Joe Biden odia la Russia perché è un vecchio rincoglionito: ecco le prove

Nella politica estera americana almeno a partire dal dopoguerra inoltrato si è imposto un singolare pattern (concedetemi di usare anglismi quando si parla degli yankee), per il quale i “conservatori” andrebbero alla ricerca di un appeasement con la Russia, anche allo scopo di esercitare il divide et impera tra Mosca e Pechino, mentre i “progressisti” adotterebbero la strategia opposta, favorendo le relazioni con la Cina per indebolire l’influenza russa nello spazio eurasiatico.

Come ho scritto in un mio pezzo di circa due anni fa, a ridosso del conflitto tra il Cremlino e Kiev, le ragioni di tali dinamiche sembrano rispondere più a motivi “culturali” che geopolitici: la Russia, per i democratici, è troppo “bianca”, “europea” e “occidentale”, e di conseguenza instaurare rapporti non dico amichevoli, ma almeno “civili”, rischierebbe di ostacolare il Kulturkampf interno al proprio campo, mentre al contrario la Cina, per quanto autocratica e su vari livelli antagonista al potere americano, potrebbe rappresentare una leva per coadiuvare la guerra ideologica intra moenia (per un approfondimento, mi permetto appunto di rimandare al mio articolo Il Kulturkampf universale: una lettura non geopolitica dello scontro USA-Russia, 22 aprile 2022).

Al di là di questo, tuttavia, ci sono anche motivazioni più stringenti dietro alla russofobia americana: l’ex colonnello Douglas MacGregor, in diversi interventi (tra cui una recente intervista a Tucker Carlson), ha chiamato in causa il milieu etnico dei neoconservatori e più in generale del cosiddetto Deep State, non riferendosi specificamente alla loro origine ebraica (MacGregor è comunque un convinto sostenitore di Israele) ma dell’astio nei confronti della Grande Madre Russia assimilato dagli avi che negli ultimi due secoli dall’impero degli zar e dei soviet sono emigrati negli Stati Uniti.

Anche Vladimir Putin, nella sua intervista a Tucker Carlson (sempre lui), ha accennato a certi “specialisti della Guerra Fredda” che continuerebbero a instillare le loro paranoie nelle amministrazioni repubblicane e democratiche, auspicando un rinnovamento della classe politica americana.

C’è tuttavia anche un dato personale riguardante il Presidente attuale: Joe Biden, pur non essendo né russo né ebreo (ma irlandese, il che è forse peggio nella misura in cui utilizza tale identità per portare avanti la destrutturazione della società americana in nome della diversity), ha mosso i primi passi in politica occupandosi di quell’area generalmente definibile come Europa Sudorientale (e in gioventù rimanendo affascinato nientedimeno che dal Maresciallo Tito).

Ora, si sa quanto gli americani siano schematici (non voglio dire stupidi) e quanto abbiano una devozione ai limiti dell’ottundimento per tutto ciò che è “esperienza” (forma mentis che li porta a compiere colossali errori di valutazione, rendendoli per paradosso uno dei popoli meno pragmatici della storia). Se a ciò aggiungiamo il fatto che Biden è da anni totalmente rincoglionito ed è quasi certo che mentalmente passi la maggior parte del suo tempo in una realtà parallela tra l’inizio degli anni ’80 e la fine degli anni ’90 del secolo scorso (da qui la sua confusione tra Mitterrand e Macron o Merkel e Kohl), si può arrivare a credere che egli sia convinto di avere ancora a che fare con Brežnev in un mondo diviso in due blocchi mediamente equilibrati dove è praticamente impossibile che un conflitto regionale possa portare a una guerra mondiale. Mi sembra che come argomentazione sia plausibile, anche alla luce della ricerca di un’assurda escalation con Mosca a fronte dell’impossibilità, da parte di Kiev, di “vincere” alcunché.

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