Polskie imperium kolonialne
(Piotr Zychowicz, “Super Historia”, 18 maggio 2017)
Camerun, Madagascar, Angola, Argentina, Liberia e persino Antartide: questi sono solo alcune delle località in cui i polacchi cercarono di stabilire colonie. La Seconda Repubblica di Polonia tra le due guerre mondiali avrebbe potuto conquistare territori d’oltremare e diventare una potenza?
“Il nostro obiettivo è lottare per lo sviluppo della superpotenza della Polonia”, sosteneva il generale Gustaw Orlicz-Dreszer, “che oggi deve superare i confini nazionali e godere del diritto, attraverso l’espansione in altri Paesi e colonie, di trasformarsi da Stato europeo in Stato mondiale, seguendo l’esempio di altre grandi nazioni”.
Il generale Orlicz-Dreszer era a capo della Lega Marittima e Coloniale [Liga Morska i Kolonialna], organizzazione create per coordinare le attività finalizzate all’acquisizione da parte della Polonia di territori d’oltremare. La lega ebbe una grande influenza nella Polonia prebellica e nel 1939 annoverano già un milione di membri in oltre 300 sezioni regionali.
La Lega organizzava grandi manifestazioni durante le quali i suoi appartenenti si truccavano da neri coprendosi il viso con lucido da scarpe e marciavano per le città con striscioni come: “Chiediamo colonie d’oltremare per la Polonia” o “Colonie come garanzia del ruolo di superpotenza della Polonia”. Alcuni di loro si fecero cucire uniformi coloniali sul modello di quelle inglesi e si fabbricarono elmetti di sughero con aquile appiccate.
Al fine di formare i futuri colonizzatori, la Lega pianificò di aprire la Scuola Polacca di Scienze Coloniali [Polską Szkołę Nauk Kolonialnych]. Sebbene oggi i sogni di conquista di territori d’oltremare fatti dai cittadini di un Paese che presto sarebbe diventato una colonia per più di mezzo secolo sembrino ridicoli, all’epoca furono presi molto sul serio.
Tutto iniziò a metà del XIX secolo: il primo fu Adam Piotr Mierosławski, fratello del famoso rivoluzionario Ludwik. Nel 1841, nell’Oceano Indiano, “scoprì” una piccola isola: Nuova Amsterdam. In realtà già nota da tempo (per questo le virgolette), Mierosławski però la rivendicò comunque come sua proprietà e avrebbe tanto voluto piantare una bandiera bianca e rossa su quella terra, se il turbine delle delle rivoluzioni europee non lo avesse distolto dai suoi propositi. Morì dieci anni dopo, e Nuova Amsterdam appartiene ancora alla Francia, di cui il marinaio polacco era cittadino.
Gli eventi presero poi una nuova piega alla fine del XIX secolo, quando l’Europa, leggendo Kipling, fu contagiata dalla febbre coloniale. Gli abitanti del Vecchio Continente, affascinati dall’Oriente, osservavano con il fiato sospeso la rivalità di potenze su terre lontane. La smania non risparmiò naturalmente la Polonia.
Nel 1875 Piotr Aleksander Wereszczyński pubblicò un opuscolo a Cracovia, in cui formulò l’idea di fondare una Nuova Polonia indipendente sulle isole dell’Oceano Pacifico. Credeva che, poiché i polacchi non avessero alcuna possibilità di vittoria sulle tre potenze, tutto dovesse ricominciare da capo, in un posto più tranquillo. Era la Nuova Guinea, la Nuova Irlanda e la Nuova Gran Bretagna nel Pacifico. L’unico “ostacolo”, i nativi papuani: ma, come sosteneva Wereszczyński, sarebbe stato facile affrontarli, soprattutto considerando che la sua prosposta era che l’intera nazione polacca si sarebbe dovuta trasferire nel Pacifico. Wereszczyński stimò il costo dell’intera operazione in 227.000 rubli (o 180.000 nella versione economica).
Ovviamente non venne fuori nulla dalla bizzarra pensata. L’iniziativa di Stefan Szolc-Rogoziński fu invece molto più seria. Nel 1882, dopo aver raccolto fondi a Varsavia per una “spedizione nazionale”, partì con i suoi compagni verso il Continente Nero. I gentiluomini in poco tempo riuscirono a comprare dagli indigeni, offrendo un cilindro e tre scatole di gin, l’isola di Mondoleh al largo del Camerun, per fondarci una specie di colonia polacca, la quale venne presto conquistata dai tedeschi.
