Hostis humani generis: perché Israele può avere solo nemici

È ormai risaputa la concezione schmittiana del politico come dialettica tra amico e nemico (Freund/Feind); probabilmente è noto anche il fatto che il pensatore tedesco si sia concentrato soprattutto sulla questione dell’inimicizia, offrendo il destro a chi ha voluto ridurlo a “nazista” (a tal proposito rimando, cum grano salis, alle imbarazzanti ma legittime obiezioni di Derrida).

Lasciando da parte la filosofia (così non perdiamo tempo), in estrema sintesi si può affermare che Carl Schmitt non abbia prestato grande attenzione al concetto di “amicizia politica” (o perlomeno non a livello internazionale, valorizzandolo da una prospettiva meramente “domestica” quale unico antidoto alla stasis tucididiana) ma ne abbia comunque legittimato l’esistenza a livello teorico e anche pratico.

Proprio per questo, si può pacificamente affermare che dalla prospettiva schimittiana più basilare possibile, Israele sembri uno stato capace di avere soltanto nemici. Nemici assoluti, s’intende, dunque non soggetti politici da combattere ma “criminali internazionali” da annientare al di fuori di qualsiasi vincolo giuridico. Non è noto se il giurista abbia maturato qualche convinzione particolare sullo Stato ebraico nel suo lunghissimo “dopoguerra intellettuale”, tuttavia si può ipotizzare che, se fosse ancora vivo oggi, non potrebbe fare a meno di considerarlo una emanazione della “disfunzionalità” da egli addebitata agli Stati Uniti, colpevoli di aver trasformato la guerra in una “azione di polizia” e di impedire la restaurazione di uno jus gentium basato su nuovi equilibri globali.

Tuttavia, volendo dare un senso positivo al concetto di “amicizia”, si può notare come in ambito politico intervengano fattori non legati necessariamente ai paletti imposti da una qualsiasi Realpolitik: quante alleanze, in fondo, sorgono per motivi “culturali”, per non dire irrazionali, ideologici, romantici? Quello stesso filosemitismo che, da “destra”, vorrebbe Israele come ultimo baluardo di una fantomatica guerra di civiltà, e, da “sinistra”, considera gli ebrei come un popolo magicamente portatore di valori umani universali quali la giustizia, la tolleranza e l’eguaglianza, non è forse dettato da ragioni ingiustificabili attraverso la logica e il buon senso?

Israele, al contrario, sembra persino incapace di concedersi certi “sentimentalismi”, rinchiuso com’è nella convinzione di essere sostanzialmente l’unica nazione al mondo degna di esistere. Il solo alleato a cui può rifarsi sono gli Stati Uniti, ma parlare di “amicizia” in tal caso pare davvero fuori luogo, se pensiamo per esempio all’enorme influenza politica che le comunità ebraiche storicamente esercitano a Washington (è un dato di fatto, al di là di tutte le paranoie sull’antisemitismo), un elemento che esclude sulla lunga distanza (e ormai anche sulla breve) la certezza che gli americani saranno perennemente disposti a “morire per Israele”. Per tacere del nocciolo duro del sostegno popolare d’oltreoceano allo Stato ebraico, rappresentato perlopiù da fondamentalisti evangelici il cui unico interesse è convertire in massa gli ebrei per accelerare la fine del mondo.

Se esiste un’unità di intenti tra Israele e Stati Uniti, essa non può che basarsi su quella “disfunzionalità” a cui si accennava, e che concretamente detta la linea sulle altre alleanze che Israele è in grado di intessere nel panorama internazionale (si pensi, per portare un caso recente, agli Accordi di Abramo, nonché alle improbabili liaison fra Tel Aviv e Tbilisi, Kiev, Sarajevo o Pristina).

Per il resto, lo Stato ebraico pare interessato a instaurare rapporti diplomatici esclusivamente con quei Paesi (come Marocco, Sud Africa o Kurdistan) in cui sono presenti comunità ebraiche suscettibili di essere “importate” nei suoi territori. Volendo fare un esperimento mentale, si potrebbe immaginare che qualora nel mondo sorgesse un secondo Stato ebraico (ipotesi non remotissima, considerando l’assurdità delle vicende umane), Israele finirebbe inevitabilmente per considerare anch’esso un nemico e invocherebbe il suo annientamento.

Mettendo però da parte, dopo la filosofia, anche la fantapolitica, si può almeno sperare di poter discutere liberamente della questione senza la minaccia perpetua dell’accusa di antisemitismo, per esempio con l’evocazione dell’antica definizione di hostis humani generis, che ho riportato nel titolo solo per provocazione (non sfugga che Schmitt si vietò sempre di pensare fino in fondo all’eventualità che anche i nazisti nei confronti del popolo ebraico avessero usato lo stesso approccio “criminalizzante” degli Alleati verso i tedeschi durante la Seconda guerra mondiale).

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