Israele merita la sconfitta?

Negli ultimi lustri, a partire almeno dalla fine della Seconda Intifada, Gaza si era trasformata in una sorta di “poligono di tiro” per i soldati israeliani: nelle capitali d’Occidente e d’Oriente qualcuno piagnucolava, qualcun altro si indignava, ma in generale lo Stato ebraico poteva fare il bello e cattivo tempo in ambito nazionale e internazionale.

Per dire: nel 2014 l’IDF tirò un missile su dei bambini palestinesi che giocavano di fronte a un hotel in cui risiedevano gli inviati di guerra di mezzo mondo; nel 2018 cecchini ebrei passavano il tempo a sparare sulle folle di manifestanti pacifici che protestavano contro l’embargo e il divieto per gli sfollati di ritornare nelle loro terre (uccidendo “in diretta” un uomo in sedia a rotelle); nel 2021 le ruspe israeliane demolivano, davanti agli occhi di una delegazione europea, dei rifugi finanziati dalla stessa UE nel villaggio di Khirbet Humsa

Si parla quindi di reazioni obiettivamente spropositate o ingiustificate che però non hanno mai provocato contraccolpi degni di nota (a parte le geremiadi equosolidali di cui sopra). Per una volta che, forse, la gravità di un attacco da parte di Hamas poteva offrire uno straccio di legittimità (almeno a livello emotivo o mediatico) a rappresaglie come quelle a cui si è assistito negli anni passati, ecco che gli israeliani e i loro manutengoli occidentali invece si rivelano non più in grado di gestire la “narrazione” ad alcun livello.

I motivi per questo incalcolabile danno d’immagine sono diversi. Il primo che mi viene in mente è la demonizzazione di un politico come Benjamin Netanyahu, che è da tempo entrato nel club dei cattivi assieme a Putin, Erdoğan, Orbán ecc… Probabilmente a contribuire alla nomea non è stata tanto l’eccessiva vicinanza a brutta gente come Donald Trump (per non dire di Salvini!), quanto i numerosi sgarbi -non solo diplomatici- perpetrati nei confronti di uno dei tanti santi del mainstream contemporaneo quale Barack Obama. Qualche camarilla non deve averglielo perdonato e perciò non c’è alcuna remora ad addebitare a un singolo premier israeliano (che francamente non si distingue granché dai predecessori likudnik o laburisti) anche le responsabilità “strutturali”.

In secondo luogo, andando oltre i confini di Israele, si registra a livello internazionale l’incredibile ascesa del Qatar (che evidentemente non distribuisce mazzette a destra e a manca solo perché non sa dove buttare i soldi) e, da una prospettiva interna per le nazioni occidentali, l’insorgenza di minoranze islamiche compatte e agguerrite sorte “spontaneamente” (si fa per dire) dall’immigrazione di massa.

Questi due fattori esercitano una pressione inedita su governi generalmente filo-israeliani, o quanto meno “neutrali” (dunque disposti al silenzio come quei diplomatici europei a cui si accennava sopra), che allo stato attuale non posso più permettersi di far finta di nulla, pena da un lato il ricatto economico dei fondi qatarioti, dall’altro la minaccia della “palestinizzazione” delle proprie periferie.

È in particolare la questione dell’immigrazione a sembrare decisiva, perché l’atteggiamento sia delle comunità ebraiche nazionali (che hanno contributo attivamente alla “shoahizzazione” del fenomeno con un tanto imponente quanto stucchevole armamentario retorico) che degli stessi ebrei israeliani (che invocano apertamente un esodo dei palestinesi non verso gli Stati arabi, ma direttamente in Europa/Edom) sono infine riusciti a riportare quella parte di opinione pubblica conservatrice e destrorsa nell’alveo dell’antisemitismo classico (checché se ne dica messo da parte da decenni nella dicotomia artefatta tra ebraismo internazionale e nazionalismo ebraico).

Due esempi dagli Stati Uniti potrebbe a mio parere essere alquanto rappresentativi del problema: un recente sondaggio condotto da un ricercatore indipendente (di origine ebraica) dimostra come gli ebrei americani (di simpatie filo-israeliane), messi di fronte a dichiarazioni anti-israeliane dei politici democratici, diventino addirittura più propensi a votare per quel partito nelle elezioni del 2024. Si possono trarre diverse considerazioni da tale dato, ma bisognerebbe comprendere i motivi per cui gli appartenenti alle comunità ebraiche negli Stati occidentali sembrino adottare una mentalità “autolesionista”.

