Per far pressione politica sull’Unione Europa, il 27 febbraio 2020 Erdoğan ha “aperto” il koridor turco, promettendo di far passare qualsiasi rifugiato o sfollato siriano dagli angusti centri profughi dell’Anatolia alla “Terra Promessa” tedesca. I primi a muoversi sono stati afghani, pakistani, iracheni e nordafricani, cioè coloro i quali hanno “acconsentito” a farsi prelevare dai centri d’accoglienza e scortare verso il confine greco, senza alcuna garanzia sulla sua attraversabilità.
La Grecia infatti ha blindato il valico di Ederne/Adrianopoli e schierato esercito e polizia di frontiera. Il premier Kyriakos Mitsotakis ha dichiarato “in diretta” su Twitter: “I want to be clear: no illegal entries into Greece will be tolerated. We are increasing our border security”. Migliaia di immigrati si trovano dunque bloccati in una no man’s land tra Grecia e Turchia, e chi cerca di passare viene arrestato. Atene ha inviato anche 50 navi da guerra verso le isole in prossimità della Turchia per proteggere i confini marittimi.
La linea dura esalta i nazionalisti; un giornalista scrive: “I greci sono di nuovo in prima linea contro l’invasione, proprio come nel Medioevo contro arabi e turchi”; qualcun altro evoca le Termopili, ma finora la polizia sta usando solo lacrimogeni. Giunge tuttavia, nell’indifferenza generale, la notizia della prima vittima sul confine: si tratta di un ventiduenne di origine siriana che dopo cinque anni a Istanbul come operaio ha deciso di “ricominciare in Europa” ma la cui corsa verso il successo si è arrestato a causa di un proiettile di gomma. Un alto funzionario turco (Süleyman Arslan, Presidente dell’Autorità dei diritti umani e l’uguaglianza di genere) pubblica il video non censurato dell’incidente, tentando di coinvolgere -senza successo- le istituzioni e le opinioni pubbliche europee, mentre il portavoce del governo greco declassa il tutto a “propaganda turca”:
Yunanistan güvenlik güçleri bir mülteciyi ateş ederek öldürdü!
Sığınma talebinde bulunanların yaşam hakkına yönelik her türlü eylem insan hakları ihlalidir; kabul edilemez.#Greece_under_attack #yaşamhakkım @UNHCRTurkey @Dunja_Mijatovic @UN_HRC @EURightsAgency @OICatUN pic.twitter.com/8aIptkPMCK
— Süleyman Arslan (@suleymanarslan_) March 2, 2020
In effetti la notizia del primo migrante ucciso, seppur accidentalmente, nel 2015 sarebbe immediatamente comparsa su tutte le prime pagine del mondo: ora invece a riportarla è soltanto un blog insignificante. Segno che qualcosa è cambiato definitivamente, come dimostrano del resto le reazioni dei principali leader europei, tutti a favore (almeno a parole) alle iniziative così poco umanitarie e filantropiche della Grecia, da Macron (“Pleine solidarité avec la Grèce et la Bulgarie”) alla Merkel (“I metodi di Erdoğan sono inaccettabili”), dalla von der Leyen (“Our top priority at this stage is to ensure that Greece and Bulgaria have our full support”) al presidente del consiglio europeo Charles Michel (“Sosteniamo gli sforzi che la Grecia sta mettendo in campo per proteggere i confini dell’Europa”).
A quale gioco stanno dunque giocando gli eurocrati, i media mainstream e le organizzazioni internazionali? Il fatto che Twitter non trabocchi ancora di hashtag contro i greci fascisti-razzisti dimostra indirettamente che l’iniziativa Atene, seppur in aperta contraddizione con anni di retorica istituzionale “immigrazionista” e buonista, è gradita a chi controlla l’informazione. In fondo tutti sappiamo che le responsabilità principali di tutto questo vanno attribuite ad Angela Merkel, sia per aver imposto alla Germania il dovere morale di accogliere la miseria del mondo (ma lasciando il “lavoro sporco”, oltre che alla Grecia, a Bulgaria, Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria), sia per aver promesso sottobanco a Erdoğan non solo qualche miliardo (a suo dire mai arrivato), ma anche un pezzo di Siria in forma di enclave turchizzata.
