche”, essendo caratterizzata da un principio, quale è la dialettica, in grado di “mettere in moto” la storia e incardinare le vicende umane nell’ottica di un’evoluzione incessante (chiedo venia per le semplificazioni, ma è solo per intendersi). Tuttavia, questo sistema che da oltre due secoli rappresenta -anche in modo implicito- la base di ogni ideologia “progressista” emersa nel pensiero occidentale, viene messo in difficoltà da almeno due “assoluti” a cui Hegel non ha potuto rinunciare: la Donna e l’Ebreo.
Nel pensiero hegeliano, l’elemento femminile (Weiblichkeit) è il “nemico interno” e la “eterna ironia” non solo di una comunità, ma del movimento dialettico stesso, nel momento in cui, principalmente per caratteristiche biologiche, impedisce alla coscienza di farsi autocoscienza e assurgere così a fini universali (per un approfondimento mi permetto di rimandare a questo mio scritto).
Anche l’Ebreo, in tale sistema, subisce una categorizzazione simile a quella del femminile, seppur non nella prospettiva dell’autocoscienza ma della coscienza infelice (spiace non potersi dilungare nemmeno su questo punto, ma il mezzo impone la semplificazione): il popolo ebraico è elemento perenne di instabilità e anarchia, imprigionato com’è nell’immediatezza dell’essere (come appunto la donna, ma più per motivi spirituali che non biologici) e dunque non ordinabile nel sistema se non attraverso l’esclusione o –lato sensu– l’assimilazione.
Nei suoi scritti giovanili, Hegel si produce in un antisemitismo piuttosto intransigente. Per esempio, in Die Positivität der christlichen Religion (1796), considera la Legge degli antichi ebrei, imposta “da un Dio geloso”, l’esibizione di “un’innumerevole quantità di atti senza senso e senza significato”:
Der pedantisch sklavische Geist der Nation hatte noch den gleichgültigsten Handlungen des täglichen Lebens eine Regel vorgeschrieben, und der ganzen Nation das Ansehen eines Mönchsordens gegeben – der Dienst Gottes und der Tugend war ein zwangsvolles Leben unter toten Formularen, dem Geist blieb nichts als der hartnäckige Stolz auf diesen Gehor- sam der Sklaven gegen sich nicht selbst gegebene Gesetze übrig.
«Lo spirito pedantesco e servile della nazione [ebraica] aveva prescritto una regola anche alle azioni più banali della vita quotidiana e aveva dato all’intera nazione l’aspetto di un ordine monastico. Il culto di Dio, la virtù, era un vivere oppresso da formule morte; allo spirito niente altro restava che il caparbio orgoglio per questa ubbidienza da schiavi di fronte a leggi che non s’erano dati da sé».
Oltre all’idea di un culto all’insegna del puro formalismo, che riecheggerà in diversi luoghi delle sue opere, qui Hegel propone in nuce la concezione dell’ebraismo come elemento della storia incapace di procedere nel percorso dell’autocoscienza neppure tramite la Legge, in quanto espressione di una passività/negatività rinchiusa in eterno nel recinto dell’eteronomia.
La figura che rappresenta al meglio tale condizione, al di là di Mosé (definito liberatore-legislatore, Befreier-Gesetzgeber, colui che “libera da un giogo per imporne un altro”), è Abramo, che ne Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1800) diventa “uno straniero sulla terra” [ein Fremdling auf Erden], emblema dell’estraneità/alienazione dell’identità ebraica che, proprio in virtù di tale natura, vorrebbe, da dominata, dominare:
Die ganze schlechthin entgegengesetzte Welt, wenn sie nicht ein Nichts sein sollte, war von dem ihr fremden Gott getragen. an dem nichts in der Natur Anteil haben sollte, sondern von dem alles beherrscht wurde. Auch von ihm hatte das andere der ganzen Welt Entgegengesetzte, das als solches ebensowenig hätte sein können, – hatte Abraham Haltung, welcher durch ihn auch allein in mittelbare Beziehung mit der Welt, die einzige ihm mit der Welt mögliche Art von Verbindung kam; sein Ideal unterjochte sie für ihn, schenkte ihm so viel von ihr, als er brauchte, und gegen das übrige setzte es ihn in Sicherheit. Nur lieben konnte er nichts; selbst die einzige Liebe, die er hatte, die zu seinem Sohne, und Hoffnung der Nachkommenschaft, die einzige Art, sein Sein auszudehnen, die einzige Art der Unsterblichkeit, die er kannte und hoffte, konnte ihn drücken, sein von allem sich absonderndes Gemüt stören und es in eine Unruhe versetzen, die einmal so weit ging, daß er auch diese Liebe zerstören wollte und nur durch die Gewißheit des Gefühls beruhigt wurde, daß diese Liebe nur so stark sei, um ihm doch die Fähigkeit zu lassen, den geliebten Sohn mit eigener Hand zu schlachten.
