Noi uomini rinunciamo ad andare su Marte per amore delle donne: e loro in cambio cosa ci offrono?

Nell’ottobre del 2016 le testate italiane riportarono la curiosa vicenda di Pietro Aliprandi, uno psicoterapeuta ventiseienne di Conegliano (TV) che, dopo aver superato una rigida selezione, sarebbe dovuto partire per Marte da dieci anni a quella parte, ma che decise di rinunciare alla storica impresa per amore, comunicando la sua scelta con una lettera aperta al consistente seguito che si era costruito nella prospettiva di diventare il primo italiano (ma soprattutto il primo veneto) a sbarcare sul Pianeta Rosso:

«Cari sostenitori,
[…] Mi avete chiesto in molti, nei mesi passati, quali novità ci fossero con la mia candidatura – novità che più volte promisi. Ebbene sì, una novità c’è: poche settimane fa ho ritirato la mia candidatura. Ho dato le dimissioni. Non sarò più il primo italiano ad andare su Marte.
La ragione di questo difficile, quasi insormontabile passo, è tanto semplice quanto incisiva: l’amore. Quando conobbi la mia ragazza, Elena, io ero già candidato alla missione; entrambi sapevamo che, a causa di ciò, presto o tardi la nostra storia sarebbe giunta al termine. Abbiamo “provato” a lasciarci, e ci siamo pure riusciti, per due volte – e per due volte siamo tornati assieme. L’ultima è stata la scorsa estate, dopo essere tornato dal mio viaggio “in solitaria” negli Stati Uniti, durante il quale in realtà ebbi occasione di incontrare molti altri candidati. Qui cominciò l’agonia: ero convinto più che mai di partire, di far parte di quel meraviglioso gruppo di piloti, medici, ingegneri e fisici provenienti da tutti i continenti della Terra. Allo stesso tempo, però, per quanto mi sforzassi non riuscivo, neanche lontanamente, ad immaginare per me un futuro senza Elena. Lasciare Mars One mi ha fatto sentire mutilato, come se avessi rinunciato al 49% di me stesso (l’avventuriero) proiettato nello spazio, per preservare quel 51% (l’amante) che risiede qui sulla Terra. Non è stato difficile prenderla, questa decisione: è difficile scegliere quale dessert ordinare al ristorante, mentre decisioni come la mia vengono offerte con la risposta già stabilita. Ciò che è arduo, e per me lo è stato, è accettare tale scelta. Ma in fondo, a renderci più forti sono esperienze come queste, le scelte importanti e difficili che prendiamo e accettiamo.
So di aver deluso molti di voi, magari di aver infranto il sogno di vedere un altro italiano scoprire un nuovo mondo, come lo fecero Marco Polo e Cristoforo Colombo. Per molti ero diventato un modello, un simbolo. Altri, più romantici, saranno sollevati, ne sono certo. Infine qualcuno, leggendo questa mia dichiarazione, penserà “c’avrei giurato”, “lo sapevo”, “l’avevo detto”. Non passa giorno senza che io, prima di tutti, non ritorni a quel momento, quando ho inviato l’e-mail al Quartier Generale di Mars One. Ma poi guardo la mia duchessa [lol, ndr], i suoi occhi uno blu e uno verde, penso a tutto quello che abbiamo passato, a quello che passeremo, e la malinconia si smorza fino a sparire.
Forse ho rinunciato al mio sogno di diventare un pioniere spaziale, ma non rinuncerò alla mia passione per lo spazio e l’astronomia: la soddisfazione che si prova nell’alimentare la meraviglia degli appassionati è impagabile, e per questa ragione non smetterò di scrivere, continuerò a viaggiare, a parlare della mia esperienza fino a questo punto, a quanto sia difficile diventare astronauta, non tanto per il training e le selezioni, quanto per il prezzo da pagare. Magari un giorno il mio curriculum arriverà su una scrivania dell’ESA; oppure, chissà, io ed Elena ci candideremo assieme alle prossime selezioni di Mars One, o ci uniremo alle migliaia di coloni previste da Space X.
Sta di fatto che non sparirò tanto presto, e che presto sentirete parlare nuovamente di me. Pertanto, mi limito ad un semplice “arrivederci”».

Uno dei lati singolari della vicenda è che sul suo blog Aliprandi aveva discusso mesi prima della propria risoluzione, ma il tutto era rimasto una non-notizia finché il Corriere della Sera non decise di imbastirci un pezzo dai toni struggenti: Non parto più: l’amore di Elena è più forte dei miei sogni di bambino.

Lasciamo da parte l’imbarazzante esito del progetto Mars One (che letto alla veneta ricorda un epiteto poco carino da rivolgere ai propri competitors), organizzato da una start-up olandese che era riuscita a razzolare milioni di dollari con la promessa di organizzare il primo reality show marziano (salvo poi dichiarare bancarotta nel 2019 e sparire col bottino), nonché le motivazioni del buon Aliprandi (che oggi a quanto pare esercita a Padova ed è evidentemente molto riservato sulla sua vita personale, dal momento che è impossibile sapere se almeno sia rimasto assieme a quella Elena) e il suo freddo calcolo sulle percentuali da destinare all’avventura (49%) e all’amore (51%); è doveroso tuttavia ricordare il modo in cui i commentatori del Corsera (naturaliter boomeroni) accolsero la notizia, con quella malinconia agrodolce che, tra le tante cose, attesta la giustezza di un celeberrimo verso dei Pooh sugli Uomini soli perduti nel “Corriere della Sera”:

«Quando quegli occhi che oggi ti appaiono dolci, trasuderanno rabbia ed isteria, vorrai essere davvero in orbita intorno a Marte, o forse ancora più lontano. Ma non potrai. E dovrai subire!!!»

