Nel Cao de’ Ano, il capodanno more veneto che fa coincidere l’inizio dell’anno con l’inizio della primavera (antichissima usanza che la Serenissima mantenne dopo l’introduzione del calendario gregoriano nel Veneto e che ancora oggi è in auge in numerose aree della regione), vorremmo attirare l’attenzione su un’ideologia che potrebbe caratterizzare i Nuovi Anni Venti, da tempo auspicati dopo il caos post-pandemia: il Venetismo.
Tale ideologia nasce immediatamente con respiro europeo: uno dei primi partiti indipendentisti del Vecchio Continente fu infatti la lista “Leone di San Marco”, dell’avvocato Italico Corradino Cappellotto (parlamentare uscente del Partito Popolare), che alle elezioni del 1921 ottiene il 6,1% dei consensi nella provincia di Treviso. L’Europa è sin dal principio, senza soluzione di continuità, l’orizzonte dei venetisti: a partire dalla collana di movimenti autonomisti che tentò di attuare un modello politico alternativo sia all’imperialismo che al nazionalismo, sognando una federazione di popoli pacifica e ordinata intrisa di accenti novalisiani, nei quali si inserirono naturalmente gli idealisti delle Tre Venezie schiacciati dal centralismo prima risorgimentale e poi fascista, fino al panorama odierno, nel quale lo scetticismo profondo nei confronti del Bel Paese rispecchia i sentimenti di una “massa critica” che crede nell’europeismo più per disprezzo di Roma che per amore verso Bruxelles.
Quest’anima divisa tra romanticismo e machiavellismo è perfettamente rappresentata da Bepin Segato, “ideologo” (vero o presunto) della Veneta Serenissima Armata che nel 1997 assaltò il Campanile di San Marco, la quale emerse dalla “terza ondata” del venetismo, il milieu della Liga Veneta e poi ovviamente della Lega Nord (se identifichiamo la prima ondata con i movimenti post-risorgimentali, la seconda con il “regionalismo” degli anni ’70 e appunto la terza con la sorgente “balcanizzazione” degli 80-90). Il motivo per cui Segato è passato a livello mediatico come “ideologo” è perché fu a tutti gli effetti un intellettuale sui generis, la cui Weltanschauung si può apprendere da volumi ormai introvabili come Il mito dei Veneti dalle origini a noi (1992), nel quale da una parte si riallaccia alle nuove tendenze nella storiografia continentale (che tendono a emanciparsi dal latino-centrismo per avvalorare, per esempio, l’ipotesi “lusaziana” sull’origine dei veneti) e dall’altra non può fare a meno di porsi come meta “gli obiettivi politici di medio-lungo periodo della Comunità Economica Europea”.
Tale dinamica è peraltro apprezzabile praticamente in tutti i movimenti secessionisti europei che contino qualcosa, dallo scozzese al catalano: un europeismo tanto ideale nelle premesse quanto “cinico” negli obiettivi, che si rifà a una ripartizione federale del continente più per stemperare il giogo della propria capitale “ladrona” che per reale volontà di entrare a far parte in una pseudo-federazione dall’identità incerta. Non bisogna farsi trarre dunque in inganno da una certa ingenuità “eurofila” presente nel venetismo e condannare a priori le sue diverse manifestazioni, poiché nella sostanza tale ambigua dialettica sembra funzionare benissimo, se pensiamo solo all’incredibile successo di Luca Zaia, che nelle regionali delle 2020 ha raggiunto numeri da plebiscito (76% di preferenze) proprio adottando questa “visione calibrata”.
Il venetismo mi sembra perciò una delle tante correnti da coltivare per propiziare i Nuovi Anni Venti col botto. Alla fine la cosa importante è che l’ideologia che ci scegliamo sia la più contraddittoria e anacronistica possibile, poiché questo è l’unico modo per trionfare. Pur non essendo veneto, se ora leggo “venetismo” su Twitter io lo ritwitto con Literally My Ideology.
PS: Battute a parte, il fatto che il venetismo, a fronte di tutti gli indipendentismi che “piacciono alla gente che piace”, non venga mai preso sul serio dipende per l’appunto dal secolare pregiudizio anti-italiano (manco a farlo apposta, visto che anche i venetisti sono in parte anti-italiani) che fa sì che, come scriveva Alberto Arbasino in tempi non sospetti (Paesaggi italiani con zombi, 1998),
«Quando si parla degli irlandesi, dei baschi, degli slovacchi, degli sloveni, degli albanesi, dei macedoni, dei bosniaci, e di tutti gli altri, le polemiche sui secessionismi (ogni Paese ha i propri, in cui si rispecchia) si svolgono con severità, serenità, accoratezza.
Parrebbe scorretto fare gli smorfiosi o gli snob sui difetti etnici altrui. Non sono mica “italioti”. Ma quale politicamente chic userebbe termini tipo “italioti” e giudizi altezzosi (come sull’ignoranza e goffaggine rustica e barbara dei lombardi e dei veneti), trattando di qualunque irredentismo balcanico o palestinese o “negro”? (Scambiare gli aggettivi giornalisti correnti fra Bossi e Arafat?…).
