La risposta asburgica al coronavirus

Emperor Joseph’s Solution to Coronavirus
(A. Wess Mitchell – Charles Ingrao, Wall Street Journal, 6 aprile 2020)

Nel momento in cui i Paesi di tutto il mondo erigono freneticamente barriere contro la diffusione del coronavirus, potrebbe essere utile esaminare uno dei migliori sistemi di quarantena mai ideati. Nel 1710 l’imperatore Giuseppe I d’Asburgo decise di fermare la diffusione continua di epidemie provenienti dai Balcani creando un “cordone sanitario” lungo la frontiera meridionale della monarchia asburgica con l’Impero ottomano.

La sua iniziativa purtroppo non è riuscita a salvarlo dal contagio: è noto che morì di vaiolo nell’aprile del 1711 dopo aver incontrato il Primo Ministro, ignaro del fatto che la figlia di quest’ultimo avesse appena contratto la malattia. All’epoca non si sapeva molto sul “distanziamento sociale”. Tuttavia, il “cordone sanitario” dell’Impero gli sopravvisse per un secolo e mezzo.

Il sistema creato da Giuseppe I aveva molti punti di forza. In un’epoca in cui la maggior parte dei confini internazionali era definita solo da giurisdizioni feudali sovrapposte, la frontiera asburgica-ottomana era una linea “visibile”, delineata da fiumi, picchi montuosi e avamposti di frontiera stabiliti da una commissione bilaterale di pace. Era già zona militare con enormi fortezze e guarnigioni militari, che non solo si difendevano dalle incursioni turche, ma riscuotevano dazi e si occupavano dell’assistenza ai rifugiati cristiani in fuga dal dominio ottomano.

Ci si può fare un’idea della portata di contenimento pensando al confine americano odierno: mentre Washington si affida a oltre ventimila agenti per controllare le sterminate frontiere messicane e canadesi, per proteggere il confine meridionale asburgico erano come minimo necessari centomila feroci fanti serbi e croati.

A metà del XVIII secolo, quasi a ogni chilometro, sorgevano 2000 torri di guardia, punteggiate da 19 valichi di frontiera con strutture che registravano, ospitavano e isolavano per almeno 21 giorni tutte le persone in ingresso, prima di concedere loro il visto per entrare nel territorio dell’Impero.

Le case di quarantena venivano disinfettate quotidianamente con zolfo o aceto, e le merci classificate in base alla loro suscettibilità alla trasmissione di germi. Gli agenti asburgici distaccati nel territorio ottomano riuscirono a ottenere informazioni preziose, che consentirono ai funzionari di regolare i tempi di quarantena o addirittura di sospenderli temporaneamente.

Le regole vennero rigorosamente applicate. Un osservatore inglese annotava: “Se osi infrangere le leggi della quarantena, vieni processato in maniera militaresca, sbrigativa: il tribunale ti giudica a una cinquantina di metri di distanza, e poi finisci fucilato con molta cura e sepolto con noncuranza“.

Fino al 1881 la frontiera militare asburgica si adattava a vari usi, fungendo da barriera all’immigrazione clandestina, da sistema di allarme contro le incursioni ottomane e da una fonte di eccezionali mercenari per le guerre austriache. Ma è stato nella lotta alle epidemie che la frontiera ha probabilmente dato il suo più grande contributo, in gran parte non riconosciuto. Nel secolo e mezzo prima dell’istituzione permanente della frontiera, la peste era entrata in Europa dal Vicino Oriente in almeno otto occasioni; successivamente, non si sono verificati gravi focolai. In almeno cinque occasioni, le epidemie negli imperi ottomano e russo sono state fermate direttamente al confine dell’Impero.

Il “cordone” divenne un luogo dove le epidemie potevano essere sistematicamente studiate. Uno dei suoi ammiratori fu Napoleone, tanto che lo adottò durante l’occupazione dell’Egitto (1798) e ordinò che “fosse preservato nella sua interezza” dopo l’annessione della Croazia alla Francia (1810-13).

Le ragioni per cui il cordone non sopravvisse sono quasi identiche a quelle dei nostri giorni: fu attaccato sia dai liberali (perché ostacolava il commercio) sia dai nazionalisti in Ungheria e Croazia (perché conferiva il controllo del confine a Vienna). Dopo la divisione dell’Impero tra austriaci e ungheresi, l’Ungheria lo abolì.

L’esperienza asburgica può offrirci diversi spunti per il nostro tempo. Il primo è la necessità di prevedere, piuttosto che reagire, alle minacce. Un altro è l’importanza dello spazio fisico nella lotta alle epidemie. Per quanto sia difficile da mandar giù per i cittadini occidentali abituati alla globalizzazione, confini razionali e ben regolati contribuiscono in modo sostanziale al bene pubblico. I primi critici delle restrizioni ai voli dell’amministrazione Trump non sono stati in grado di comprendere l’impellente logica medica che li dettava. Come ha testimoniato Anthony Fauci al Congresso, nessuna strategia di sanità pubblica può contenere un contagio già all’interno del Paese senza fermare l’afflusso di nuovi vettori.

Un altro è che le epidemie non riguardano solo la sanità pubblica, ma anche la geopolitica. Per le autorità asburgiche, anche la loro gestione era un problema di sicurezza. La posizione della monarchia nei confronti dell’Impero ottomano è parallela alle attuali relazioni dell’Occidente con la Cina in quanto le peggiori pandemie al mondo – SARS (2002-03), influenza aviaria (2005) e ora Covid-19 – originano da una potenza che è anche un rivale strategico.

Non è un caso che l’Italia, il primo e il più colpito tra i Paesi europei, sia anche uno dei partner più stretti di Pechino nell’Unione Europea. Dopo questa crisi, le epidemie dovranno essere prese più seriamente come una minaccia alla sicurezza, anche se ciò dovesse spingere l’Occidente a cercare il giusto equilibrio in una relazione commerciale, per esempio diminuendo la dipendenza dalle catene di approvvigionamento cinesi.

Infine, l’esperienza degli Asburgo mostra che nella lotta alle epidemie non devono per forza farne le spese le alleanze, il commercio internazionale o la civiltà in senso lato, come alcuni temono. Secoli prima delle quarantene negli aeroporti e del passaggio ininterrotto di container, gli Asburgo hanno combattuto efficacemente le irruzioni della peste dall’Oriente mantenendo un sistema di scambi ordinato con gli ottomani, lasciando i confini in gran parte aperti all’interno del proprio impero (una sorta di zona proto-Schengen), gestendo un sistema ben regolato di commercio e diplomazia con i loro vicini occidentali e sviluppando una delle civiltà più cosmopolite della storia. Dovremmo avere un obiettivo simile oggi, anche dando priorità al contenimento immediato dell’impatto del virus.

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