«Quando l’amore sarà tramontato, molto presto ti mangerai le mani a morsi per non essere partito. Mai rinunciare ai propri sogni per una donna o un uomo. Non ti capiranno mai. Ti tarperanno solo le ali in tutti i modi. Uno che ci è passato!»

«Grande amore ma piccoli uomini. Nessuna relazione sentimentale vale un viaggio da pioniere spaziale. Non scherziamo».

«Non ricordo grandi invenzioni realizzate da uomini sposati. (Tesla pensiero

«Ci vediamo alla prima paranoia pesante della tua amata. E quando la pressione della tua adoranta (sic) ancella arriverà alle stelle (perché arriverà), ti farò vedere come ti mangerai le mani per non esserci andato veramente tra le stelle. Qualsiasi cosa ti sembrerà meno brutto di scappare lontano!!»

È una mia ipotesi, ma penso che solo un uomo che abbia “tradito Marte” per amore possa giungere a inacidirsi così tanto: del resto, è un dato di fatto che le donne al giorno d’oggi siano talmente insopportabili che qualsiasi maschio sano, una volta resosene conto, non possa fare a meno di preferire un viaggio senza ritorno verso un luogo sconosciuto e inospitale.

Ad ogni modo, un’espressione speculare animata da una medesima  passione possente (in tal caso celata da un cinismo da poseur) è quella rappresentata dalla tragedia tutta maschile che è la fine di una relazione. Anche qui, vorrei citare una serie di commenti (senza screenshottare ché non ho voglia) comparsi in questi anni sotto il video di La tua canzone di Coez, un rapper con velleità cantautoriali di Nocera Inferiore (capitale europea della cultura?) che ha confezionato una canzone d’amore piuttosto difficile da inquadrare (è da tempo che la ascolto e non sono ancora riuscito a capire se sia una b-side di un Samuele Bersani ancora più ghei o un capolavoro punto e basta).

Dopo i boomer, arrivano dunque i millennial a rimuginare a secoli di distanza di quando una d-parola senza cuore (quindi una d-parola e basta) li abbia abbandonati senza addurre motivazioni plausibili (scusate se prendo esempi solo dalle sezioni commenti ma la vita reale mi fa schifo):

«Non ti dimenticherò mai, sei stata il mio primo amore, nonostante gli anni passati, le città cambiate e le esperienze di vita diverse, non sono riuscito a dimenticarti e a dimenticare tutti i nostri anni insieme. Non ti odio, non ti odiero mai. Il tuo bimbo è bellissimo e tu sei sempre bellissima come quando avevi 18 anni. Non ti dimentichero mai».

«Piccola mia, questa canzone me l’hai dedicata in un momento particolare. Adesso che la ascolto per bene, mi rendo conto di quanto queste parole sapessero di addio.
Grazie per la gentilezza con cui me lo hai comunicato, sei e resterai una creatura speciale».

«“C’è un mazzo di fiori sul mio sedile, guiderò”. Ciao [omissis], questa frase te la dedico. L’ho sentita in macchina oggi. Ho strapianto sentendola. Sai perché? Mi sono ricordato di quando tornando dal politecnico presi dei fiori per te, avevo solo 15 euro e dissi al fioraio che erano per la mia ragazza, per te. Ti amavo tanto. Ero felice e misi i fiori sul sedile. Ho guidato fino a casa tua con una felicità imparagonabile. È stato tutto bello. Sei una parte di me. Non ti cancellerò. Ciao [omissis]. Il tuo [omissis]».

«Non lo ascolterai mai, non è il tuo genere. Ma grazie, grazie per avermi insegnato a essere “me stesso” in questo mondo non fatto per me, ora sei felice, ora non mi scriverai più buongiorno, non mi chiederai più come è andata la giornata e non mi chiederai più di stare in chiamata fino a mattina. […] Ti amo ancora con tutto me stesso, nessuna è come te, ne nessun’altra, ma continuerò a cercare di vivere appieno, te lo prometto, fino a quando ti ricorderai di me, anche se spero di averti lasciato solo bei ricordi, o “forse non era vero”, ma così non posso continuare, quindi lascerò nel cassetto questi ricordi e andrò avanti in questa vita senza di te, per quanto posso ordiarmi di non averlo capito prima. Perdonami, non sarò mai la persona che desideravi che fossi».

Basta, devo fermarmi perché basta. Dio caro raga, ma quanto soffrono gli uomini sempre e comunque, sia che riescano a coronare il loro sogno d’amore sabotando il destino faustiano dell’Occidente, sia che vengano pugnalati alle spalle dalla prima che passa (anche in tal senso i commenti delle donne sono insignificanti)?

Si dovrebbe erigere un monumento a tutte le povere vittime maschili di questo assurdo matriarcato in cui stiamo vivendo. D’altro canto, questa è la prova provata che se noi maschi bianchi non avessimo dovuto subire il femminismo, ultimo precipitato di un millennio di amour-passion, oggi avremmo già le macchine volanti e colossēī su Marte.

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