Soleimani era da tempo nel mirino del Mossad

Mossad chief: Iran’s Soleimani ‘knows his assassination is not impossible’
(Times of Israel, 11 ottobre 2019)

Un’immagine pubblicata sul sito ufficiale di Ali Khamenei il 25 settembre 2019 mostra il leader supremo iraniano, a sinistra, accanto al capo degli Hezbollah Hassan Nasrallah, al centro e al comandante della Forza Quds del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche Qassem Soleimani (Khamenei.ir)

In un’intervista pubblicata giovedì, il capo del Mossad Yossi Cohen ha dichiarato che l’assassinio mirato del generale iraniano Qassem Soleimani, capo dell’élite del Corpo della Guardia rivoluzionaria islamica iraniana, “non è improbabile”.

In un’intervista per il quotidiano ultra-ortodosso Mishpacha, a Cohen è stato chiesto di commentare l’affermazione di Soleimani secondo cui gli aerei israeliani avrebbero preso di mira lui e il leader di Hezbollah Nasrallah a Beirut durante la seconda guerra del Libano nel 2006.

“Con tutto il rispetto per le sue spacconate, non ha ancora commesso l’errore che lo farebbe finire nella prestigiosa lista degli del Mossad”, ha detto Cohen. “Sa benissimo che il suo assassinio non è impossibile. Le sue azioni sono seguite passo passo, non c’è dubbio che l’infrastruttura che ha costruito rappresenti un pericolo per Israele”.

La scorsa settimana i media iraniani hanno riferito che Teheran avrebbe sventato un complotto “arabo-israeliano” per eliminare Soleimani. Cohen ha aggiunto che pure Nasrallah “sa che abbiamo la possibilità di eliminarlo” ma non ha voluto rispondere quando gli è stato chiesto perché Israele non abbia ancora provveduto a farlo.

In un periodo di crescenti tensioni nel Golfo Persico tra Israele, Stati Uniti e Iran, Cohen ha affermato che “Israele non è interessato al conflitto con l’Iran, ma ha un solo interesse: impedirgli di raggiungere capacità nucleari militari. Non vogliamo che il regime collassi, non vogliamo vendetta contro gli scienziati nucleari o bombardare le basi di Teheran. Alla fin fine vogliamo solo portare l’Iran al tavolo e concludere un accordo che congeli qualsiasi possibilità per esso di ottenere capacità nucleari militari”.

Per Cohen l’Iran attualmente non rappresenta in alcun modo una minaccia esistenziale, ma è “una sfida alla sicurezza” che potrebbe peggiorare se acquisisse armi nucleari. Per il capo del Mossad tutte le opzioni sono sul tavolo per prevenire tale eventualità: incluso l’attacco militare, ma come extrema ratio.

Cohen ha anche commentato le uccisioni mirate di militanti di Hamas nel mondo attribuite a Israele: “Non si tratta solo di qualche omicidio”, ha affermato sibillino, “il nemico ha cambiato tattica. Per ragioni particolari non è più così rapido ad attribuirci questi assassinii”.

Tuttavia, ha aggiunto, “i funzionari di Hamas all’estero sono un obiettivo che che eliminiamo senza esitare, dagli agenti locali a quelli che gestiscono l’acquisto di armi contro Israele”. A suo parere non sono rappresaglie ma solo la neutralizzazione di un minaccia.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu considera Cohen come un potenziale successore politico. Cohen, che terminerà il suo mandato nel 2020, ha dichiarato di non aver ancora deciso se entrare in politica, anche se si vede “sicuramente nella leadership di Israele in futuro”.

Cohen, 57 anni, ex consigliere per la sicurezza nazionale sotto Netanyahu, è diventato capo del Mossad nel 2016, succedendo a Tamir Pardo. Il suo mandato (per quanto pubblicamente riconosciuto) si è concentrato sulla lotta al programma nucleare iraniano e sul rafforzamento dei legami con alcuni Stati arabi.

Israele negli ultimi tempi ha preso di mira le forze alleate iraniane nella regione, mentre Teheran ha cercato di consolidare la sua posizione nella Siria devastata dalla guerra.

Le tensioni sono aumentate nel Golfo Persico da maggio dello scorso anno, quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha abbandonato unilateralmente l’accordo nucleare del 2015 e ha iniziato a imporre sanzioni paralizzanti in una strategia di maximum pressure. L’Iran ha risposto cominciando progressiamente a eludere le clausole dell’accordo e gli americani hanno aumentato le truppe nella regione.

La situazione è diventa incandescente dopo gli attacchi del mese scorso alle strutture petrolifere saudite che hanno dimezzato la produzione di petrolio del regno. I ribelli houthi dello Yemen hanno rivendicato l’azione, ma per gli Stati Uniti l’attentato ha coinvolto missili da crociera iraniani ed è perciò paragonabile a “un atto di guerra”.

L’Iran ha negato la responsabilità dell’attacco di droni e missili da crociera del 14 settembre.

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