Il post più letto di questo blog è quello dedicato alla questione del famigerato “maschio sigma” (Maschio Sigma: un nuovo cliché pseudo-scientifico per ridurre gli uomini a macchiette?, 20 Febbraio 2021), che ha sfiorato ormai le 100mila visualizzazioni e mi ha consentito di guadagnare 7,20€ tramite le sponsorizzazioni di Google Adsense (alle merde che hanno accettato il Green Pass per lavorare: dove siete ora?!1!?!1!!).
Maschio Sigma: un nuovo cliché pseudo-scientifico per ridurre gli uomini a macchiette?
“Maschio Sigma” è l’etichetta con cui si vorrebbero indicare quegli uomini che si pongono volontariamente al di fuori della gerarchia socio-sessuale (nella quale dominano gli alfa, seguiti da beta, delta, gamma e omega), ma nei fatti è soltanto un modo come un altro con cui uno sfigato si illude di contare qualcosa al mondo.
La “verità effettuale della cosa” è che non esiste nulla di tutto ciò: il maschio sigma è semplicemente una persona triste e sola che sta cercando di mitizzare la propria condizione, peraltro in una maniera piuttosto ridicola. Del resto, tutte le mitologie della solitudine, a meno che non portino a una sublimazione degna di tal nome (poesia, mistica, legionarismo) sono soltanto veleno per l’anima.
Quando penso a un vero sigma male mi vengono subito in mente Cesare Pavese e Giacomo Leopardi. Riguardo al primo, ho sprecato troppe estati a discutere sul significato del suo suicidio escludendo le dimensioni teologico-politiche ed esoterico-iniziatiche (ecco perché nessuno mi legge); riguardo invece l’immortale Gobbetto di Recanati, ai nostri giorni sarebbe stato senza dubbio una Niche Internet Micro Celebrity al pari di, non so, Mister Totalitarismo nel 2020 (torneremo sul punto).
Non solo perché il Leopardi, mentre snobbava le avances di una nobildonna (probabilmente wallata, ma chissà quanti “chad basatones” da tastiera non direbbero -almeno sottovoce- would) tentò di trovar figa a Roma, sentendosi immediatamente snobbato dalle “befane” (in italiano corrente “biolocuste”) che nemmeno lo guardavano (“pienissima e abituale indifferenza e noncuranza”) e pensavano solo a “girare e divertirsi” (basato davvero, per essere un poeto), ma addirittura, nonostante la sua gibbosità dovuta agli “abusi della masturbazione fino dalla più tenera età” (C. Lombroso), tentò nuovamente di approcciare le “bestie femminine” (ancora basato) nella capitale mondiale dell’inceldom e del gayolo, Milano.
Ecco cosa scrisse allo zio il marchese Carlo Antici, e al fratello Carlo (sempre a Recanati), mentre cercava di immergersi nella vita cittadina dell’epoca, fatta di avanspettacolo, pesce crudo e scarpe:
Milano, 20 Agosto 1825
Carissimo Zio. Ricevetti ieri la sua dei 14, nella quale non trovo nulla di amaro, come Ella mi dice. Tutto è dolcissimo e amorosissimo, e di tutto io cercherò di approfittarmi con ogni mio potere. Senza farle alcun complimento circa l’operato da Lei in mio favore, mi basterà di assicurarla che il mio affetto e la mia gratitudine verso Lei è quale e quanta si richiede per corrispondere a tanto amor suo. Al cavaliere de Bunsen la prego a fare in mio nome quei complimenti e quei ringraziamenti che meritano i suoi favori. Aspetterò l’esito della trattativa, e intanto Ella non dubiti del più rigoroso segreto per mia parte.
Io vivo qui poco volentieri e per lo più in casa, perché Milano è veramente insociale, e non avendo affari, e non volendo darsi alla pura galanteria, non vi si può fare altra vita che quella del letterato solitario. Partirò subito che me lo permetterà la buona creanza verso lo Stella e che sarò libero dalle faccende letterarie che ho per lui il che non sarebbe se non di qui a qualche anno, secondo l’intenzion dello Stella, ma secondo la mia, sarà dentro il mese prossimo.