Da Abraham selbst die einzige mögliche Beziehung, welche für die entgegengesetzte unendliche Welt möglich war, die Beherrschung, nicht realisieren konnte, so blieb sie seinem Ideale überlassen; er selbst stand zwar auch unter seiner Herrschaft, aber er, in dessen Geiste die Idee war, er, der ihr diente, genoß seiner Gunst, und da die Wurzel seiner Gottheit seine Verachtung gegen die ganze Welt war, so war auch er ganz allein der Günstling.«Il mondo intero gli era assolutamente opposto; e se non poteva divenire un nulla, era perché trovava sostegno nel Dio ad esso estraneo, di cui niente nella natura poteva aver parte ma da cui tutto era dominato. Anche Abramo, l’altro termine dell’opposizione con il mondo che non avrebbe potuto essere nulla di più che l’opposto, era tenuto in essere da Dio; solo per mezzo di Dio entrava in relazione immediata con il mondo, unico genere di legame a lui possibile. Il suo ideale gli assoggettava il mondo e gli offriva quanto gli occorreva, mettendolo al riparo dal resto. Non poteva amare altro che nulla. Anche l’unico amore che provò, quello per il figlio e la speranza di una discendenza, l’unico modo di estendere il proprio essere, il solo genere d’immortalità che conoscesse e sperasse, a tal punto oppresse e turbò il suo cuore, estraniandolo da tutto e riducendolo in un tale stato di inquietudine, che egli arrivò al punto di voler distruggere anche quest’amore, e si placò solo dalla certezza del sentimento che questo amore non era abbastanza forte da renderlo incapace di uccidere il figlio adorato con le proprie mani.
Poiché Abramo stesso non poteva raggiungere da sé il dominio sul mondo, il solo rapporto possibile col mondo infinito e contrapposto, fu lasciato al suo Ideale; egli a sua volta era sotto il suo dominio, ma nel suo spirito vi era l’idea; e questa egli serviva, e perciò godeva del favore dell’Ideale; e giacché la sua divinità aveva alla sua radice il disprezzo per tutto il mondo, così egli restava l’unico favorito».
Questi giudizi sono state in parte interpretati attraverso le opere più mature, come le Lezioni sulla filosofia della storia o le Lezioni sulla filosofia della religione, dove l’estraneità ebraica pare assumere un ruolo positivo nella formazione della coscienza occidentale (seppur sempre in preparazione del cristianesimo e non come momento a se stante). Tuttavia, Hegel non giunge mai a una lettura, se non positiva, almeno neutrale, di tale caratteristica; semmai spesso preferisce tornare alla questione dell’inimicizia tra la nazione d’Israele e il genere umano (il quale a un certo punto viene indicato dal filosofo addirittura con l’espressione gojim, che Donatella Di Cesare -alla quale comunque “devo” la citazione dalle Vorlesungen über die Philosophie der Religion– identifica come un inverosimile prestito dallo yiddish, ma che in realtà può esser stata pacificamente reperita in qualche vocabolario biblico):
Beziehung auf den Herrn – an ihm mein absolut wesentliches Selbstbewußtsein habend – gegen ihn alles vernichtet an mir nur – von ihm, durch ihn. Aber ebenso absolut mich wiederherge- stellt, für mich, und diesen Inhalt aufgenommen als die konkrete Seite in jene Anschauung, ABSOLUT BERECHTIGT durch jenes Verhält- nis das Volk Gottes mit Ausschluß der anderen, abgeschlossen gegen sie, das odium generis humani, an denen anderen Gojim sie sich entschädigen gegen den harten Dienst, in welchem sie stehen.
«Relazione col Signore – ho in Lui la mia autocoscienza assolutamente essenziale – al Suo cospetto tutto di me viene annientato – da Lui, tramite Lui. Ma in modo altrettanto assoluto mi ha ristabilito, per me, e ho assunto in quella intuizione questo contenuto come il lato concreto, ASSOLUTAMENTE GIUSTIFICATO in virtù di tale rapporto – il popolo di Dio e l’esclusione degli altri, chiuso rispetto ad essi, l’odium generis humani, per cui si rifanno su altri gojim del duro servizio al quale sono costretti».
Il tema del “dominato che vuole dominare” (perché incapace di passare dall’eteronomia all’autonomia) risuona anche in una pagina della Fenomenologia dello Spirito (V, A, c, 3g, secondo l’indice dell’ed. Bompiani), dove en passant Hegel ricorda che “il popolo ebraico è il popolo più reietto perché si trova immediatamente davanti alla porta della salvezza”, dunque non ha una consapevolezza di sé ma la trasferisce al di là di sé, e solo mediante il superamento di tale alienazione/esteriorizzazione [Entäußerung] potrebbe agognare a un’esistenza superiore rispetto a quella limitata all’immediatezza dell’essere. Quando tale passaggio non si verifica, tale coscienza rimane in un “vuoto desolato e privo di salvezza” [unselige Leere] perché “ciò che avrebbe dovuto riempirlo è divenuto un estremo ossificato” [festen Extreme].
Ecco l’Ebreo per Hegel: un “vuoto” non ordinabile né sistematizzabile, che minaccia di opporsi perpetuamente al processo di negazione/superamento/elevazione, impedendo la riaffermazione sublimata dell’immediatezza del momento. In tale condizione di schiavitù, l’Ebreo anela al dominio nello spossessamento del mondo intero, aggiogandolo all’immobilità dell’alienazione, e relegandolo fino alla fine dei giorni “davanti alla porta della salvezza”.
Si però anche noi ci sentiamo estranei allo spirito del mondo attuale come Abramo l’Ebreo.
E poi non scordiamoci come Mosè fu caposaldo di un Patriarcato autorizzato dal Cielo (con florilegio di leggi annesse).
E Bob Marley? Dove mettiamo i testi di Bob Marley? Canto che ci conforta nelle persecuzioni.
Insomma spero con ciò di non alienarmi la simpatia dell’Autore.
(Lo so, lo Zotico ama l’esotico…)
Il titolo è rivelatore. L’odio precede il ragionamento. Idem per Hegel: prima si postula che gli ebrei vogliano dominare il mondo, poi, ex-post, si elabora una puttanata a caso in grado di spiegare l’arbitraria attribuzione di una data propensione a un intera religione o a un intero gruppo etnico.