Eppure i programmi irredentistici e localistici e scolastici e fiscali dei veneti sono sostanzialmente identici a quelli zapatisti del famoso Chiapas. Solo un “look” più o meno suggestivo li distingue.
Ma se adesso tutta la sinistra internazionale alla moda, avendo esaurito i pellegrinaggi a San Cristóbal de las Casas, decidesse che la località “in” di quest’anno potrebbe essere Noventa di Piave (anche in omaggio al grande poeta dialettale “da rivalutare” Giacomo Noventa), e magari scoprendo che per il gusto francese dell’Altro sono “adorables, remarquables, formidables” proprio quei tipi caratteri folk che gli italiani politicamente chic trovano abominevoli?».
Dall’altra parte, la vera grandezza è umile e molti veneti nemmeno si rendono conto dell’importanza, a livello prettamente storico, della loro patria ideale, al cospetto, tanto per citare, di una Scozia così rispettata e pubblicizzata i cui miti di fondazione, a partire dal famigerato kilt (inventato da un imprenditore quacchero nel XVIII secolo) risalgono quasi tutti al romanticismo ottocentesco. Questo solo per dire che ho iniziato ad approcciare l’argomento da un giorno tanto per farlo coincidere col Capodanno Veneto, ma che in realtà le mie intenzioni sono serie e non sto trollando (in tutti i sensi).
Ottimo. Pure io (nato e residente nel nord-Italia) in questi ultimi tempi mi sono ritrovato a fantasticare di possibili indipendentismi, più che altro come fuga mentale da questi tempi bui che stiamo vivendo.
Non sono veneto, e per me indipendenza significherebbe secessione della Padania dal resto d’Italia, ma sarei comunque contento per i veneti se riuscissero a creare un proprio stato, almeno loro.
Trovo abbastanza secondaria la discussione relative a differenze etniche e genetiche: se da una certa parte sono abbastanza ovvie, dall’altra saranno sempre contestabili anche dal primo piddino o studentello sinistrorso (non necessariamente meridionale, anzi). Non è possibile pensare di fondare uno stato solo su (presunte) basi genetiche.
La pretesa per l’indipendenza dovrebbe essere basata su un altro e incontestabile fatto: la cultura. La cultura del lavoro che nel Nord è (era?) indubbiamente più presente che al sud. Questo lo dicono i fatti. Si accetti il fatto che per il Nord l’indipendenza, se non vuole essere vista come autodeterminazione di un popolo (eterogeneo, ma sicuramente con caratteristiche che lo accomunano e che lo separano dal meridione), può essere considerata come il volersi sbarazzare di un lontano parente scroccone che ti viene a mangiare dal frigorifero quando tu sei al lavoro.
In quanto ad europeismo, al di là delle sparate del leghistello di turno, non è difficile pensare a chi l’Austria, la Francia, o la Svizzera preferirebbero avere come vicino, se uno Stato Padano o un Neo-Regno delle 2 Sicilie.
Ma queste, come dicevo all’inizio, sono e rimarranno solo fantasie, perchè la generazione dei nostri genitori (al nord) ha preferito snobbare ogni idea di indipendenza per fare i radical-chic, gli acculturati, quando invece avrebbe potuto creare uno stato che per ricchezza e benessere avrebbe potuto fare impallidire la Svizzera.
Ma è inutile piangere sul latte versato…. Après nous, le déluge!!! (Sperèm!)
ma no me che c’è frega degli indipendentismi, noi ci vogliamo il leader, il bon chef de famille che metta in riga femministe e sinistriprogressisti, che ci restituisca i valori dei padri e la dignità di maschi , che per esempio dia una bella stretta al porno e all’imputtamento, che ci ristori del sesso negletto, e se necessario riapra le case chiuse…
…chè poi tralaltro a proposito di veneti, Venezia è stata grande perchè era una gran bordello!
Quel giorno del 1997 lavoravo in terraferma a poca distanza dal centro storico… Quando si sparse la voce dell’assalto fummo tutti presi da un brivido “andiamo anche noi o stiamo?“… Non andammo e facemmo male, penso che se 100 mila veneti avessero manifestato quel giorno oggi la storia sarebbe un po’ diversa
I movimenti indipendentisti fanno solo il gioco delle potenze straniere, in primis la Germania, che hanno come solo scopo quello di frammentare l’Italia per farla tornare ad essere una mera espressione geografica. I rapporti tra Miglio e i servizi segreti britannici, per esempio, meriterebbero maggiore attenzione.
Senza contare che la Serenissima viene vista in un’ottica romanzata che non ha alcun appiglio con la realtà storica, dato che la Terraferma era trattata né più e né meno come una sorta di colonia da sfruttare e non su un piano paritario con la città di Venezia.