Un’infermiera ucraina di 37 anni, Marianna (Maryana) T., residente dal 2009 nel trevigiano (a Villorba), sposata con un italiano e madre di due figli, dopo aver deciso di tornare ad aprile nel suo Paese d’origine solo a scopo umanitario, è stata invece mandata immediatamente al fronte, fino a perdere la vita, la settimana scorsa, a una ventina chilometri dalla centrale nucleare di Zaporož’e, uccisa (secondo quanto riferiscono i resoconti) da un drone russo.
La vicenda, raccontata in modo idilliaco e ditirambico da organi come “La Stampa” od “Open”, in realtà è molto più complessa: a narrarla in maniera disincantata è solo l’inserto veneto del “Corriere della Sera” (in un articolo che, tra l’altro, non compare nella versione online), il quale riporta le dichiarazioni del marito e soprattutto dei familiari della donna, tutt’altro che entusiasti di aver offerto l’ennesimo “martire” a una patria da cui hanno comunque deciso di andare via.
Il marito infatti afferma che la moglie “voleva solo fare l’infermiera e aiutare i feriti. Invece, dopo qualche settimana l’hanno promossa medico da campo per poi spedirla al fronte“. L’articolista lo descrive “arrabbiato” per i pericoli ai quali l’esercito ha esposto la consorte, che avrebbe dovuto rimanere nelle retrovie, lontana dai bombardamenti. Ancora più dura la sorella della vittima, Halyna, residente nel veneziano: “Qualcuno le ha fatto il lavaggio del cervello, convincendola che partire fosse la cosa giusta da fare. Ma lei era una moglie, e soprattutto una mamma!”. La donna ha parole dure anche nei confronti del cognato: “Doveva nasconderle il passaporto, chiuderla in casa”. E il marito di Halyna, un veneziano, rincara la dose: “Non si è fatto abbastanza per impedire che mia cognata si dirigesse spontaneamente sotto le bombe, probabilmente plagiata da qualcuno che, a migliaia di chilometri da qui, tenta di reclutare quante più persone possibile“.
Ora, secondo la sorella, alla famiglia non resta che “prender[s]i cura dei suoi figli che hanno perso la mamma in una guerra assurda e crudele“. Purtroppo in Italia non ci sarà una tomba su cui piangerla, perché, come riferisce il marito (in un’intervista sempre al “Corriere del Veneto”), Marianna è “già sepolta nel suo paese nativo. […] Ho visto delle immagini sui social, hanno partecipato centinaia di persone, c’era tutto il paese a dirle addio. Piangono una donna, una di loro, che si è sacrificata per aiutare il suo popolo”.
In casi come questo è difficile polemizzare, tuttavia bisogna osservare la ragionevolezza (ormai rara) delle parole dei parenti della vittima, che hanno potuto però esprimersi solo in un minuscolo spazio, surclassati dal furore bellicista che campeggia su tutte le prime pagine dei giornali italiani: è già un miracolo se le già citate testate di cui sopra, come lo stesso “Corriere” o “Repubblica”, non abbiano riecheggiato i fogli nazionalisti ucraini, nei quali si ricorda che il rito funebre di Marianna è stato celebrato nella stessa chiesa in cui Andrij Bandera, padre di Stepan, officiò come pastore greco-cattolico per cinque anni.
La propaganda tra gli ucraini residenti in Italia è d’altronde molto attiva, ma se la maggior parte dei profughi si limita a scambiarsi video truculenti su Whatsapp, sembra tuttavia che solo i più “idealisti” siano disposti a tornare in patria, e molti di essi più per gettare acqua che non benzina sul fuoco (a differenza dei mercenari stranieri), in veste di volontari o comunque “civili”.
Però tutto questo non importa: gli ucraini vanno tutti rappresentati come eroi pronti al martirio. Nessuno par più ricordare che nel 2019 la stragrande maggioranza degli elettori ucraini premiò Volodymyr Zelenskij (contro l’oligarca Poroshenko) proprio come antitesi a tutti i valori rappresentati dall'”azovismo”. Un comico ebreo non legato ai partiti tradizionali e di orientamento liberal-progressista che prometteva disimpegno e pace, ma che ha immediatamente tradito il proprio programma per trasformarsi in un fanatico in mimetica.
Sono convinto che molti ucraini in Italia non siano così intrisi di russofobia e totalmente disposti a diventare carne da macello per la Nato: eppure lo spirito di riappacificazione sembra totalmente perduto, e uscire da un certo tipo di retorica pare ormai impossibile. D’altro canto, se una vicenda del genere fosse accaduta sul fronte opposto, quanti reportage su Putin che fa uccidere madri di famiglia in nome del nazionalismo, quante pagine sui russi che non rispettano nemmeno per le crocerossine. Noi occidentali siamo ripiombati in schemi mentali abbandonati da decenni, per giunta con la meschinità di farli mettere in pratica a popoli terzi. Armiamoci e partite!