Lo Stella ed io siamo tanto grati al degnissimo Monsignor Invernizzi, quanto edificati e maravigliati della sua modestia, cosa veramente rara tra letterati. Lo Stella lo prega a credere e lo assicura che di qualunque genere sieno i suoi lavori sopra Cicerone, e qualunque sia la mole de’ suoi manoscritti o stampati che li contengono, non solo non si chiamerà aggravato dalla spesa del loro trasporto, ma anzi gli sarà tenutissimo se egli vorrà consegnar tutto al Signor Olmi, perché il tutto passi qui nelle mani del rispettabile letterato che attende alla nuova recensione del Cicerone, il quale avrà tutto il possibile riguardo all’onore di Monsignor Invernizzi, e lo nominerà con tutta quella lode che merita, tacendo interamente quello che non fosse trovato opportuno al nuovo lavoro. Intanto, non essendo stata mai finita l’edizione del Beck, lo Stella ordina che sia consegnato subito a Monsignore un esemplare di quella dell’Ernesti, se si trova costì; diversamente, esso medesimo gliene spedirà uno di qua, incaricandosi delle spese del trasporto.
Col signor Conte Alborghetti, uomo veramente buono ed amabile, farò le sue parti la prima volta che lo rivedrò. La prego dei miei affettuosi saluti e doveri alla sua famiglia, e persuaso che se in questa mia dimora a Milano io sarò buono a servirla in qualche cosa, Ella mi vorrà favorire dei suoi comandi, col solito affetto mi ripeto suo tenero e gratissimo nepote.
Milano, 7 settembre 1825.
Carluccio mio, Ho ricevuta la tua spiritosa, ingegnosa e filosofica lettera dei 15. (Obiter, io sfido tutti i letterati e belli spiriti di Milano a scrivere la metà di una lettera simile). Tu ti sei subito avveduto di quella faticosissima attività che è necessaria, non solo per figurare, ma per essere da quanto sono gli altri anche in una semplicissima conversazione di gran mondo. Credimi che quest’attività non è dei soli Settentrionali, ma dei Francesi molto più, e dei Meridionali, e in somma di tutti, fuorchè dei Marchegiani, che in massa sono i soli che diano alla vita il suo vero valore, e senza esagerazione sono i più filosofi, e per conseguenza i più birbanti del mondo. Ma tu non hai ben compreso il sentimento della mia lettera…
Del resto, e in casa e in Milano, io sono stato sempre très à mon aise. Quello spirito di osservazione curiosa e insolente che tu notasti in Sinigaglia vi fu notato anche da me, e mi parve che arrivasse a un grado da far perdere la pazienza anche a un mio pari; quantunque io trovassi la città già piena di gente e di fracasso, ch’era un inferno. Ma da ciò tu non devi prendere idea della capitale. Quel che ti scrissi di Milano fu una mia osservazione precipitata. Il fatto si è che in Milano nessuno pensa a voi, e ciascuno vive a suo modo anche più liberamente che in Roma. Qui poi, cosa incredibile ma vera, non v’è neppur una società fuorchè il passeggio, ossia trottata, e il caffè; appunto come a Recanati, nè più nè meno. Roma e Bologna, in questo, sono due Parigi a confronto di Milano. Vedi dunque quanto io era lontano dal provare il senso dello scoraggiamento per non poter far figura in un luogo dove nessuno la fa, e dove centoventi mila uomini stanno insieme per caso come centoventi mila pecore. Tanto più ch’io non m’era scoraggito niente a Bologna, e che in verità non mi sono mai trovato inferiore a nessuno nelle società dove sono stato o a Bologna o qui. Il che non lo debbo ad altro che a quella perfettissima indifferenza che abbiamo tanto desiderata, e che ho finalmente ottenuta e radicata in modo che non ha più paura. Io desidero però molto di partir di qua, perchè mi secco; e da Bologna ho lettere pressanti di un signore veneziano, giovanetto ricchissimo e studiosissimo, che par che metta dell’ambizione in avermi seco, e in dire che egli mi ha fatto tornare e restare in Bologna. Non ti dirò quanto io spasimo di rivederti. Se l’impiego si ottenesse, io ti potrei riveder quasi subito, perchè partirei di qua immediatamente, e le occupazioni dell’impiego credo che mi lascerebbero bene il tempo di venir costà, ed anche spesso, e starci molto. Del baule è vero quel che hai sentito, ed è una cosa naturalissima, ma non ho spazio che basti a spiegartela. Salutami il dottor Prosperi, e dimmi se ha ricevuto il libro che gli commisi a Bologna. Se vedi Puccinotti, salutamelo caramente, te ne prego. Lascio, perchè la carta è finita. Ti bacio. Addio, Carluccio mio, Parlami lungamente di te ogni volta che mi scrivi.