L’altra vicenda, purtroppo più tragica, riguarda una studiosa israeliana di 31 anni di stanza nel Maryland che ha passato la sua breve carriera accademica a dimostrare che il sistema giudiziario americano è strutturalmente razzista contro gli afroamericani, fino a quando nel 2021, in visita a Chicago, è stata uccisa a coltellate da un individuo descritto dai testimoni come un “maschio nero con i rasta”. Una buona parte di ebreo-americani sono quotidianamente impegnati a denunciare un inesistente “suprematismo bianco” negli Stati Uniti mentre al contempo manifestano uno zelo imbarazzante nei confronti dello Stato etnocentrico di cui si sentono orgogliosamente cittadini.

Sono solo un paio di storielle, forse insignificanti, che però appaiono comunque emblematiche del destino di un Occidente (o qualsiasi entità per cui valga per tale definizione) che, già costretto a stancarsi di se stesso, si è infine stancato anche di Israele.

Una rivisitazione post-ironica della polemica sul “polpo di Greta“, con la quale voglio precisamente contestare l’attribuzione di significati antisemiti a una piovra di peluche piuttosto che rappresentare una critica sensata a Israele

4 thoughts on “Israele merita la sconfitta?

  1. Alla fine, gira gira, si arriva sempre ai na*isti dell’Illinois: “Uomo bianco, l’eb*eo usa il ne*ro per distruggerti”

    1. Non mi sembra che questa affermazione sia distante dalla realtà. (Aggiungerei le donne odierne, con il loro conclamato antinatalismo). Poi “il na*ista dell’Illinios” e il “populista” sono messi apposta per far cadere tutto in burletta.

  2. Il giochino s’è rotto.
    Ci hanno buttato migranti, ne*ri, ogni “diversità” possibile e immaginabile, e ci hanno imposto l’antinatalismo come forza emancipatrice. Tutto questo con foga vendicativa verso noi “malefici” europei “colpevoli” della Shoah e mille altre “nefandezze” a cui dobbiamo espiare karmaticamente con un annullamento etnico purificatore.
    Mentre le comunità ebraiche shoiazzavano il migrante, Lampedusa, il femminismo, difendevano il loro staterello etnicamente puro, facendo ogni porco comodo e ricattando emotivamente con il senso di colpa, per cui ogni critica verso il loro stato era sempre – con una cantilena monotona e ipocrita -, una forma di antisemitismo interiore.
    Peccato che questo doppio gioco gli sta rivoltando contro, proprio grazie ai “nuovi ebrei” migranti – evidentemente diventati “più ebrei” di loro – specialmente gli islamici, a cui ai loro occhi – con molte ragioni – l’Ebreo non è Anna Frank, ma un soldato truce che occupa la loro terra e uccide “i loro fratelli”.
    Hanno fatto comodo gli islamici e i ne*ri per colpire la cultura europea, per scristianizzare, hanno fatto comodo ai liberali per la manodopera da dare ai loro tanti amati industrialotti. Hanno fatto comodo per annichilire e annientare noi bianchi, sbatterli in faccia “ai bigotti e i cristiani”, per creare il nuovo paradiso multicolore.
    Un pò meno comodo quando bruciano le bandiere di Israele, inneggiano a Hamas, si esaltano per i kamikaze, gridano morte a Israele, assaltano sinagoghe, insultano e sputano in faccia e qualche volta ammazzano e non mostrano nessuna compassione per la Shoah.
    Ora i “poveri” ebrei si ritrovano a doversi di nuovo nascondere in Europa ma non dai perfidi “ariani”, ma dai “nuovi ebrei” migranti che hanno voluto e istigato abilmente loro. Ora a loro difesa hanno solo un manipolo di emeriti cretini quali sono i liberali-progressisti, e qualche tenerone che inneggia alla pace universale, evidentemente rimasto a “Imagine”e “We are the World”.
    Politicamente è la cosa più deflagrante degli ultimi tempi, più della comparsa del ridicolo populismo, e noi gojm “ariani” dovremmo sfruttarla con una terzietà di comodo, la rottura del giochino.
    E ciò è uno spasso.

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