Rabbino americano: è meglio per gli ebrei essere temuti che amati

Shmuley Boteach, rabbino americano (naturalmente con doppia cittadinanza israeliana) del movimento ortodosso Chabad Lubavitch (quello dei tunnel, per intendersi), il 5 marzo ha firmato un editoriale sul “Times of Israel” (Jews Must Be Feared Rather Than Loved) nel quale sostiene che gli ebrei non sarebbero in grado di contrastare efficacemente l’antisemitismo in quanto “preferiscono essere amati piuttosto che temuti”, anzi “hanno un disperato bisogno di essere amati”, e questa disperazione è una manifestazione di debolezza di cui gli antisemiti approfittano.

I punti controversi sollevati dal rabbino sono numerosi. Partiamo dal refrain dei “2000 anni” o “due millenni” di antisemitismo che avrebbero caratterizzato la storia umana: questa è una tipica espressione giudaica che cela l’odio anticristiano, considerando come l’avversione contro gli ebrei non sia certo di cominciata con l’avvento di Cristo. Già il fatto di porre la questione in tali termini significa rifiutare qualsiasi analisi seria sull’antisemitismo ed illudersi che esso sia solo causa della diffusione del cristianesimo del mondo.

Secondo punto: Shmuley Boteach cita come modello per un nuovo tipo di ebreo Malcom X, anzi neanche tanto il personaggio storico in sé quanto il film di Spike Lee del 1992 (questo è il livello di discussione, altro che scienza talmudica). Grazie all’indottrinamento della Nation of Islam, Malcolm Little è riuscito a maturare “l’orgoglio di essere un uomo di colore”, accompagnandolo con l’odio verso i bianchi e purtroppo anche verso gli ebrei.

Non che il rabbino voglia affermare che anche gli ebrei dovrebbero cominciare a nutrire avversione per i goyim o i musulmani: eppure invita ugualmente a ispirarsi a Malcom X per “cancellare completamente il disprezzo per noi stessi inevitabilmente interiorizzato dopo duemila anni di antisemitismo e dopo l’Olocausto”, suggerendo come esempio positivo addirittura la “rabbia” di Black Lives Matter dopo la morte di George Floyd.

Rabbi Boteach subito dopo chiama in causa lo spot del Superbowl (evidentemente l’evento culturale più importante dell’America contemporanea), patrocinato con 7 milioni di dollari dal magnate del football Robert Kraft, nel quale Clarence Jones, ex consigliere di Martin Luther King, collega l’antisemitismo all’islamofobia e a tutte le forme di “odio” a suo dire dilaganti negli Stati Uniti. Il rabbino definisce il messaggio dello spot (che apre la campagna mediatica #StandUptoJewishHate) patetico e buonista.

Ed è qui che l’enfasi di Boteach supera ogni limite: chiamando in causa Machiavelli (che a suo parere scrisse Il Principe “per un boss mafioso”, Lorenzo de’ Medici), egli invita il popolo ebraico a seguire il dettame del filosofo italiano e a farsi temere piuttosto che amare. Non alla maniera di Vladimir Putin, “autocrate assassino” che “ha abusato degli insegnamenti di Machiavelli per imporre un regno di terrore su civili innocenti”, ma secondo l’esempio di Churchill durante la Seconda guerra mondiale, e, naturalmente, di Israele contro “estremisti islamici” (Hamas e l’Iran) e “neonazisti” (non specificati): “Nessuna trattativa. Nessun compromesso. Nessuna ricerca di popolarità o di apprezzamenti”.

Nell’elenco di “machiavellici buoni”, il rabbino aggiunge anche il Presidente americano Harry Truman, il quale “quando sganciò le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, non aveva intenzione di vincere il Nobel per la pace”, ricordando al contempo che Israele “non adotterebbe mai tattiche estreme come il bombardamento indiscriminato di civili innocenti”, dal momento che esso è sempre impegnato a perpetrare “attacchi chirurgici” contro i suoi nemici (ma siamo davvero convinto che sia così…?).

Il rabbino conclude con un argomento che strizza l’occhio alla destra repubblicana:

“Coloro che consentono il genocidio di Hamas, come le Nazioni Unite (organizzazione antisemita e immorale) e il Qatar, devono essere combattuti e la loro reputazione deve essere distrutta. Abomini americani come Ilhan Omar e talebani come Rashida Tlaib devono essere continuamente attaccati dai media per il loro odio, il loro fanatismo e il loro antisemitismo. […] L’AIPAC [la più importante lobby ebraica negli USA, ndt] dovrebbe spendere una fortuna per far eleggere quei candidati che sfidano i nemici di Israele. E questo vale per tutti i legislatori americani antisemiti come Alexandria Ocasio-Cortez, anche se sappiamo di non poterli sconfiggere. Tuttavia, va messo loro alle calacagna un avversario che li attaccherà senza sosta solo per dimostrare che [noi ebrei] non li temiamo e vogliamo smascherare il loro pregiudizio antiebraico“.

Lo scopo di tutto ciò è di “fare il possibile per evitare di salire su quel treno”, intendendo ovviamente un treno diretto ad Auschwitz, come scrive infine il rabbino in lettere maiuscole, ventilando la possibilità di “nuove leggi razziali” antiebraiche negli Stati Uniti.

Ogni commento pare superfluo, ma si può comunque evidenziare la grande confusione dell’Autore, che crede ancora di rivolgersi all’America anni ’60 delle grandi battaglie progressiste o di esprimersi in un contesto dove le comunità ebraiche sono ancora considerate totalmente separate dalla politica dello Stato d’Israele. L’idea che gli ebrei puntino poi a “farsi amare” è a dir poco risibile, se consideriamo come sia proprio il loro atteggiamento nei confronti dell’americano medio, dipinto come un minus habens, una pecora matta, uno stupratore patriarcale, un suprematista bianco naturaliter razzista, ad aver suscitato un nuovo antisemitismo in una base elettorale tradizionalmente filo-israeliana.

Dietro al bisogno da parte delle comunità israelite di abbracciare continuamente l’ultima avanguardia “progressista” al di fuori dei confini dello Stato ebraico cela forse obiettivi più ampi e ulteriori alla mera propaganda o al semplice desiderio di apparire come “maestri d’umanità” e “primi della classe”. È forse su questo che gli intellettuali dovrebbero iniziare a interrogarsi, più che rifarsi a quel misto di vittimismo e paranoia (l’immagine del “treno”) che al giorno d’oggi ha più a che fare con la psicologia e la metafisica che con la politica e la storia.

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