«Se gli ebrei erano “molto in vista” nelle rivoluzioni di Russia e Germania, in Ungheria essi sembravano onnipresenti: parliamo della Repubblica Sovietica Ungherese, oggi sostanzialmente dimenticata, ma ai suoi tempi piuttosto rilevante. Essa nacque con il crollo del governo liberale nel marzo 1919 e durò 133 giorni finché, indebolita dalla disintegrazione interna, cedette alle truppe straniere. Dei quarantanove commissari del governo, trentuno erano di origine ebraica. Tra i membri chiave della Repubblica Sovietica Ungherese c’erano Béla Kun, ministro degli Esteri e capo del regime; Tibor Szamuely, vicecommissario alla guerra, incaricato di reprimere la controrivoluzione; e Ottó Korvin (Klein), capo della polizia segreta. C’erano poi Georg Lukács, il filosofo specializzato in estetica diventato bolscevico, e Mátyás Rákosi (Roth), che trent’anni dopo sarebbe diventato dittatore dell’Ungheria. Come Presidente del consiglio direttivo rivoluzionario elessero Sándor Garbai, un gentile. Rákosi in seguito scherzò dicendo che Garbai era stato scelto per l’incarico per “avere qualcuno che potesse firmare le condanne a morte di Sabato” [giorno sacro agli ebrei, ndt]».
Questo passaggio, che appare citato anche nella pagina di Wikipedia in inglese dedicata a Sándor Garbai, proviene dal volume Capitalism and the Jews di Jerry Z. Muller (Princeton University Press, 2010), eclettico docente di storia (purtroppo in Italia quasi totalmente sconosciuto) presso la Catholic University of America, il quale indica come fonti generiche i saggi di Rudolf Tokes Bela Kun and the Hungarian Soviet Republic (1967) e di Frank Eckelt, “The Internal Policies of the Hungarian Soviet Republic” (contenuto in Hungary in Revolution, 1918–19 del 1971), oltre a un articolo di William O. McCagg, Jews in Revolutions: The Hungarian Experience pubblicato nel “Journal of Social History” (n. 28, autunno 1972).
Anche partendo da tali spunti bibliografici, vediamo a grandi linee di contestualizzare la lugubre “battuta” di Rákosi su Garbai.
Sándor Garbai, politico ungherese nato da una famiglia di umili origini (e di fede riformata), membro della direzione del Partito Socialdemocratico Ungherese dal 1901 al 1919, fu il primo sostenitore della fusione tra socialdemocratici e comunisti in un unico partito allo scopo di conquistare il potere nel Paese.
Probabilmente proprio per tale “pensata” fu nominato Primo Ministro socialista dell’Ungheria, in una coalizione con i comunisti che gli permise per l’appunto di proclamare la Repubblica Sovietica Ungherese. Sebbene fosse formalmente il capo del governo, de facto comandava il noto Béla Kun (all’anagrafe Ábel Kohn), all’epoca Ministro degli Esteri.
Dopo che i comunisti caddero, Garbai fu arrestato dai romeni ma riuscì a fuggire dalla prigione di Cluj passando per la Cecoslovacchia e finendo a Vienna, dove aprì un ristorante che fallì poco tempo dopo. Lasciò l’Austria nel 1934 a causa della vittoria della destra e si spostò a Bratislava, per poi stabilirsi definitivamente nel 1938 a Parigi. Durante l’occupazione tedesca della Francia non prese parte al movimento di resistenza, anche se le truppe clandestine tentarono di reclutarlo. Sembra che nel periodo dell’esilio Garbai si sia riavvicinato alle idee socialdemocratiche e abbia rigettato il bolscevismo: per questo gli fu impedito di rientrare in patria alla fine del conflitto. Morì a Parigi nel 1947.
Mátyás Rákosi (all’anagrafe Mátyás Rosenfeld) fu invece uno stalinista di ferro: dal 1945 al 1956 leader de facto della Repubblica Popolare d’Ungheria, fece giustiziare circa duemila persone e incarcerarne più di centomila, sancendo inoltre l’espulsione di duecentomila iscritti dal Partito Comunista (perlopiù gli ex-socialdemocratici conviti da Garbai alla fusione).
La boutade nasce dunque dal contesto di cui parla il professor Muller: «Dei 49 commissari del governo comunista, 39 erano ebrei».
Questa citazione è stata riportata da poche altre versioni di Wikipedia: mancano all’appello la stessa voce ungherese, quella francese e la tedesca; in compenso compare in quella spagnola.
Mátyás Rákosi después bromeó diciendo que los líderes judíos de la Revolución aceptaron al gentil Garbai para tener a alguien que firmase las sentencias de muerte los sábados.
Interessante notare che mentre la voce ucraina riporta una traduzione pressoché identica della citazione originale (aggiungendo che “tuttavia Garbai non condivise mai il terrore rosso”), quella russa invece la parafrasa, quasi cambiandone il significato:
Матьяш Ракоши позднее шутил, что в преимущественно еврейском по своему составу правительстве ВСР иноверец Гарбаи был нужен, чтобы хоть кто-то мог подписывать смертные приговоры по субботам (на самом деле Гарбаи не поддерживал красный террор).
Mátyás Rákosi in seguito scherzò sul fatto che nella composizione prevalentemente ebraica del governo della Repubblica Sovietica Ungherese, sarebbe stato necessario un altro Garbai in modo che qualcuno potesse firmare le condanne a morte di Sabato (in realtà, Garbai non sostenne mai il Terrore Rosso).
La fonte è naturalmente la stessa, ma in tal caso la citazione viene restituita in modo da non infangare la figura di Garbai, che in effetti si dissociò quasi subito dal cosiddetto “terrore rosso”, in Ungheria rappresentato anche dalle esecuzioni di massa successive al colpo di stato controrivoluzionario del 1919, ai tempi in cui, ripristinato il regime comunista, egli fu “declassato” a Ministro dell’istruzione sotto l’effimero governo di Gyula Peidl.
Al di là del contesto tragico, la sparata di cattivo gusto di Rákosi potrebbe forse essere intepretata come tipica espressione dell’ebraica chutzpah, con riferimento al motivo tradizionale dello shabbes goy, il “gentile del sabato”, che svolge le mansioni proibite agli ebrei osservanti durante il giorno del “riposo”. Ad ogni modo, resta plausibile, non solo dal punto di vista storico, che essa sia stata effettivamente pronunciata.