Sebbene la spedizione Szolc-Rogoziński si sia conclusa in modo fallimentare, ai tempi essa solleticò l’immaginazione di molti polacchi. All’inizio del XX secolo, i giovani divorarono il romanzo di Henryk Sienkiewicz Nel deserto e nei paesi selvaggi [W pustyni i w puszczy], dove potevano trovare passi del genere:
«Dall’alto della cresta del re, Stas dava ordini e guardava con orgoglio il suo piccolo esercito.
“Se volessi”, si disse, “potrei essere il re di tutti i popoli qui, come Beniowski in Madagascar [v. infra]!”
E un pensiero gli passò per la mente, non sarebbe stato bello tornare qui, conquistare vaste aree, civilizzare i neri, stabilire una nuova Polonia o addirittura trasferirsi un giorno a capo degli eserciti neri addestrati nella vecchia Polonia?».
Dopo aver riconquistato l’indipendenza, i polacchi hanno tentato di mettere in pratica simili propositi. Dopo la Prima guerra mondiale, per la prima volta la questione venne formalmente sottoposta alla Società delle Nazioni, allo scopo di ottenere la concessione di un mandato sulle ex colonie tedesche in Togo e Camerun. I polacchi sostenevano che poiché una parte della Polonia faceva parte dell’Impero tedesco, avrebbe dovuto avere diritto ad almeno il 10% di quei territori. Questi appelli furono respinti dagli imperi coloniali esistenti, che non volevano che un nuovo concorrente dominasse sui “selvaggi”. I possedimenti tedeschi furono divisi tra Francia, Gran Bretagna, Giappone, Belgio e Portogallo.
Senza lasciarsi demoralizzare, i “colonizzatori” polacchi intrapresero nuovi progetti. E ce n’era molti: in primis, sottrarre l’Angola e il Mozambico al Portogallo. Poi insediare coloni polacchi nella Guinea francese e nell’Africa equatoriale francese. Si pensò alla Rhodesia, dove – secondo la leggenda – due fratelli esplorati alla fine del XIX secolo sarebbero diventati i governanti del “Paese Negro” [Państwo murzyńskie].
Ci furono pure rivendicazioni di Trinidad e Tobago e del Gambia, che nel XVII secolo erano colonie della Curlandìa, considerate dunque un feudo della Confederazione polacco-lituana. Nel marzo 1939 venne avanzata anche l’idea di prendersi una parte dell’Antartide. Sebbene il governo polacco non sostenne mai ufficialmente le richieste della Lega Marittima e Coloniale, la presenza di molte figure di spicco tra i suoi ranghi attesta quanto le attività dell’organizzazione fossero prese in grande considerazione dalle autorità, tanto più che l’organizzazione godeva di generosi sussidi statali.
I colonizzatori polacchi puntavano soprattutto a ottenere il Madagascar dalla Francia. Il progetto era così in fase avanzata che una commissione guidata dall’ex braccio destro di Józef Piłsudski, Mieczysław Lepecki, si recò sull’isola. Il riferimento storico era Maurice-Auguste Beniowski, ufficiale della Confederazione di Bar (associazione di nobili polacchi nata nel 1768 per la difesa dall’aggresione dell’Impero russo) il quale arrivò sull’isola nel XVIII secolo e fu proclamato dai nativi imperatore Maurizio Augusto I. Ma la pretesa fece sobbalzare la stampa francese: “Il Madagascar una colonia polacca? Giammai!”, “Non vogliamo ebrei polacchi in Madagascar!” erano i titoli dei giornali parigini.
L’iniziativa più interessante rimane la colonizzazione della Liberia, paese fondato dagli schiavi americani liberati. Nel 1934, la Lega firmò un accordo in base al quale la Liberia sarebbe diventata protettorato polacco con un aggiunta “segreta”: la Repubblica di Polonia, in caso di guerra in Europa, avrebbe potuto reclutare 100.000 liberiani. Sì, i Murzyni in divisa polacca.