Il prezzo da pagare alla Turchia è però sempre politico e mai economico: in questi anni il “Sultano” ha agito in Nord Africa e Medio Oriente in piena conformità con la Nato e l’UE, perciò ora non gli si può raccontare che si stava solo scherzando. I turchi non scherzano mai, e se li si costringe alla ritirata, non ci sono miliardi che tengano: vogliono vedere qualche testa rotolare. Ricordiamo, solo a titolo d’esempio, che dopo l’umiliante armistizio di Mudros la Turchia scatenò immediatamente una nuova guerra su almeno quattro fronti (oltre a quello interno della guerra civile scatenata dai rivoluzionari kemalisti) e ribaltò sostanzialmente l’esito disastroso della Prima guerra mondiale. Peraltro da quel conflitto, conosciuto come la cosiddetta “Guerra d’indipendenza turca”, la lunga storia di inimicizia coi greci (che non a caso la definiscono Mikrasiatikí katastrofí, “Catastrofe dell’Asia Minore”) entrò nell’evo moderno, modellando ancora oggi i rapporti -diplomatici e non- tra i due Paesi.
Non sembri un dato secondario, poiché questo antico odio tra i due popoli ha un’influenza preponderante anche sul repentino cambio di parere dell’opinione pubblica ellenica riguardo la questione migranti: rispetto a cinque anni fa, essi non sono visti più come “diseredati della terra”, ma quasi come soldati di una nazione ostile, o addirittura mercenari al servizio del nuovo imperialismo ottomano. In questi giorni per esempio un giornalista greco ha evocato la Septemvriana, i pogrom anti-greci di Istanbul del 1955, per descrivere la devastazione di una chiesa ortodossa di Lesbo durante una sommossa partita da un centro di accoglienza. Certo, non aiuta il fatto che molti immigrati si rechino sul confine sventolando ingenuamente il vessillo turco, dettaglio che non può che aumentare il nervosismo delle guardie di frontiera:
In tutto ciò, sembra che Erdoğan abbia messo in conto una reazione spropositata da parte di Atene, motivata appunto dalla storica ostilità. Alcune agenzie infatti riportano la sua assicurazione a Sofia di “impedire che gli immigrati si ammassino sul confine bulgaro”: il motivo principale, naturalmente, è che il limes europeo è rappresentato dalla Grecia; ma se l’obiettivo è mettere in difficoltà la Germania (senza dimenticare il fatto che tutti i siriani vogliono andare lì), la tappa intermedia ellenica dal punto di vista tattico sembra esser stata scelta con criterio.
Infatti, fino a questo momento la pressione sul confine come ricordavamo più sopra viene esercitata con la “carne da cannone” di afghani, pakistani, iracheni e persino bengalesi (la guardia di frontiera greca trasmette appelli anche nella loro lingua, oltre che in inglese, arabo, urdu, persiano). Tuttavia, una volta che migliaia di migranti cominceranno ad assieparsi, l’alternativa sarà aprire i valichi o fare una carneficina: ovvero non ci sarà alternativa, perché i valichi verranno aperti comunque solo per lo tsunami politico-diplomatico che una “strage di innocenti” causerebbe a livello internazionale.
In quell’istante si innescherebbe la vera “arma di migrazione di massa” di Erdoğan, rappresentata dai milioni di sfollati e profughi siriani ancora in attesa di travolgere i Balcani, la Mitteleuropa e giungere al “cuore dell’Impero”. A meno che le richieste del Sultano non vengano esaudite: una eventualità che la Merkel sembra disposta ad accettare, avendo posto fine prematuramente alla propria carriera proprio a causa della follia con cui ha gestito la prima crisi migratoria, lasciando tuttavia una pesante ipoteca all’Europa, che a questo punto non saprà più opporre alcuna resistenza alle richieste di Ankara e finirà forse per accettare anche il suo ingresso nell’Unione alle peggiori condizioni possibili.