Il tradimento della Lega di Matteo Salvini nei confronti di Putin e della Russia è qualcosa che difficilmente si riesce a raccontare senza nascondere l’insofferenza: l’attuale fanatismo pro-Ucraina del partito che fino a poco fa era il più tacciato di “russofilia” dalla stampa mainstream è simboleggiato dall’imbarazzante retromarcia con cui è stata “revocata” l’alleanza del 2017 con Russia Unita, attraverso le parole di un deputato che ha tenuto a specificare senza tema di ridicolo che “quell’accordo lo siglò la Lega Nord, non l’attuale Lega per Salvini premier che le è succeduta”.
Per certi versi, la figuraccia rimediata dal leader leghista al confine polacco, con il sindaco di Przemyśl a sventolargli in faccia la maglietta da lui sfoggiata nel 2014 nella Piazza Rossa (al grido di “Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!”), ha permesso a Salvini di evitare figure ben peggiori: per esempio, di venire respinto all’ingresso dell’Ucraina. Resta infatti un mistero se il Nostro sia ancora iscritto nella famigerata “lista nera” di personae non gratae stilata dal governo di Kiev.
Sicuramente nel 2014 il politico (ex?) populista non sarebbe potuto entrare, visto che era schedato per aver visitato la Crimea nell’ottobre di quell’anno e aver definito legittimo il referendum separatista con cui la penisola è stata annessa alla Federazione Russa. Assieme a lui, a subire il “daspo” ucraino a quanto pare c’è una sfilza di politici della Lega che si recarono anch’essi a Sebastopoli tra il 2016 e il 2017, come Edoardo Rixi, Manuel Vescovi, Jari Colla, Roberto Ciambetti (presidente del consiglio regionale veneto), Vito Comencini e, naturalmente, il chiacchieratissimo Gianluca Savoini, nonché gli esponenti leghisti dell’associazione Veneto-Russia Palmerino Zoccatelli, Stefano Valdegamberi e Maurizio Marrone (quest’ultimo in Fratelli d’Italia, al quale è stata peraltro appena tolta la delega di assessore alla Cooperazione internazionale per non aver “abiurato”).
Ricordiamo anche quando i consiglieri di maggioranza della Regione Veneto nel 2016 firmarono una risoluzione per chiedere al governo italiano il riconoscimento della Crimea. Come dichiarò all’epoca il già citato Stefano Valdegamberi,
“La risoluzione vuole che a voce alta sia riconosciuta la possibilità al popolo della Crimea di scegliere il proprio destino, e la Crimea vuole stare con la Russia. Inoltre chiede che venga posto fine alle sanzioni e che vengano ripristinati i rapporti con la Russia. Certo, non ha un valore di politica estera, esprime un auspicio, ma ha un valore molto forte perché il Veneto subisce la conseguenza di una politica europea sbagliata”.
Quella stessa risoluzione è stata anch’essa “revocata” dalla maggioranza di Zaia qualche settimana fa, con l’approvazione di un ordine del giorno del Partito Democratico (sempre in vena di maramaldeggiamenti), che invitava precisamente a “non considerare valido il contenuto della risoluzione di sei anni fa”.
Valdegamberi -onore a lui- ha cercato di tenere il punto; come riporta il Gazzettino, a suo parere “in Crimea non c’è stata alcuna guerra”. Mentre Alberto Villanova, presidente dell’intergruppo Lega-Liga, ha citato le dichiarazioni passate di Enrico Letta e Matteo Renzi, che da presidenti del Consiglio avevano rimarcato l’importanza delle relazioni commerciali con Putin. Alla fine però l’ordine è passato, con la scusa, da parte dei leghisti, di non voler essere descritti come “cattivi, sovranisti, putiniani”. Se ne riparlerà alle prossime elezioni.
PS: Ricordiamo che anche a Silvio Berlusconi venne proibito nel 2015 di entrare per tre anni in Ucraina, addirittura con la minaccia di un processo per aver stappato con Putin una bottiglia di sherry del 1765 del valore di circa 140mila euro, che Kiev considerava di sua proprietà.