Uno dei principali funzionari del Ministero degli Affari Esteri, Wiktor Tomir Drymmer, ricorda:
“Non sono passati molti mesi quando un uomo di colore, il Console Generale della Liberia, è venuto da me per una visita ufficiale. Alla sua partenza, mi ha chiesto quanto e dove avrebbe ricevuto lo stipendio. Gli ho detto che erano affari del suo governo. Dopo una lunga conversazione, si è scoperto che, secondo l’interpretazione liberiana, la Polonia avrebbe dovuto pagarlo. Nella Lega Marittima e Coloniale non sapevo spiegare nulla, i firmatari dei contratti avevano preso il largo. Il documento non è stato trovato, ma alla fine, per non compromettere le autorità polacche, ho deciso di pagare al console 600 złoty al mese”.
Per dare un contenuto concreto all’accordo, nel 1934 la nave Poznań salpò per la Liberia con un carico di cemento, pentole smaltate e altri beni che avrebbero trovato acquirenti nel nuovo territorio. Della spedizione facevano parte scienziati polacchi che avrebbero dovuto trovare un modo per essiccare il fango liberiano, nonché coloni che avrebbero dovuto fondare fattorie e piantagioni polacche laggiù.
La spedizione era vista con ostilità dalle potenze coloniali. Gli americani erano particolarmente preoccupati. “La Liberia rischia di essere assorbita dalla vorace Polonia”, scrisse la gazzetta afro-americana Pittsburgh Courier. Il ghanese African Morning Post invece ironizzò: “Gli ex schiavi dell’Imperatrice d’Austria, di quella di Russia e di Federico il Grande ora vogliono essere padroni in un Paese africano!”.
La stampa americana riportò storie di mitragliatrici e granate che i polacchi avrebbero introdotto di nascosto in Liberia per eseguire un colpo di stato. I giornali polacchi gettarono benzina sul fuoco: “La Liberia può ormai essere considerata quasi una colonia polacca” affermava nel 1935 l’Ilustrowany Kurier Codzienny.
Ovviamente non se ne fece nulla. La completa ignoranza dei polacchi sull’agricoltura in condizioni tropicali fu il fattore cruciale. i pionieri polacchi furono assaliti dalle zanzare e dalla malaria e le loro fattorie devastate dalle locuste. L’impresa morì di morte naturale poco prima della guerra.
In Sud America i polacchi non hanno fatto meglio che in Africa. All’inizio degli anni ’30, la Lega tentò di colonizzare lo stato brasiliano di Paraná. In questo caso, si trattava di risolvere il problema della sovrappopolazione delle campagne polacche e la relativa questione del lavoro in eccesso.
“Dobbiamo abbandonare l’attuale ristagno nel campo della politica di emigrazione e salpare coraggiosamente verso le acque lontane e profonde dell’espansione nazionale”, sostenne nel 1929 il direttore dell’Ufficio polacco per l’emigrazione, Bolesław Nakoniecznikoff. “Oggi la Polonia fa parte delle nazioni a guida del mondo. Dipende dai nostri sforzi congiunti per non allontanarci da questo gruppo”.
I polacchi acquistarono oltre 200.000 ettari di terra nel Paraná e li divisero in lotti per i coloni. L’impresa venne però contrastata dal governo brasiliano, che temeva che i polacchi tentassero di separare Paranà dalla nazione.
Anche il tentativo di creare una “colonia” in Argentina è fallito. I contadini polacchi che decisdero di cercare la felicità all’estero non nascondono la loro delusione: “La giungla era fitta, piena di ortiche e altri cespugli, vari parassiti, zanzare”, ha ricordato una dei coloni, Kazimiera Kotur.
“Si dovevano indossare diversi strati di vestiti, ma le punture di zanzara facevano comunque male. I bambini lavoravano con i genitori, per esempio tagliando la legna. Il cibo era povero di carne e il primo raccolto bastava appena per sopravvivere. Il caffè veniva bevuto senza zucchero, era fatto di soia tostata e macinata a mano. I nonni a volte pensavano ad alta voce in polacco di essere scampati a una guerra per iniziarne un’altra”.