Quindi avete capito eh leopardi sigma grindset zio caro. Mi dispiace ragazzi ma io non riesco a esprimere cumcietti cumciettamente compiuti su cumcietta quando bevo come una bestia e letteralmente mi si freeza il cervello. Sento proprio il vinello che mi blocca le sinapsi tra i neuroni, non so se riuscite a cumciepire. In ogni caso vedo milioni di amici di un tempo che si struggono sui social per problemi riguardanti donne. Sono contento di essermene andato da Twitter, non per motivazioni fighette del tipo “i social buh”, ma solo perché voglio essere realmente per voi un μάρτυς, un terzo incomodo come itle o sivlio (sic) morto.
Alla fine dunque anch’io mi sono ridotto a sigmare. Meglio così. Stat crux dum volvitur orbis. Sfortunatamente, non esiste nemmeno un modo per far inceppare la macchina mitologica del maschilismo, nella misura in cui l’unica alternativa sarebbe quella di proporre un percorso di auto-miglioramento allo scopo di impedire al maschio solo e triste di essere triste e solo: ma il sognare ad occhi aperti un’identità di sigma è già di per sé un percorso di auto-miglioramento, che in ultima analisi ha lo stesso valore dei consigli su come sedurre le donne o avere successo nella vita. Dovete semplicemente migliorare il vostro aspetto (la mascella, il canthal tilt) per sfuggire ai demoni della “personalità” e del “saperci fare”. Di più non riesco ad aggiungere. Одно тебе сказать сегодня можем: чего в нас нет, чего мы не хотим.
Ma perché quasi nessuno commenta i tuoi pezzi? Troppo geniali?
Probabilmente è il contrario, assoluta mancanza di genialità e originalità. A parte che quasi nessuno ha più voglia di legger nulla (forse giustamente), bisogna mettere in conto anche il fatto che i miei commenti sono blindati e magari non mi connetto per giorni, dunque chi risponde sapendo che riceverà dopo un mese potrebbe anche risentirsi.
Dimenticavo: molti (troppi) mi scrivono in privato forse perché vorrebbero un contatto più intimo con me, io ovviamente poi smetto di rispondere perché sono l’accidia fatta a persona (ma non penso finirò all’inferno perché lo sono solo nei confronti delle cose profane).
Stavo per scrivere un commento, poi mi sono trattenuto, un po’ perchè sono in soggezione a scrivere qualcosa in risposta ad un brillante articolo del Maestro Totalitarismo (non sto scherzando), un po’ perchè sono un po’ accidioso anch’io (per non dire che sono in burnout per tutta una serie di motivi).
Poi mentre stavo scrivendo ho aspettato troppo e un “refresh” della pagina mi ha cancellato tutto prima che lo inviassi. Ben mi sta.
Sarò più breve allora: penso che la faccenda dei Sigma non sia semplicemente un’americanata da cestinare. Così come la gerarchia Alpha-Beta-eccetera è presente nei lupi in cattività, penso che lo sia anche tra gli uomini che vivono in cattività, e sono la maggior parte.
Scuole / università / luoghi di lavoro, non sono tutte gabbie, prigioni, in cui si è costretti a stare?
Quale uomo sano di mente, se avesse la possibilità (i soldi, e la salute), continuerebbe ad andare a timbrare il cartellino tutte le mattine, anche se fosse il più “bello dell’ufficio”?
Ovunque ci siano persone costrette a stare insieme in spazi ristretti si generano queste dinamiche: attrito e competizione. Se in più ci mettiamo uomini e donne più o meno giovani, la dinamica si complica ancora.
Penso che un Sigma possa essere colui che riesce a ritagliarsi uno spazio: un posto di lavoro, se non proprio da libero professionista, che almeno non rompa troppo i coglioni, un po’ di risparmi, una casetta dove stare tranquillo, e coltivare i propri interessi.
Potrebbe suonare squallido, però questa è la vita moderna. L’alternativa quale sarebbe? Essere un’ “Alpha”? Per fare cosa? Un lavoro di merda come tutti, e andare a bere l’infame Spritz con altre donnette e ometti coi pantaloni sopra la caviglia?
Ad un Sigma-uomo potrebbe servire solo una Sigma-woman (che potrebbe sembrare, o essere, un ossimoro). Una donna con cui condividere il lettone, ma anche la cucina, interessi, libri film, e anche i meme.
Di “accoppiarsi” in malo modo con donne che cercano un uomo solo per fare vedere alla mamma “Visto, mi sono sposata/accompagnata anch’io?”, per poi mandare tutto a monte (o a puttane) dopo al massimo un paio d’anni, non ne abbiamo necessità.
Poteva andare meglio, ma poteva, e potrebbe ancora (se non facciamo attenzione), andare molto, ma molto peggio.