Gli ebrei ottomani e il genocidio armeno: indifferenza, connivenza e opportunismo

Nel giugno del 2018 la Knesset ha sospeso l’annunciato riconoscimento dello sterminio degli armeni come genocidio in seguito al ritiro del sostegno alla risoluzione da parte dell’allora governo in carica. Come giustificazione ufficiale venne avanzata la delicata situazione delle relazioni diplomatiche con la Turchia, che avrebbe impedito di “fare ciò che molti israeliani volevano, ovvero riconoscere pubblicamente il genocidio armeno alla Knesset”: così si era espresso al Times of Israel lo storico svizzero Hans-Lukas Kieser dell’Università di Newcastle, in Australia.

Kieser, insignito di un’onorificenza dalle autorità di Erevan per le sue ricerche sul Medz Yeghern, di recente ha ricostruito nel volume Talaat Pasha. Father of Modern Turkey, Architect of Genocide il contributo alla pianificazione del genocidio armeno da parte di Mehmed Talaat, ai tempi leader de facto dell’Impero Ottomano assieme a Ismail Enver e Ahmed Djemal.


Lo storico sostiene che il Triumviro dei Giovani Turchi propugnasse un nazionalismo messianico allo scopo di ridurre l’entità delle comunità non musulmane dell’Impero nella prospettiva di una nuova costruzione statuale: addirittura secondo Kieser fu Talaat, e non Atatürk, il vero architetto ideologico della moderna nazione turca (“Nonostante fosse figlio dell’Impero, Talaat ha posto le basi affinché Atatürk potesse poi fondare lo Stato turco”).

Il tomo di Kieser (oltre 400 pagine), costituisce in alcuni passaggi una lettura gravosa, specialmente quando lo storico ricorda lo sterminio dei cristiani armeni. Egli nota, ad esempio, che “la deportazione degli armeni dall’Asia Minore orientale ebbe luogo principalmente da maggio a settembre 1915, e donne e bambini dovettero sopportare la fame, gli stupri di massa e la schiavitù durante la loro marcia verso la morte”: in quell’anno numerosi villaggi nel nord della Siria si trasformarono in “arene per crimini di massa”.

Agli occhi di molti turchi Talaat è ancora uno dei padri fondatori della nazione, oltre che un grande statista e un abile rivoluzionario: Kieser sostiene che la sua figura autoritaria e la propensione all’islamizzazione ne facciano un modello per le politiche di Erdoğan, nonostante egli stesso ammetta che il suo nome non appaia in alcun Pantheon dell’AKP (il Partito del Presidente turco) né alcun suo esponente abbia mai rivendicato la sua eredità. Eppure, sempre per Kieser, “Erdoğan e Talaat implicitamente condividono una serie di somiglianze in cui l’iniziale ispirazione democratica termina con un esito autoritario”.

Al di là però delle polemiche sulla politica turca contemporanea, il tema più cocente resta il mancato riconoscimento del genocidio armeno da parte di Israele: la decisione di continuare a rimanere in silenzio ha suscitato diverse critiche da parte di storici, accademici, scrittori e attivisti per i diritti umani, molti dei quali provenienti dallo stesso Stato ebraico.

Il professor Yehuda Bauer, uno dei principali storici israeliani e consulente accademico del museo dell’Olocausto dello Yad Vashem a Gerusalemme, ha affermato in un’intervista che il mancato riconoscimento del genocidio armeno da parte del parlamento israeliano rappresenta un “tradimento”.

Benjamin Abtan, coordinatore dell’Elie Wiesel Network al Parlamento Europeo, in un articolo su Haaretz ha affermato che Israele dovrebbe più di tutti “riconoscere il genocidio armeno per prevenire altri genocidi in futuro”.

Secondo Kieser, invece, il riconoscimento del genocidio riveste per gli israeliani un’importanza che va oltre i rapporti diplomatici con Ankara da lui stesso evocati: a suo parere gli ebrei infatti hanno la responsabilità di aver svolto un ruolo fondamentale nel sostenere la propaganda ottomana durante i massacri degli armeni.

Lo storico afferma che Talaat godeva di “una stampa ebraica particolarmente favorevole a Istanbul e all’estero”, in special modo in Germania, dove fogli come la “Deutsche Levante-Zeitung” glorificavano il Großwesir Talaat come “salvatore della Turchia imperiale”, esercitando un’influenza non indifferente nell’opinione pubblica tedesca di allora.

Kieser ricorda come molti ebrei fedeli agli ottomani si voltarono dall’altra parte di fronte agli stermini, portando ad esempio Alfred Nossig, personalità di spicco del sionismo che contribuì a fondare organizzazioni come la Allgemeine Jüdische Kolonisations-Organisation allo scopo di conquistare gli ottomani alla causa. Lo storico tuttavia aggiunge che prima della Dichiarazione Balfour (1917) gli ebrei sionisti cercavano alleati ovunque potessero trovarli nella speranza di raggiungere il proprio obiettivo (insediarsi in Palestina) con ogni mezzo necessario.

Di conseguenza, un certo numero di giornali ebraici promossero le relazioni tra Talaat e politici e diplomatici ebrei all’interno di un Impero Ottomano ormai volto al declino: giusto per citare, il quotidiano ebraico fondato da Theodor Herzl “Die Welt” nel 1913 elogiò i “rapporti amichevoli” fra Talaat e diverse personalità ebraiche.

Nonostante i tentativi della propaganda sionista di arruffianarselo, il Gran Visir si mostrò sempre intenzionato a mantenere le distanze da quella ideologia: eppure, sempre secondo Kieser, ci fu un momento in cui anche Talaat sembrò farsi “sedurre” dalla proposta di una alleanza tra pangiudaismo e panislamismo, formulata ancora nel 1913 su “L’Aurore”, settimanale sionista con sede a Istanbul.

Inoltre, aggiunge Kieser, “gli speciali rapporti fra Talaat e gli ebrei in quel periodo gli conferirono una notevole influenza a livello internazionale, che egli seppe sfruttare a dovere per distogliere l’attenzione del mondo da quanto stava accadendo in Armenia”.

D’altra parte lo storico svizzero è convinto che gli ebrei si rifiutarono di esprimere una condanna dei massacri in atto perché “timorosi di subire una sorte simile a quella degli armeni”. Unica eccezione, un gruppo filo-britannico presente in Palestina, lo Netzah Yisrael Lo Yeshaker (“L’Eterno Uno di Israele non ti mentirà”), che stilò dei resoconti allo scopo di rendere consapevole la comunità internazionale di quanto stesse accadendo: per Kieser comunque una “piccola minoranza”.

“Purtroppo il silenzio è proseguito molti decenni dopo la guerra, con gli ebrei in Israele e in Turchia disposti a sostenere Ankara nella negazione del genocidio armeno”, conclude Kieser.

Citazioni da: Before the Holocaust, Ottoman Jews supported the Armenian genocide’s ‘architect’, Times of Israel, 7 settembre 2018 (attenzione: non si tratta di una traduzione letterale dell’articolo).

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