Erdoğan, il genio della geopolitica

La Turchia vuole rimodellare la demografia della Siria

Ho riportato l’articolo anti-turco e filo-curdo qui sopra (P. Iddon, Could Turkey use Syria safe zone to remake the area’s demographics?, “Ahval”, 14 agosto 2019) perché, pur essendo ovviamente in disaccordo totale con quanto affermato dall’Autore e dai suoi intervistati, mi pare che involontariamente il pezzo ingigantisca la figura di Erdoğan dal punto di vista (geo)politico, facendolo apparire forse più machiavellico e lucido di quanto non sembri.

In effetti è suggestiva l’ipotesi che il leader turco, reduce dalla recente sconfitta elettorale (bis pereat), per scongiurare quella che sembra un accenno di defezione della sua base più che una vittoria dell’opposizione (come invece psichedelicamente la interpreta la stampa internazionale), voglia cogliere due piccioni con una fava (bir taşla iki kuş vurmak), cioè sbarazzarsi degli immigrati siriani e arabizzare le zone di confine attualmente occupate dai curdi.

Vignetta pro-Erdoğan (lol)

In ogni caso è giusto ricordare che questa vicenda non può essere analizzata con la tipica dicotomia giornalistica buono/cattivo. Erdoğan sarà pure il politico più malvagio di tutti i tempi, ma perlomeno lui è un politico: e lo è in modo così naturale e istintivo da esser riuscito a imporsi nonostante tutti gli scombussolamenti degli ultimi anni. Gli aizzatori occidentali delle famigerate primavere arabe sono passati (qualcuno ricorda Sarkozy e Cameron?), lui è ancora lì; il contraccolpo geo-demografico (si può dire?) dell’immigrazione di massa non lo ha impensierito, anzi gli ha consentito di imporsi come interlocutore extra-europeo più importante di Bruxelles; anche la crisi con Putin è diventata, attraverso un alacre lavorio diplomatico, un punto di forza per il leader turco, che ha ampliato i legami di Ankara all’Est e sbilanciato maggiormente la NATO sul versante sud-orientale; quando infine pure il “merkelismo” è tramontato, soprattutto in virtù della transizione da Obama e Trump, Erdoğan ha tenuto la posizione e ha fatto capire subito alla nuova classe politica americana chi teneva ancora il coltello dalla parte del manico nella regione.

E non accenniamo nemmeno ai nervi d’acciaio che ha avuto nell’affrontare il golpe, primo leader democratico dell’epoca moderna a non soccombere ai militari: paradossalmente se oggi l’opposizione può festeggiare l’effimero trionfo di Istanbul dovrebbe in primo luogo ringraziare proprio Erdoğan. Ma lasciamo perdere.

Si capisce dunque che se il Gran Turco fosse solo un kebabbaro risalito o un despota sanguinario (come lo presenta regolarmente la stampa) non sarebbe più al suo posto da un bel pezzo. Venendo a quanto dice l’articolista di cui sopra, in realtà non esiste ufficialmente alcun progetto di “arabizzazione” in stile baathista del confine turco-siriano: del resto gli Assad sono capacissimi di “far pulizia” dei curdi da soli.

Curdi che, peraltro, rappresentano per l’Occidente un vero e proprio mito mediatico (o “fumettistico”) ma che non sono affatto puri e innocenti come taluni vorrebbe far credere alle rispettive opinioni pubbliche (ricordate sempre che quando qualcuno vi parla di “regioni storicamente curde” in verità intende “curdizzate”, talvolta in maniera tutt’altro che pacifica).

Questo è quanto. Il resto non sono che bufale.

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