Nella Seconda Repubblica Polacca, tuttavia, si confidava ancora che le colonie avrebbero fornito alla Polonia le materie prime necessarie a un ulteriore sviluppo industriale. Gli stati d’animo allora prevalenti si riflettono perfettamente nei reportage del 1939 (Sztafeta) di Melchior Wańkowicz sullo sviluppo economico della Seconda Repubblica Polacca (poi proibiti dai comunisti perché esaltava troppo la Polonia indipendente). Come sosteneva il giornalista:
“Senza colonie, le nostre aspirazioni rimarranno deluse. Continueremo a dipendere da altri per i nostri interessi vitali. Comprendiamo che è un compito difficile, ma esso è anche una necessità storica senza la quale la Polonia non può svilupparsi. Sappiamo che nessuno ci darà colonie gratuitamente, che siamo una nazione povera, che anche le altre nazioni non hanno ricevuto le loro colonie gratuitamente, che, per esempio, l’Inghilterra per avere un impero ha combattuto per 64 anni di guerra tra il 1688 e il 1815, e che per un secolo ha spedito 20 milioni di inglesi per tutti i mari. Ma anche noi abbiamo uomini, al contempo la nostra più grande fortuna e sfortuna. Ricordate che noi stiamo crescendo mentre gli altri ristagnano. Ricordiamoci che tutto dipende da noi stessi, dalla nostra mentalità. Quando pensiamo alla nostra Regione Industriale Centrale [uno dei più grandi progetti economici della Seconda Repubblica di Polonia, creare un grande centro industriale nel centro del Paese], pensiamo anche a un’industria senza materie prime. E allora, bisogna agire al più presto…”.
Infine, vale la pena chiedersi se negli anni ’20 o ’30 la Polonia avesse avuto qualche colonia, la sua situazione durante la Seconda guerra mondiale sarebbe stata diversa. È certo che, a causa del dominio dei mari degli alleati occidentali, i tedeschi non sarebbero riusciti a mettere le loro grinfie anche sul territorio polacco d’oltremare, che sarebbe dunque rimasto sotto il controllo del governo in esilio. Una colonia polacca sarebbe stata perciò una base per esso, proprio come le colonie francesi lo furono per il generale de Gaulle. In una colonia polacca, sarebbe possibile creare nuove sezioni delle forze armate polacche composte di volontari provenienti da tutto il mondo e della popolazione locale. Le navi da guerra polacche avrebbero potuto ormeggiare nei porti di una simile colonia.
Lasciando correre la fantasia, vale la pena considerare cosa sarebbe accaduto alla colonia polacca dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Quando la Polonia cadde sotto l’occupazione sovietica, in un territorio d’oltremare sarebbe potuta nascere una Repubblica indipendente, con il suo governo, le sue scuole e una stampa libera.
I soldati del generale Władysław Anders e gli altri polacchi sparsi in tutto il mondo che non volevano tornare nella Repubblica Popolare di Polonia dopo la guerra avrebbero potuto trasferirsi nella colonia immaginaria. Forse una tale creazione – chiamiamola Repubblica Polacca Africana – sarebbe sopravvissuta fino a quando la Repubblica non avesse riconquistato l’indipendenza? Allora il 1989 sarebbe stato completamente diverso.
Come ha scritto Marek Arpad Kowalski nel suo eccelelnte volume Le colonie della Repubblica di Polonia [Kolonie Rzeczypospolitej]
“Non sarà politicamente corretto quel che sto per dire, ma è un peccato che la Polonia non abbia avuto qualche colonia. Che abbia rinunciato a far prede nei mari. Che abbia rinunciato all’espansione marittima. Che non ha abbia mai avuto basi commerciali in Africa, America, Asia, non importa dove. Forse se una cosa del genere fosse accaduta, avrebbe plasmato la nostra mentalità in maniera differente. Forse avrebbe fatto aumentare l’imprenditorialità dei polacchi e il loro coraggio, trasformando il culto della sconfitta nel culto per le decisioni razionali e calcolate. Onoriamo gli eroi caduti, dimentichiamo gli eroi che sono sopravvissuti. Può uno scienziato, un costruttore, un inventore essere un eroe? Forse una cosa del genere ci avrebbe insegnato il rispetto per l’economia, per il freddo calcolo delle opportunità. La nostra storia sarebbe stata un po’ differente. Forse migliore”.